Rivalutazione delle pensioni: il conguaglio dello 0,8% arriva a dicembre
- 19/10/2023
- Welfare
Adesso è arrivata anche l’ufficialità: il conguaglio delle pensioni sarà anticipato da gennaio 2024 a dicembre 2023. Milioni di pensionati italiani, dunque, otterranno tra meno di due mesi la quota di adeguamento all’inflazione non riconosciuta a inizio anno pari allo 0,8% dell’assegno.
A gennaio scorso, infatti, gli assegni pensionistici hanno subito una rivalutazione del 7,3%, ma si trattava di un tasso provvisorio per compensare l’aumento dei prezzi del 2022. Questo tasso era il valore medio dell’inflazione calcolato a novembre 2022, mentre quello di fine anno, reso noto successivamente dall’Istat, è risultato leggermente più alto, pari all’8,1%.
Di norma, lo 0,8% della differenza tra i due valori dovrebbe essere riconosciuto a gennaio dell’anno nuovo, ma il governo sta pensando di riconoscere il conguaglio già a novembre. I dettagli dovrebbero essere fissati con un decreto legge nei prossimi giorni anche perché non c’è molto tempo. Se si vuole anticipare il conguaglio bisogna dare all’Inps la possibilità di effettuare le operazioni necessarie per procedere con il ricalcolo e disporre regolarmente il pagamento.
L’anticipo del conguaglio era stato già adottato dal governo Draghi a ottobre 2022 ed è l’emblema di come la politica economica stia ancora rincorrendo l’inflazione.
A quanto ammonta la rivalutazione delle pensioni
La rivalutazione dello 0,8% consente aumenti molto bassi che comunque, nelle intenzioni del governo, dovrebbero aiutare le fasce più deboli ad affrontare il caro-vita insieme alla Carta ‘Dedicata a Te’ e al patto anti-inflazione. Se il conguaglio verrà anticipato a novembre, comporterà il pagamento degli arretrati con decorrenza da gennaio 2023. Praticamente verrà riconosciuta una somma pari allo 0,8% dell’assegno pensionistico moltiplicato per dieci mensilità, da gennaio a ottobre.
Il conguaglio anticipato delle pensioni è anche un meccanismo contabile che consente di contenere l’impatto sui conti pubblici della spesa previdenziale per il prossimo anno, previsti in netto rialzo anche nel 2024. Ad ora, l’Istat ha calcolato aumenti medi del 3% nel 2025 e nel 2026, ma c’è il rischio che anche queste stime si rivelino al ribasso.
Visto il ridotto spazio di manovra e l’urgenza di sostenere i redditi più bassi, lo 0,8% di rivalutazione non verrà applicato per intero a tutte le pensioni.
Per capire come aumenteranno le pensioni bisogna fare riferimento alle percentuali di rivalutazione disposte dalla legge di Bilancio 2023, dove si stabilisce che hanno diritto alla perequazione per intero solamente i pensionati con un assegno che non supera di 4 volte il trattamento minimo. Quindi il tasso dello 0,8% sarà applicato solo a chi ha una pensione che non supera i 2.100 euro lordi mensili. Se l’assegno pensionistico supera questa soglia, invece, si applicano le percentuali riviste dalla legge di Bilancio 2023, ovvero:
– tra 2.101,53 e 2.626,90 euro: 85% del tasso, quindi l’aumento sarà dello 0,68%. Una pensione di 2.500 euro, ad esempio, godrà di un incremento di 17 euro;
– tra 2.626,91 e 3.152,28 euro: 53% del tasso, quindi un aumento dello 0,424%. Chi ha una pensione di 3.000 euro, ad esempio, avrà diritto a 12,72 euro in più;
– tra 3.152,29 e 4.203,04 euro: 47% del tasso, quindi la perequazione sarà pari allo 0,376%. Chi incassa una pensione di 3.500 euro avrà un aumento di 13,16 euro;
– tra 4.203,05 e 5.253,80 euro: 37% del tasso, quindi 0,296% di adeguamento. 14,80 euro al mese in più, quindi, per chi ha una pensione di 5.000 euro;
– oltre i 5.253,81 euro: 32% del tasso, con l’adeguamento che scende quindi allo 0,256% dell’attuale assegno pensionistico. I pensionati con assegno di 6.000 euro godranno quindi di un aumento pari a 15,36 euro al mese.
