Perché parlare di tassi di interesse significa parlare di demografia
- 15/12/2023
- Welfare
La Bce ha lasciato i tassi invariati, ma il livello resta comunque eccessivamente elevato per le imprese italiane. L’ultimo rapporto Bankitalia evidenzia il crollo dei prestiti all’economia, in particolare quelli alle imprese, che subiscono il mix degli alti tassi d’interesse praticati e delle condizioni più restrittive di accesso imposte dalle banche.
Ne conseguono un aumento del Taeg (Tasso annuale effettivo globale), il vero parametro di riferimento per valutare “quanto costa il denaro”, e difficoltà sempre maggiori per il sistema produttivo italiano.
L’effetto del tasso sui prestiti
Stando all’ultimo rapporto Bankitalia, a ottobre i prestiti del settore privato, già in calo del 3,6% a settembre, sono calati ulteriormente del 3,2% mentre i tassi di interesse sui nuovi prestiti alle imprese sono saliti dal 5,35% al 5,46%. Più nello specifico: i tassi per prestiti fino a 1 milione di euro sono arrivati al 5,95%, mentre sono al 5,17% per i prestiti di importo superiore a tale soglia.
Se si va ad analizzare il crollo dei prestiti, si nota come siano soprattutto le imprese ad essere colpite: la diminuzione, infatti, è stata pari al -1,1% per i consumatori (-0,9 il mese precedente) mentre è stata vertiginosa per le imprese (società non finanziarie) dove, dopo il -6,7% registrato a settembre, si è registrato un ulteriore calo del 5,5%. Uno scenario che rischia di impoverire ulteriormente la demografia delle imprese, già in evidente affanno nel corso di quest’anno.
Meno finanziamenti, meno imprese
Come riporta l’Istat, nel secondo trimestre 2023 la presenza di nuove imprese è calata del 3,7%. Il dato certifica la tendenza dei precedenti anni e riguarda quasi tutti i settori.
Gli unici comparti in controtendenza sono l’industria in senso stretto (che ha registrato nuove registrazioni di impresa in una misura pari al +2,7%) e il commercio, che risulta stazionario in linea rispetto al primo trimestre di quest’anno. I settori che hanno subito la maggiore contrazione sono il comparto dell’informatica e comunicazione (le nuove iscrizioni di impresa registrano un -8,5%) e quello delle costruzioni (nuove imprese -8% rispetto al trimestre precedente) su cui incide pesantemente la stretta sul Superbonus 110%.
La crescente difficoltà delle imprese ad ottenere finanziamenti evidenziata da Banktialia si ripercuote sulla demografia delle imprese, come dimostra il fatto che la contrazione della densità commerciale sia generata soprattutto dai fallimenti delle imprese.
Non solo l’aumento del costo del denaro, ma anche la crisi demografica influisce sulla diffusione delle imprese in Italia, attraverso vari canali:
- Riduzione del mercato di riferimento: se la popolazione diminuisce, il mercato di riferimento dell’impresa potrebbe ridursi, con conseguente riduzione delle opportunità di vendita;
- riduzione della domanda di lavoro: se la popolazione diminuisce, la domanda di lavoro potrebbe diminuire, con conseguente riduzione delle opportunità di lavoro per le imprese;
- cambiamenti nelle tendenze di consumo: se la popolazione diminuisce, possono verificarsi cambiamenti nelle tendenze di consumo, con conseguente necessità per le imprese di adattarsi a queste nuove tendenze;
- riduzione delle opportunità di mercato: se la popolazione diminuisce, possono ridursi anche le opportunità di mercato per le imprese, con conseguente riduzione delle opportunità di crescita.
In una congiuntura del genere, i prestiti/finanziamenti costituiscono linfa vitale per le imprese, che hanno bisogno di risorse finanziarie per resistere al periodo difficile e non abbassare definitivamente la saracinesca. Nel contesto rialzista, tuttavia, sempre meno imprese riescono ad accedere ai finanziamenti bancari.
