Colf e badanti sono necessarie, ma spesso sono un lusso
- 22/12/2023
- Famiglia
Chiunque abbia dovuto prendersi cura di un anziano o abbia avuto bisogno di una baby-sitter, oppure ‘semplicemente’ di un aiuto per non vedere la propria abitazione protagonista di un episodio di Sepolti in casa, sa quanto colf e badanti siano necessarie. E quanto lo Stato, in assenza di un welfare davvero strutturato e capillare, ti lasci sostanzialmente a te stesso. Ma ci sono due problemi: il primo è che avere un aiuto è spesso un lusso: non sono poche le famiglie italiane che non possono permetterselo con serenità. Il secondo è che queste lavoratrici, che tra l’altro svolgono attività molto delicate, prendono poco, e in un contesto di economia sommersa, largamente diffusa nel settore.
La fotografia della situazione l’ha scattata Centro Einaudi per Nuova Collaborazione – associazione di datori del lavoro domestico in Italia – nel report ‘Il potenziale del lavoro domestico – Proposte di intervento’, nel quale vengono anche consigliate, per l’appunto alcune soluzioni.
Un settore da quasi un milione di persone, oltre il 90% sono donne
Nel 2022 in Italia 894mila persone lavorano nel settore del lavoro domestico, suddivise in 429mila badanti e 465mila colf. Schiacciante la presenza femminile: è donna il 90% di colf e badanti e il 95% delle baby-sitter. Per fare un confronto, tale percentuale scende al 43% tra i dipendenti nel settore extra-domestico.
In aumento l’età media, passata dal 2012 al 2021 da 43 anni a 48 per le colf e da 44 a 48 anni per le badanti. Per le baby-sitter l’età media è 39 anni. Quanto all’aspetto geografico, il lavoro domestico è più diffuso nelle regioni centrali d’Italia. Con queste percentuali:
• il 3,4% dei lavoratori dipendenti è impiegato come colf – nelle altre aree del Paese il 2%
• il 2,6% come badante – contro il 2,3% nel Nord e nel Mezzogiorno
• lo 0,3% come baby sitter – dato simile al Sud, 0,2% al Nord.
Ma le famiglie italiane possono permettersi questo aiuto? Domanda lecita, visto che i costi sono soprattutto a carico loro, e questo nonostante l’Italia abbia una spesa sociale pubblica tra le più alte dell’area Ocse (27,7% – dato al 2019), con particolare rilevanza assunta della spesa per gli anziani (13,4%- dato al 2019).
Le agevolazioni esistenti, sottolinea il report, non sono sufficienti: il datore di lavoro può detrarre dall’imposta lorda il 19% delle spese per un massimo di 2.100 euro all’anno e solo se il reddito complessivo è inferiore a 40mila euro. Inoltre, è possibile dedurre dal reddito i contributi versati al lavoratore, fino ad un massimo di 1.549,37 euro e solo relativamente alla parte a carico del datore di lavoro. Calcolando che una badante per una persona non autosufficiente ha un costo annuale di 18mila euro, la spesa che rimane a carico della famiglia è ingente.
Indebitarsi per pagare colf e badanti
Come si può immaginare, la disponibilità economica fa la differenza. Una considerazione che si riflette in ciò che cercano le famiglie a basso reddito, per le quali il lavoratore domestico risponde soprattutto a esigenze di cura, facendo pensare a una necessità ‘inderogabile’, rispetto a quelle con reddito medio-alto, che cercano soprattutto colf.
Nello specifico, i nuclei a basso reddito (considerando un’entrata mensile inferiore a 2mila euro) impiegano soprattutto badanti (53%). Quelli agiati (reddito mensile superiore a 5mila euro) assumono in particolare colf (90%), e in misura molto minore baby-sitter (5%), badanti (4%) o altre tipologie di servizio (1%: cuochi, giardinieri, autisti, custodi).
In media, il 78% delle famiglie intervistate per il report – che abbiano in piedi un rapporto di collaborazione domestica – ha avuto un reddito sufficiente per pagare il lavoratore senza ricorrere a risparmi o indebitamento. Il 21% ha dovuto utilizzare risparmi personali, e l’1% ha fatto ricorso a finanziamenti esterni, cioè si è indebitato.
Ma le disuguaglianze sono tangibili: il 60% delle famiglie con meno di 2mila euro mensili ha dovuto usare risparmi privati a fronte del 10% tra i nuclei più ricchi. A conferma di quanto il lavoro domestico sia per molte famiglie un bene essenziale, il ricorso ai risparmi è più frequente per pagare le badanti (58%) rispetto alle baby-sitter (46%) e alle colf (13%).
