“Ecco perché oggi si rinuncia a fare figli”, il parere del pedagogista
- 29/02/2024
- Famiglia
Le cause del calo demografico in Italia sono molteplici. Supporti economici insufficienti, inconciliabilità lavoro-famiglia (spesso problema prettamente femminile), instabilità politica internazionale, incertezza per il futuro. C’è però chi parla di un problema culturale, come la ministra alle Pari opportunità Eugenia Maria Roccella e chi crede che il problema sia anche un altro. Daniele Novara, fondatore e direttore del Centro Psico Pedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti (Cpp), ha aggiunto a queste cause una componente socioculturale: “la fragilità educativa dei genitori”.
Scopriamo insieme a lui di cosa si tratta.
In un recente editoriale su un quotidiano nazionale ha affermato che la fragilità educativa dei genitori è “la causa principale del calo demografico così evidente in Italia”. Cosa intende con questo termine e perché – secondo lei – sarebbe la principale causa?
“Fare i genitori è diventato difficile e non solo per problemi economici. Lo è diventato perché un genitore fragile fa fatica a educare un figlio. In Italia, una donna su quattro non ha figli. Le persone preferiscono comprare un cane. Questo fenomeno è avvenuto con il passaggio dalla società dell’appartenenza, nella quale avere i figli era una questione societaria e i bambini erano di tutti e tutti ti aiutavano, ad una società narcisistica che negli anni Novanta – per una serie di ritardi storici – si è diffusa la mentalità che il figlio sia di proprietà esclusiva e privata.
Le persone non voglio interferenze nell’educazione: da qui nascono i conflitti con gli insegnanti, ad esempio. Si è andata sviluppando una possessività esclusiva che ha generato una logica della preziosità: tratto mio figlio da pari, ossia non lo tratto più da bambino, altrimenti ciò vorrebbe dire che non risulterebbe abbastanza prezioso. I bambini non sono più bambini e così si è annichilita la titolarità educativa: il bambino vuole venire nel lettone fuori tempo massimo (3 anni), vuole entrare in bagno quando ci sono io, vuole comandarmi, vuole discutere sull’andare a scuola o meno e io l’assecondo. Nella società dell’appartenenza i figli non venivano ascoltati, come avviene oggi. Una condizione estrema: la mamma gongola se la figlia è tra le sue migliori amiche non sapendo che questa è una tragedia”.
Qual è il risultato di questo fenomeno?
“Sul tema della denatalità non è stato detto tutto: ci sono dati che non spiegano adeguatamente il fenomeno della fragilità educativa. Il risultato è la rinuncia di fare figli legata all’estrema difficoltà dell’educarli. Aver abbandonato i genitori a questa sorte di esclusività educativa lo ritengo stupido. Durante il lockdown non è stato dato nessun bonus, molte mamme hanno dovuto licenziarsi, l’attenzione è stata sempre sui figli e mai sui genitori. Ma occuparsi dei figli senza occuparsi dei genitori è la cosa più stupida che si possa fare. Su questo c’è anche uno spreco economico: il fenomeno della fragilità ha provocato il boom delle neurodiagnosi che costano molto alla società. Siamo al 4% di neurodiagnosi, di 104, cioè, disabilità conclamata, a scuola. In pratica, ogni classe ha un bambino disabile: vuol dire mettere un’insegnante di sostegno e un assistente che ha un costo enorme per un’amministrazione”.
Ma come siamo arrivati a questo cortocircuito? È una questione generazionale?
“Non proprio, a meno che per generazionale non si intenda storica. Io che ho vissuto il passaggio storico, di cui le raccontavo prima, ricordo che in quartiere eravamo abbandonati, c’era sempre qualche adulto che ci controllava però. Anche i preti e la chiesa erano presenti nella vita dei bambini. Parlavamo di una condivisione educativa dei figli. Oggi, comunque, il genitore da un lato ha la pretesa legittima di avere la totalità educativa, ma non si rende conto che così facendo si mette nei guai. Da solo non ce la fa nessuno”.
