Piccoli Comuni in via di estinzione, l’impatto della crisi demografica
- 29/07/2024
- Popolazione
Nel cuore dell’Italia, lontano dalle luci scintillanti delle metropoli e dai ritmi frenetici delle grandi città, si nascondono le aree Interne. Questi angoli meno conosciuti del Paese, che comprendono oltre 4.000 comuni e rappresentano quasi il 48,5% del territorio nazionale, sono caratterizzati da un panorama demografico sempre più complesso. Al 1° gennaio 2024, secondo quanto riportato dall’Istat, circa 13 milioni e 300mila persone risiedono in queste aree, corrispondenti a circa un quarto della popolazione italiana. In contrasto, i centri urbani ospitano circa 45 milioni e 700mila abitanti, con una distribuzione molto differente: 8 milioni nei Comuni intermedi (13,6% del totale), 4,6 milioni nei Comuni periferici (7,8%), e solo 700mila nei Comuni ultraperiferici (1,2%).
Queste terre, spesso trascurate dalla narrazione collettiva, stanno affrontando una crisi demografica che si amplifica ogni anno. Dal 2014 al 2024, la popolazione delle aree Interne è diminuita del 5%, una contrazione ben più severa rispetto al calo dell’1,4% registrato nei centri urbani. Questa situazione è il risultato di un lungo processo di declino: tra il 2002 e il 2014, la crescita nelle aree Interne era già stata modesta (+2,9%), mentre i centri urbani erano cresciuti del 6,8%. Oggi, le differenze si accentuano ulteriormente, con i comuni ultraperiferici che registrano un calo della popolazione del 7,7% e i comuni periferici che subiscono una diminuzione del 6,3%.
Questo declino demografico non è uniforme e presenta una marcata dicotomia tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno. Le aree Interne del Mezzogiorno, in particolare, vedono una perdita di popolazione più intensa, con un decremento del 6,3% (circa 483mila individui), rispetto al 2,7% nel Nord e Centro Italia. I comuni ultraperiferici del Sud, già fortemente svantaggiati per l’accesso ai servizi, sono i più colpiti. Tra il 2002 e il 2014, questi Comuni avevano già iniziato a perdere abitanti, e oggi il loro declino è accentuato, rendendo queste aree vere e proprie “oasi di silenzio” nel contesto demografico italiano.
Questa crisi demografica non è solo un problema numerico, ma un fenomeno che trasforma profondamente il tessuto sociale ed economico di queste aree. I servizi diventano sempre più difficili da raggiungere, e l’accesso alla tecnologia rimane limitato, accentuando le fragilità di questi luoghi. Tuttavia, ogni comune delle aree Interne possiede una sua storia unica, una propria identità, e, soprattutto, un potenziale che merita di essere esplorato e valorizzato.
La Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) riconosce questa diversità e propone una visione articolata per affrontare le sfide specifiche che ogni tipo di Comune deve fronteggiare. Mentre i comuni intermedi, periferici e ultraperiferici si trovano a vivere il fenomeno dell’emigrazione e dell’invecchiamento in modi diversi, è essenziale considerare questi aspetti per trovare soluzioni che rispondano alle reali esigenze di queste aree.
Dall’invecchiamento al deserto demografico
Le statistiche parlano chiaro e senza mezzi termini: il saldo naturale, che rappresenta la differenza tra nascite e decessi, ha subito un colpo decisivo nelle aree interne del nostro paese. Nel 2002, queste aree già si trovavano in una situazione difficile, con un saldo naturale negativo di -1,1 per mille. Ma negli ultimi anni, la situazione è precipitata. Al 1° gennaio 2024, il saldo naturale in alcune zone particolarmente remote è scivolato a un preoccupante -6,3 per mille.
L’aumento dei decessi rispetto alle nascite ha avuto un impatto devastante sull’età media della popolazione. Se nel 2002 l’età media nei Comuni interni era di 41,4 anni, oggi è balzata a 47 anni. Questo cambiamento non è semplicemente un numero in crescita: rappresenta una trasformazione profonda nel tessuto sociale di queste aree. Un tempo vivaci e piene di energia giovanile, le aree interne sono ora più simili a riserve di saggezza e memoria, con una crescente popolazione di anziani e pochissimi nuovi volti a dare freschezza e vitalità.