Quanto paghiamo colf e badanti
Per quanto riguarda l’aspetto retributivo, il report si rifà a dati Istat per il periodo 2012-2022, che rivelano una forte disparità salariale tra settori. In media, le lavoratrici colf hanno percepito una retribuzione mensile di 632 euro, le baby-sitter di 649 euro, e le badanti di 865 euro al mese. Si tratta di cifre sensibilmente più basse della retribuzione media mensile dei lavoratori dipendenti nel settore non domestico, pari a 1.345 euro netti.
Un semplice dato che innanzitutto fa capire come il lavoro domestico venga valutato economicamente meno di altre forme di lavoro. E che solleva diversi punti importanti:
• la necessità della valorizzazione sociale di professioni essenziali per il ‘Sistema Famiglia’
• il riconoscimento professionale
• la necessità di standard lavorativi che riflettano l’importanza e la professionalità del settore domestico.
La cura della famiglia come barriera all’ingresso nel mercato del lavoro
Il lavoro domestico è centrale nell’equilibrio occupazionale e sociale della vita familiare. La cura della famiglia rappresenta una vera e propria barriera all’ingresso nel mercato del lavoro, specialmente per le donne che spesso devono rinunciare all’impiego per sopperire alle esigenze familiari. Significativa le differenze con gli uomini:
• il 53% delle donne che non cerca lavoro lo fa per questi motivi, contro l’8% degli uomini
• anche considerando la disponibilità a lavorare, il 21% delle donne fuori dal mercato del lavoro non è disponibile per motivi di cura familiare, rispetto al 5% degli uomini
• il part-time coinvolge il 20% dei lavoratori dipendenti, con una netta prevalenza femminile (32%) rispetto agli uomini (meno dell’8%). E la motivazione è sempre per ragioni legata alla famiglia.
Si può dire che la dipendenza dal lavoro domestico per mantenere l’occupazione sia un vero e proprio indicatore di disuguaglianza economica. In caso di mancanza di un collaboratore, il 35% delle famiglie dovrebbe ridurre o abbandonare l’impegno lavorativo, ma con grosse differenze: il 50% delle famiglie a basso reddito relativo dovrebbe ridurre l’offerta di lavoro, contro il 30% circa di quelle benestanti.
La figura del baby-sitter risulta essere quella più difficile da sostituire: l’85% delle famiglie si troverebbe a dover ridurre il carico di lavoro in sua assenza. Per le badanti, più della metà delle famiglie dovrebbe rinunciare all’impiego di un membro del nucleo.
Evidente anche in questo caso la disparità di genere: se l’aiuto in casa non c’è, è più probabile che sia la componente femminile del nucleo familiare a dover ridurre o rinunciare al proprio lavoro, specialmente nel caso di assenza della baby-sitter o della colf. A riprova che il lavoro di cura è ancora visto come un affare a carico sostanzialmente delle donne.
Ecco perché, sottolinea il report, servono politiche mirate al supporto dell’occupazione femminile, che favoriscano l’equilibrio vita-lavoro, e a stabilire servizi di supporto familiare e incentivi all’occupazione.
Una doppia sfida: l’invecchiamento della popolazione e le disabilità
I Paesi ricchi stanno vedendo progressivamente invecchiare la propria popolazione, complici l’allungamento della vita media e l’inverno demografico, che colpisce tutti, con varie intensità (l’Italia di più). Un fenomeno che richiama l’aspetto della disabilità, che non è solo collegato all’età ma che ovviamente con l’età aumenta. Non dimentichiamo che l’Italia sfoggia sì la maggior aspettativa di vita al mondo insieme al Giappone, ma a questo non corrispondono anni in buona salute. L’ovvia conseguenza è l’aumento della necessità, e dunque della richiesta, di aiuto e assistenza.
Più del 20% degli italiani, ci dice l’Istat, vive con limitazioni quotidiane, il 29% dei disabili gravi vive da solo e il 26% in coppie senza figli. Le pensioni di disabilità, inoltre, sebbene più elevate di quelle standard, costituiscono il 22% della spesa pensionistica totale, in calo rispetto al 24% del 2012.
Gli anziani sono i principali beneficiari dell’assistenza a lungo termine, con una percentuale importante che preferisce ricevere assistenza a domicilio, una tendenza che molti Paesi Ocse stanno iniziando a supportare. Questo, sottolinea il report, “pone sfide significative per i sistemi di welfare, richiedendo una pianificazione attenta per garantire sostenibilità a lungo termine”.
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