Nel suo intervento ha scritto: ‘Fare i figli non è semplicemente uno sfizio individuale come pensa qualcuno, ma la realizzazione di un desiderio collettivo orientato al futuro, al proseguire la nostra specie’. Non si rischia di perdere la misura intima e personale: i figli si fanno per gli altri o per se stessi? E chi non può averne che missione assume nella comunità?
“È ovvio che la scelta è individuale, tanto più oggi. Questa è una conquista dei tempi nostri, ma non è un dato naturale. La donna doveva sposarsi perché doveva fare i figli. Oggi questa scelta individuale è una conquista, intendiamoci. Ma se portata alle estreme conseguenze si genera una nemesi. Come sostiene lo scrittore Ivan Illich: ‘Se tutti hanno l’auto si arriva prima a piedi’. Con questo voglio dire che il desiderio personale non può essere disgiunto da un desiderio collettivo. Ma la società oggi non ha interesse verso le nuove generazioni, non ha interesse verso i bambini. Non ci sono reali spazi dedicati.
Durante il lockdown si poteva uscire con il cane e non con i bambini. Agghiacciante! Una donna che ha il desiderio dei figli si scontra con questa carenza di immaginario collettivo. E, seppur il desiderio individuale è una conquista storica straordinaria e indizio che il patriarcato, quello vero, è alle spalle, questo desiderio non trova un’accoglienza nella comunità”.
Tra le soluzioni che ha individuato, oltre quella di fornire le famiglie di un consulente educativo gratuito che supporti incertezze e fragilità delle scelte, c’è anche quella di fornire i neogenitori di un libretto informativo – consegnato fuori i reparti maternità – con le istruzioni su come affrontare le diverse fasi di vita del nascituro. Non pensa che qualcuno possa accusarla di considerare un figlio come un mobile da montare? Non c’è il rischio di creare standard educativi a discapito di un’unicità?
“La carenza di informazioni educative è un reale problema. È una riflessione importante: questi libretti sono stati distribuiti nelle scuole perché i reparti maternità sono refrattari in merito. In salsa pedagogica, questi libretti permetterebbero ai genitori di fare le mosse giuste o, perlomeno, di non fare quelle sbagliate. Puoi creare bambini che si mettono nei guai e poi vengono considerati “sbagliati” quando basterebbe riaggiustare l’educazione ricevuta. L’intenzione è di dare indicazioni chiare. Quando si hanno le informazioni basilari ci si sente più tranquillo e risulta più facile”.
Cosa si sente di consigliare alle coppie che oggi vorrebbero mettere al mondo un bambino o una bambina ma sentono di non essere pronti?
“Innanzi tutto, educare i figli è più semplice di quello che appare. Inoltre, coinvolgere la società ed evitare di ritirarsi nel proprio “appartamento” come se il mondo esterno fosse finito. Saper chiedere aiuto che è l’opposto del fai da te. Sviluppare la capacità di creare connessioni attorno una società in cui le bambine e i bambini hanno diritti, in cui abbiano la necessità di porsi con una presenza significativa.
Poi è importante anche votare rappresentanti politici con un progetto educativo sui bambini. Andrebbero premiati amministratori che con i soldi del Pnrr hanno fatto parchi giochi e asili nido e non rotonde stradali e lavori pubblici.
Infine, un consiglio pedagogico: se non vuoi metterti nei guai e non vuoi avere complicazioni non metterti alla pari, stai nel tuo ruolo di genitore, sei un’autorità. Porsi sullo stesso piano di un bambino è disfunzionale: il genitore sulle prime gongola, poi si rende conto della troppa confidenza. Così si spiega il fenomeno di bambini e adolescenti che mettono le mani addosso al genitore: non si può litigare con un figlio di 6 anni”.
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