Paese che vai, felicità che trovi: individuata la “soglia minima” per vivere più a lungo (e meglio)
- 3 Novembre 2025
- Welfare
È noto da tempo che la felicità può influenzare positivamente la carriera, le relazioni e, soprattutto, la salute. Tuttavia, un recente studio pubblicato su Frontiers in Medicine ha introdotto una prospettiva cruciale: per trasformare il benessere soggettivo in una vera risorsa per la longevità, deve esistere una soglia minima di soddisfazione.
Secondo i ricercatori, il livello di felicità di una nazione non è solo una questione personale, ma può influenzare il rischio di morte prematura dei suoi abitanti. Il team di ricerca, guidato dalla professoressa Iulia Iuga dell’Università di Alba Iulia, in Romania, ha analizzato dati provenienti da 123 Paesi, raccolti tra il 2006 e il 2021, utilizzando statistiche sanitarie globali e sondaggi di opinione pubblica.
La soglia minima di felicità
Per stimare il livello di benessere, i ricercatori hanno impiegato la scala “Life Ladder” (Scala della Vita). Questa scala va da zero, che rappresenta l’infelicità e la peggior vita immaginabile, a 10, che indica la migliore vita possibile.
Lo studio ha identificato un unico punto di svolta statisticamente rilevante: 2,7 punti sulla Scala della Vita. Una volta che un Paese superava questo punteggio, si registrava una diminuzione misurabile dei decessi dovuti a malattie croniche o non trasmissibili tra le persone di età compresa tra 30 e 70 anni.
Ciò che sorprende è che il punteggio di 2,7 si trova nella parte inferiore della scala. I Paesi che vi si posizionano sono generalmente considerati infelici o in difficoltà. La professoressa Iuga ha suggerito che un aggettivo che si adatta a questo livello potrebbe essere “a malapena in grado di farcela“. Nonostante ciò, eguagliando e superando anche di poco quella soglia, al benessere del Paese corrisponde un incremento della salute pubblica.
Salute di una nazione e felicità delle persone
Superato il punto critico di 2,7, i benefici per la salute si sbloccano e diventano progressivamente più significativi. Lo studio ha rilevato che ad ogni aumento dell’1% del benessere sociale o soggettivo di un Paese, corrispondeva una diminuzione stimata dello 0,43% del tasso di mortalità per malattie non trasmissibili nella fascia d’età 30-70 anni.
Tali malattie rappresentano una sfida sanitaria globale, essendo state responsabili di circa il 75% dei decessi non correlati alla pandemia nel 2021. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), nel 2021, queste malattie hanno causato almeno 43 milioni di decessi a livello globale. Quasi il 42% di queste persone è deceduto prima dei 70 anni, principalmente a causa di quattro gruppi di malattie: malattie cardiache (19 milioni di decessi), tumore (10 milioni), malattie respiratorie croniche (4 milioni) e diabete (2 milioni).
È interessante notare che, all’interno dell’intervallo di felicità osservato (fino a 7,97 sulla scala), la ricerca non ha trovato prove di effetti negativi derivanti da una felicità “eccessiva”; il beneficio protettivo rimane significativo in tutto lo spettro superiore.
I fattori che incidono sui tassi di mortalità
La felicità, intesa come benessere soggettivo, agisce come un moltiplicatore di capacità, ma solo una volta soddisfatte determinate condizioni socioeconomiche e istituzionali di base. I Paesi che riescono a superare la soglia di 2,7 tendono ad avere una spesa sanitaria pro capite più elevata, reti di sicurezza sociale più solide e una governance più stabile rispetto a quelli che si collocano al di sotto.
L’analisi ha evidenziato come l’impatto di vari fattori sulla mortalità per malattie non trasmissibili cambi a seconda del regime di felicità:
1. Le spese sanitarie pro capite più elevate sono state generalmente associate al superamento della soglia di felicità. Inoltre, la spesa sanitaria si è rivelata un fattore protettivo coerente nel ridurre la mortalità per malattie non trasmissibili in entrambi i gruppi di Paesi (sia quelli a basso che ad alto benessere).
2. L’obesità e il consumo di alcol rimangono fattori di rischio significativi, aumentando costantemente i decessi in entrambi i regimi. Tuttavia, l’effetto dell’obesità era più pronunciato nei Paesi con livelli di benessere soggettivo più bassi.
3. Il tasso di urbanizzazione ha mostrato un’associazione positiva dannosa con la mortalità per malattie non trasmissibili nei Paesi a basso benessere. Al contrario, nei Paesi con punteggi Life Ladder più alti, l’urbanizzazione è diventata un fattore protettivo.
4. L’inquinamento atmosferico ha un impatto positivo e statisticamente significativo sulla mortalità nei Paesi a basso benessere, ma l’effetto è risultato statisticamente non significativo nei Paesi con livelli di benessere soggettivo più elevati.
5. Il Prodotto interno lordo (Pil) pro capite ha mostrato una relazione significativa e inversa con la mortalità solo nei Paesi con livelli più elevati di benessere soggettivo.
Felicità come obiettivo di sanità pubblica
I risultati di questa ricerca forniscono spunti diretti per orientare le politiche sanitarie e sociali, integrando il benessere nelle agende nazionali.
Innanzitutto, i governi dovrebbero puntare a spingere le loro popolazioni oltre la soglia di 2,7. Questo può essere ottenuto non solo attraverso il miglioramento degli standard di vita di base, ma anche promuovendo stili di vita sani, ampliando la prevenzione dell’obesità, inasprendo la disponibilità di alcol e migliorando l’ambiente.
Lo studio ha inoltre dimostrato l’esistenza di una causalità bidirezionale tra felicità e mortalità. Ciò significa che una maggiore felicità non solo prevede una minore mortalità, ma un calo della mortalità rafforza ulteriormente il benessere. Questo crea un ciclo virtuoso: le politiche che riducono i decessi attivano un ulteriore aumento della soddisfazione di vita, amplificando l’efficacia degli investimenti futuri in salute.
In conclusione, come affermato dalla Prof.ssa Iuga, “la felicità non è solo un sentimento personale, ma anche una risorsa misurabile per la salute pubblica“. Identificare questo punto di svolta critico può fornire prove più accurate per le politiche sanitarie future.