Tutte le cifre degli assegni mensili sono da considerarsi al lordo.
Riforma pensioni 2024
Le principali sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil spingono per la flessibilità nell’accesso alla pensione, senza penalizzazioni per chi ha contributi prima del 1996, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Il sottosegretario al lavoro della Lega Claudio Durigon sostiene la necessità di arrivare a “Quota 41”, ovvero l’accesso alla pensione di vecchiaia per tutti senza limiti di età con il solo requisito di 41 anni di contributi.
Tuttavia, il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha congelato l’entusiasmo sulla possibilità di una riforma delle pensioni, spiegando che non ci sono spazi per aumentare la spesa pensionistica nel breve e medio periodo, a causa della denatalità.
Nella Manovra 2024, dunque, dovrebbe restare il meccanismo Quota 103 che consente il pensionamento anticipato con 62 anni di età e 41 anni di contributi. In ogni caso, nella contribuzione sarà possibile conteggiare il riscatto della laurea, le agevolazioni delle aziende e la rendita da pensione integrativa.
Tra le valutazioni del governo spicca l’ipotesi di “Quota 84” per sostituire “Opzione Donna”. La proposta prevede l’uscita anticipata dal lavoro per le donne con 58 anni di età per le lavoratrici, 59 anni per le autonome e 63 anni con 20 anni di contributi, ma non finisce qui.
Il governo starebbe anche valutando un restyling di “Opzione Donna”, introducendo un’indennità-ponte a partire dai 61-62 anni. Si ricorda che questa è un sistema di pensione anticipata per le lavoratrici italiane che permette alle donne dipendenti di andare in pensione a 58 anni di età e alle lavoratrici autonome a 59 anni, a condizione che abbiano maturato almeno 35 anni di contributi. L’assegno pensionistico viene calcolato con un sistema interamente contributivo.
La situazione attuale, però, mette al primo posto l’urgenza di trovare nuovi fondi per le pensioni, mentre i pensionati aumentano e i lavoratori diminuiscono per effetto della crisi demografica.
Per questo, il governo starebbe già ipotizzando un nuovo taglio parziale della rivalutazione sulle pensioni più alte probabilmente a partire da quelle oltre 5 volte il minimo, viste le difficoltà nel reperimento delle risorse.
Quanti pensionati ci sono (e ci saranno) in Italia?
Secondo il Rapporto Annuale 2023 dell’Inps, al 31 dicembre 2022, in Italia vi erano 16,2 milioni di pensionati. Questo dato include sia le pensioni dirette, ovvero quelle erogate a coloro che hanno versato contributi previdenziali, sia le pensioni indirette o di reversibilità, che sono quelle erogate ai superstiti dei contribuenti. La situazione, già molto difficile allo stato attuale, sembra destinata a un inesorabile peggioramento, se non ci sarà un’inversione del calo demografico.
Stando alle previsioni demografiche dell’Istat, entro il 2050 la popolazione italiana potrebbe oscillare tra 51,1 e 57,5 milioni di persone, con una percentuale di persone di 65 anni e più che potrebbe rappresentare tra il 33% e il 36,7% del totale. Il rapporto “Previsioni popolazione e famiglie-Base 1° gennaio 2022” spiega che il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più), oggi di 3 a 2, passerà a circa 1 a 1 nel 2050. Tra 25 anni, l’Italia rischia di avere un pensionato ogni lavoratore, uno scenario che potrà costare caro a entrambe le categorie.
In conclusione, intervenire sulle pensioni ha sempre di più l’aspetto di un palliativo con una data di scadenza. L’unica reale soluzione all’annoso problema delle pensioni è la rinascita demografica.
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