Autofinanziamento (per chi può)
Soprattutto le micro e piccole imprese, infatti, hanno registrato una contrazione dei finanziamenti bancari a fronte dei tassi sempre più elevati.
Come riportato dal Censimento permanente delle imprese 2023 condotto dall’Istat, nel 2022 lo strumento più utilizzato dalle le imprese con almeno 3 addetti è stato quello dell’autofinanziamento: vi hanno fatto ricorso quattro imprese su cinque (80,3%), in netta crescita rispetto al 2011 quando vi facevano ricorso appena due imprese su tre (60,4%), o rispetto al periodo pre-pandemico quando interessava tre imprese su quattro (74,5%).
I principali utilizzatori di questo tipo di finanziamento restano le imprese di minore dimensione (82,3% delle microimprese) e, dal punto di vista settoriale, quelle dei servizi.
L’autofinanziamento attinge le risorse dagli utili dell’impresa, ed è quindi una forma di finanziamento accessibile solo alle imprese che non sono in perdita. Chiaramente, con i criteri sempre più rigidi imposti dalle banche e i tassi d’interesse elevati, un’impresa che non riesce ad accedere all’autofinanziamento ha poche possibilità di accedere anche al finanziamento ‘esterno’, ovvero bancario. Una situazione che sta generando maggiori fallimenti e l’allargamento del divario tra piccole e grandi imprese.
Se l’Italia invecchia, le imprese chiudono
Se confrontato al calo demografico, quello delle imprese è proporzionalmente maggiore. Questo accade perché non conta solo quante persone ci siano in uno Stato, ma la loro età. Dati alla mano, una popolazione più anziana consuma meno e, al tempo stesso, non costituisce domanda di lavoro.
In definitiva, la crisi delle nascite sottrae forza al sistema economico, anche se va sottolineato che l’aumento dell’età media della popolazione italiana non è solo il risultato del calo delle nascite contestuale ma anche dell’innalzamento della speranza di vita.
Secondo le stime Istat, nel 2070 il numero di ultranovantenni passerà dagli attuali 820.000 a 2,2 milioni e già oggi in Italia quasi una persona su 4 è over 65 (il 24,1%). Occorre intervenire prima che la demografia italiana diventi inguaribile.
Come ampiamente dibattuto e analizzato nel corso dell’evento “Lavoro e welfare a misura di famiglia” organizzato dall’Adnkronos, demografia, lavoro e welfare sono tre aspetti legati a doppio filo e da cui dipende il nostro futuro.
In quest’ottica, l’invecchiamento della popolazione rappresenta una minaccia anche sotto il profilo della produttività che in Italia è nettamente più bassa rispetto alle altre grandi potenze mondiali: a partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, arrivando nel 2021 a un divario del 25,5%!
Anche se non basta a giustificare il ritardo salariale dell’Italia rispetto agli altri Paesi Ocse, la minore produttività rappresenta un ostacolo a migliorare le condizioni retributive.
Effetto domino
Crisi demografica ed economica sono connesse in un effetto domino difficile da interrompere:
- La popolazione invecchia;
- Aumenta la spesa pubblica;
- Il welfare diventa sempre più insostenibile
- Diminuisce la produttività delle imprese (e molte chiudono);
- I salari non salgono;
- I giovani hanno difficoltà a metter su famiglia.
Dall’ultimo punto si ritorna al primo in un circolo vizioso che negli ultimi decenni si sta allargando.
Tra tutti gli elementi dell’effetto domino, l’unico su cui è possibile intervenire direttamente è quello dei salari, che rappresentano la chiave di volta per interrompere il circolo vizioso che danneggia la demografia della popolazione e delle imprese italiane.
Come visto nell’evento su citato, i buoni esempi di welfare aziendale non mancano, ma non possono bastare a invertire il trend demografico. D’altro canto, sarebbe errato delegare all’iniziativa privata il compito di preservare il futuro del paese che è e resta una prerogativa pubblica.
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