Il contrasto con i centri urbani è sorprendente e quasi surreale. Nei grandi centri, l’età media è di 46,5 anni, che è solo leggermente inferiore rispetto a quella delle aree interne (47 anni) e quella media nazionale (46,6 anni). Qui, la vita sembra scorrere con un vigore che appare distante anni luce da quello delle aree interne. Nei centri urbani, il calo della natalità e l’invecchiamento avvengono con tassi meno drammatici e le comunità sembrano mantenere una maggiore vivacità.
Inoltre, il divario tra le aree interne e i centri urbani è reso ancora più evidente dal confronto dell’indice di vecchiaia, che misura la proporzione di persone oltre i 65 anni rispetto ai bambini sotto i 15 anni. Nel 2002, questo indice era 133% per le aree interne e 131% per i centri urbani. Al 1° gennaio 2024, l’indice è salito a 214% per le aree interne e a 196% per i centri urbani, rispetto a una media nazionale di 200%. Questo aumento significativo indica che, oltre all’incremento della popolazione anziana, le aree interne stanno subendo una marcata diminuzione della popolazione giovanile, dovuta sia al calo delle nascite sia all’emigrazione dei più giovani verso le aree urbane.
Le difficoltà sono particolarmente accentuate nei comuni periferici e ultraperiferici. Al 1° gennaio 2024, questi Comuni hanno una popolazione di oltre 65 anni che rappresenta il 25,9% nei comuni periferici e il 26,8% nei comuni ultraperiferici, rispetto a una media del 25,2% nelle aree interne. contemporaneamente, la percentuale di bambini sotto i 15 anni è molto bassa, con solo l’11,5% nei comuni periferici e l’11,0% nei comuni ultraperiferici. Questo scenario accentua ulteriormente il contrasto tra le aree interne e le aree urbane, dove la demografia giovanile è meno compromessa e la crescita è più sostenibile.
La fuga dei giovani
In questo scenario, i giovani rappresentano una risorsa preziosa e quasi in estinzione. La migrazione giovanile dalle aree interne verso i centri e l’estero è una vera e propria emorragia di capitale umano. I giovani laureati, che dovrebbero essere i pionieri di una rinascita, scelgono spesso di abbandonare questi luoghi in cerca di opportunità che sembrano più concrete e allettanti altrove. Il risultato è una spirale discendente che si alimenta da sola: meno giovani significano meno nascite, e quindi un ulteriore invecchiamento della popolazione. Negli ultimi vent’anni, oltre 330mila giovani laureati hanno lasciato le aree interne per trasferirsi nei centri urbani o all’estero, mentre solo 45mila si sono trasferiti in senso opposto. Nello stesso periodo, sono rientrati verso le aree interne 198mila giovani laureati dai centri e 17mila dall’estero. Ne consegue che la perdita di capitale umano delle aree interne è pari a 132mila giovani risorse qualificate a favore dei centri e di 28mila a favore dei Paesi esteri. Complessivamente lo svantaggio per le aree interne è pari a 160mila giovani laureati. Questo esodo non solo impoverisce il tessuto sociale ed economico locale, ma crea anche un circolo vizioso: meno giovani significano meno innovazione e meno possibilità di attrarre investimenti.
Eppure, in questo quadro di apparente desolazione, esiste un potenziale inespresso. Le aree Interne, con il loro fascino unico e il loro patrimonio culturale, possono rappresentare una risorsa inestimabile, con l’introduzione di misure mirate che favoriscano la creazione di opportunità lavorative localmente, come l’incentivazione dell’imprenditorialità giovanile, il sostegno a progetti di agricoltura sostenibile e il potenziamento delle infrastrutture digitali. La possibilità di lavorare a distanza, ampliatasi durante la pandemia, potrebbe rappresentare una leva importante per invertire la tendenza migratoria, rendendo le aree interne nuovamente attraenti per i giovani professionisti.
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