Rientro di cervelli, ecco gli “incentivi” per gli espatriati
- 12/12/2023
- Welfare
Tornare in Italia conviene? Forse sì, ma non proprio a tutti gli “espatriati”. È su quanto stanno lavorando oggi i nostri rappresentanti politici. Perché il Parlamento italiano si sta muovendo per favorire la natalità e premiare chi rientra in Italia, anche con figli minori. Lo scorso 5 dicembre, infatti, il Governo ha ricevuto il via libera per il testo del decreto legislativo in materia di fiscalità internazionale ed è pronto a recepire l’indicazione delle commissioni parlamentari a sostegno delle famiglie.
Al centro della questione c’è il rientro con regime agevolato per i lavoratori che torneranno in Italia a partire dal primo gennaio 2024 e che sceglieranno di spostare nel Belpaese la propria residenza.
Tra le principali novità ci sarà la possibilità di un regime più vantaggioso: l’ipotesi è quella di permettere una detassazione maggiorata al 60-70% per i genitori di minori che rientrano. La richiesta di modifica chiedeva anche di “incentivare la natalità attraverso ulteriori misure agevolative per i lavoratori che diventano genitori durante il periodo di fruizione del regime agevolativo”, il tutto con un “prolungamento temporale dell’incentivo che sia, per quanto riguarda i figli minori a carico, anche proporzionale al numero degli stessi”.
Tutto ciò è finalizzato, essenzialmente, agli oltre 1,3 miliardi di euro che questa manovra potrebbe portare alle casse dello Stato. Sono stati poco più di 440 mila i rimpatri negli ultimi dieci anni, 24 mila lo scorso anno secondo il ministro dell’Economia Giorgetti, con numeri da capogiro se si considerano i cervelli in fuga: circa sei milioni gli italiani all’estero, dei quali un terzo è altamente qualificato.
E per quanto ci si stia impegnando per favorire questo rimpatrio, dagli italiani all’estero è percepito per lo più come un fallimento o un incentivo a metà. Scopriamo insieme perché.
Limiti e criticità
L’agevolazione fiscale ha il sapore di un flop per chi vorrebbe rientrare in Italia. A pesare sui lavoratori, infatti, sono i criteri e le condizioni che riguardano solo chi trasferisce la propria residenza fiscale nel nostro Paese e che non l’abbia avuta nei tre anni precedenti.
L’impegno è quello di risiedere in Italia per almeno cinque anni e impegnarsi ad instaurare un nuovo rapporto di lavoro con un soggetto diverso da quello presso cui erano impiegati all’estero prima del trasferimento, nonché da quelli appartenenti al suo stesso gruppo. Inoltre, i lavoratori espatriati disposti a tornare devono avere elevate qualificazioni o specializzazioni e, quindi, almeno una laurea triennale. Resta poi il tetto di reddito a 600mila euro all’anno oltre cui scatta la tassazione ordinaria. Una stretta che pare nasca da esigenze di cassa.
La voce degli espatriati
Per dare voce agli espatriati c’è il Gruppo Rientro Italia che conta oltre duemila persone iscritte su WhatsApp e che esprime la propria preoccupazione, rabbia e proposte per trovare una soluzione all’annuncio del governo di limitare tali agevolazioni fiscali. “Ce ne eravamo andati perché in Italia non c’è futuro, ora che volevamo tornare, scommettendo sul nostro Paese, questo ci tradisce ancora una volta”, hanno raccontato al Corriere della sera alcuni testimoni prioritari di quanto sta accadendo.
Poi, una petizione online per chiedere che governo e parlamento provvedano a correggere la riforma ha preso spazio nei canali di comunicazione mainstream: “Le modifiche proposte costringeranno molti a emigrare nuovamente o a non rientrare mai in Italia, perdendo così la possibilità di veder tornare un’ingente quantità di capitale umano su cui il Paese ha investito anni di formazione – si legge nel testo della petizione online -. Chiediamo che Governo e il Parlamento provvedano a correggere questa grave proposta di riforma che danneggia il Paese e ne mina la credibilità: chi si fida delle norme e delle Istituzioni viene puntualmente tradito”.
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