Occupazione femminile, Italia fanalino di coda in Ue
- 02/01/2024
- Welfare
Una donna su cinque lascia il lavoro dopo essere diventata mamma. Spesso ciò accade nei primi tre anni di vita del neonato. Questa la fotografia che conferma quanto già è ormai emerso sull’occupazione femminile in Italia. A sostenerlo, questa volta, è il dossier del Servizio Studi della Camera.
Il nostro Paese si classifica negativamente nel contesto europeo, risultando fanalino di coda. Il tasso di occupazione femminile, secondo i dati relativi al quarto trimestre 2022, è il più basso tra tutti gli Stati membri. Il dato corrisponde a circa 14 punti percentuali al di sotto della media. E, nello specifico, per le donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni, è stato pari al 55%, mentre quello dell’occupazione medio nell’Ue è di quasi 70 punti percentuali.
Il divario di genere
Il dossier si è concentrato anche sulla situazione nazionale relativa alla disparità occupazionale di genere. Le donne occupate risultano essere in totale 9,5 milioni a confronto con la popolazione maschile occupata pari a 13 milioni.
“Nel quadro delle strategie sovranazionali – si legge nel dossier della Camera -, si collocano l’Agenda 2030, la Strategia per la parità di genere 2020-2025 dell’UE e la direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, per la parità retributiva. Nel quadro delle strategie nazionali, si collocano il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), la Strategia per la parità di genere 2021-2026 e il Bilancio di genere”.
Secondo i dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’Inps, nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne). Con riferimento a tale settore privato, si segnala che la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 ha tra gli obiettivi quello di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10%.
“Dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto – si legge ancora nel dossier -, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l’occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49 per cento delle donne occupate (contro il 26,2 per cento degli uomini)”.
Per quanto riguarda i servizi offerti in tema di infanzia e natalità, a causa del calo delle nascite (dunque dei potenziali utenti dei servizi), si è ridotto gradualmente il gap fra bambini e posti nei nidi, la frequenza si avvicina al target europeo fissato per il 2010 (33%) ma resta ampia la distanza rispetto al target per il 2030 (45%).
In ripresa dopo la pandemia l’offerta dei nidi (+1.780 posti), ma le richieste di iscrizione sono in gran parte insoddisfatte. Il dato più preoccupante riguarda il Mezzogiorno con 66,4% nel pubblico, 48,7% nel privato. Nell’accessibilità al servizio penalizzate le famiglie più povere, sia per i costi delle rette, sia per la carenza di nidi in diverse aree del Paese.
Le misure nazionali
In ambito nazionale si collocano la previsione di esoneri contributivi in favore dei datori di lavoro che assumono donne, anche in condizioni di svantaggio; la realizzazione di azioni positive finalizzate a promuovere la conciliazione tra il tempo privato e quello lavorativo, tutelando la maternità, la paternità, l’assistenza ai soggetti disabili. Altre misure riguardano più strettamente il mondo del lavoro, quali quelle in tema di lavoro agile e di trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale; da ultimo, si segnala il Codice di autodisciplina delle imprese.
Infine, c’è da tener conto di quelle misure volte alla parità di genere previste nel richiamato Pnrr. La certificazione di parità di genere e la promozione della creazione di imprese femminili, sono due esempi lampanti. A questi, si aggiunge, la promozione dell’accesso da parte delle donne all’acquisizione di competenze in materia Stem e il potenziamento dei sistemi di supporto per l’infanzia.
Il quadro preoccupa in vista di un dilagante fenomeno di denatalità. La carenza di servizi sufficienti e il tasso di occupazione basso, oltre che una disparità salariale di genere evidente, potrebbero solo peggiorarlo.
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