Lavoro, una questione demografica: “Sempre più anziani. Penalizzate le donne”
- 14/12/2023
- Welfare
“Una ripresa con il freno a mano tirato”. Così è stata definita dall’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, la situazione lavorativa nel nostro Paese. A pesare sono i salari bassi, la scarsa produttività e la poca formazione. Ma è anche una questione demografica. A sottolinearlo è il Rapporto 2023 dell’Istituto che spiegato quanto sia sempre più anziana la forza lavoro e quanto siano spesso le donne le più penalizzate.
“Dopo la crisi pandemica le dinamiche del mercato del lavoro hanno ripreso a crescere ma con rallentamenti dovuti sia a fattori esterni, dal conflitto bellico alle porte dell’Europa, alla crescita dell’inflazione e della crisi energetica, ma anche – ha spiegato il presidente dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche – a fattori interni, come il basso livello dei salari che si lega alla scarsa produttività, alla poca formazione e agli incentivi statali per le assunzioni che non hanno portato quei benefici sperati, se pensiamo che più della metà delle imprese (il 54%) dichiara di aver assunto nuovo personale dipendente, ma solo il 14% sostiene di aver utilizzato almeno una delle misure previste dallo Stato. Occorrono quindi degli interventi mirati e celeri capaci di indirizzare il mercato del lavoro verso una crescita più sostenuta, che non può prescindere dalla rivoluzione tecnologica e digitale che sta modificando i processi produttivi.”
“Forza lavoro” sempre più anziana
L’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro è un dato conclamato. Mentre nel 2002 ogni 1.000 persone che avevano un’età compresa tra 19 e 39 anni ce n’erano poco più di 900 aventi 40-64 anni, nel 2023 quest’ultimo valore ha superato le 1.400 unità. Oggi, infatti, ogni 1.000 lavoratori di 19-39 anni ci sono ben 1.900 lavoratori adulti-anziani.
I settori con più lavoratori anziani sono quelli della pubblica amministrazione, seguito da quello finanziario e assicurativo. Nella pubblica amministrazione, ci sono 3,9 lavoratori anziani ogni lavoratore giovane.
Donne penalizzate
Per quanto riguarda l’occupazione femminile in rapporto agli incentivi messi in campo, ancora una volta si è ribadito un dato che preoccupa. Un’esigua percentuale di aziende (4,5%) ha sostenuto che l’introduzione del programma di incentivazione è stato importante ai fini delle loro decisioni di assunzione. La probabilità di ricorrere a uno o più schemi di incentivazione all’occupazione è maggiore del 50% per le imprese di grandi dimensioni (con più di 250 addetti), mentre si riduce sensibilmente raggiungendo il 24% per le microimprese.
Le imprese del Mezzogiorno sono molto più propense a utilizzarle: circa il 38% delle imprese del Sud e il 36% di quelle localizzate nelle Isole dichiara di aver usato almeno un incentivo, contro il 20% (in media) delle aziende localizzate nelle altre aree.
Nonostante la pluralità di incentivi in campo, nessuno di questi istituti è riuscito ad attivare almeno il 50% di donne. Inoltre, il 58,5% delle assunzioni agevolate delle donne è a tempo parziale, contro il 32,2% degli uomini. Il ricorso agli incentivi, quindi, riproduce lo scenario noto di un’occupazione femminile minore per quantità (le donne sono il 40,9% delle assunzioni agevolate) e con minori ore lavorate.
Questione salariale, dimissioni, formazione
Per ciò che riguarda alcuni tra gli altri aspetti del mondo lavorativo, si spiegherebbe quel “freno a mano” rispetto alla ripresa attesa e necessaria. Tra il 1991 e il 2022 – si legge nel Rapporto Inapp – i salari reali sono rimasti pressoché invariati, con una crescita dell’1%, a differenza dei Paesi dell’area Ocse dove sono cresciuti in media del 32,5%. In particolare, nel solo 2020 si è registrato un calo dei salari in termini reali del -4,8%. Nel 2023, invece, si è registrata anche la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse con un -33,6%.
Inoltre, si stima che il 14,6% degli occupati tra i 18 e i 74 anni (oltre 3,3 milioni di persone) abbia pensato di dimettersi. Rispetto alla formazione continua si confermano i bassi livelli di partecipazione degli individui agli interventi formativi. La popolazione adulta di età compresa tra 25 e 64 anni che ha partecipato ad attività di istruzione e formazione è stata infatti nel 2022 pari al 9,6%. È una quota che denota comunque un avanzamento consistente rispetto al 2020 (+2,4%), ma che allontana l’Italia dall’Europa: nel confronto con il corrispondente valore medio europeo (11,9%), il nostro Paese perde terreno (-2,3%) rispetto all’avanzamento registrato l’anno precedente.
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