In Europa 12% lavoratori precario, in Italia il trend peggiore
- 28/07/2023
- Welfare
In Europa, circa un lavoratore su 8 ha un lavoro a tempo determinato. L’Italia si colloca al sesto posto di questa speciale classifica, ma registra la tendenza peggiore tra i 27 Paesi nell’ultimo decennio.
Il lavoro subordinato a tempo determinato è più frequente tra le persone giovani, tra chi ha un livello di istruzione più basso ed è più frequente tra le donne rispetto agli uomini. Vediamo da vicino i dati del Eu labour force survey (ovvero rilevamento sulla forza lavoro) di Eurostat sul 2022.
La precarietà in Europa segna un lieve ma costante calo
Sono circa 24 milioni i lavoratori europei con un contratto a tempo determinato, il 12,1% degli occupati e il 14% di tutti i lavoratori dipendenti. Per gli over 25 la ragione principale è il non aver trovato un’offerta di lavoro permanente, come ha affermato il 37,7% degli intervistati in questa fascia di età. Analizzando l’ampia fascia sotto i 30 anni, invece, solo il 21,6% attribuisce la causa della precarietà lavorativa alla mancanza di un’offerta a tempo indeterminato. Al contrario, più di un lavoratore su 4 (28,7%) tra gli under 30 indica come causa la sovrapposizione con un percorso formativo in corso.
I dati registrati nel 2022 sono perfettamente in linea con quelli del 2021 e riflettono un lieve ma costante miglioramento rispetto agli anni precedenti. Nel 2013, i lavoratori europei con contratto a tempo determinato erano il 12,9% del totale, un dato che è incrementato fino al culmine del 2017, quando i precari erano il 13,8% degli occupati. Un crollo importante si è avuto nel 2020, anche se il dato è solo all’apparenza positivo. La percentuale dell’11,9%, infatti, deriva dal fatto che molti precari abbiano perso il lavoro, uscendo quindi dal novero degli occupati.
Il dato viene offerto anche in chiave “Area Euro”. Nel corso del 2022, i 20 Paesi che utilizzano la moneta unica hanno segnato una percentuale di lavoratori precari pari al 13,2%.
Altissima precarietà nei Paesi Bassi, Italia sesta
Molto significativo il caso dei Paesi Bassi dove i lavoratori subordinati a tempo determinato sono il 23,2% del totale, quasi il doppio della media Ue. Seguono Spagna (18,1%), Portogallo (14,3%), Francia e Finlandia (entrambe con il 14%).
La precarietà più bassa si registra nei paesi dell’area baltica e in alcuni dell’Europa orientale. Sul podio dei Paesi dove l’incidenza dei contratti a tempo determinato è più bassa troviamo: la Lituania (1,6%), la Romania (1,8%) e la Lettonia (2,4%).
L’Italia, con il 13,5% (16,8% considerando solo i lavoratori dipendenti) si colloca al sesto posto in Ue, ma preoccupa il trend: il nostro è il Paese europeo in cui l’incidenza dei lavori a tempo determinato è aumentata di più nel corso dell’ultimo decennio: +3,4% tra il 2013 e il 2022.
Ancora una volta, rileva l’Istat, pesano le enormi differenze territoriali. Nel nord della penisola il valore si attesta al 14% circa, nel centro al 16,3%, in linea con la media nazionale, mentre al sud la percentuale di precari sale vertiginosamente al 23% degli occupati.
Nelle ultime settimane il dibattito sul mercato del lavoro italiano è molto acceso. La politica discute del salario minimo e si discute della precarietà lavorativa dei giovani, tra le principali cause del calo demografico. In effetti, l’Italia è lo stato europeo con la quota più elevata di giovani non inseriti in un percorso di formazione che hanno un contratto a tempo determinato: 43,6%, contro una media europea del 25,1%, che è già il doppio rispetto alla media registrata in tutte le età.
Il precariato è ancora più diffuso tra le donne
Al divario territoriale, si aggiunge quello di genere. Nel 2022 le donne europee con un contratto a tempo determinato sono state il 2,4% in più degli uomini. In altri anni il divario è stato più ampio (2,8% nel 2009 e 2,5% nel 2010), ma quello del 2022 è comunque il valore più elevato degli ultimi 12 anni.
Il gender gap influisce in maniera molto diversa tra i 27 Stati. Cipro registra il dato peggiore con circa 7 punti percentuali di distacco tra donna e uomo, seguito da Spagna, Croazia e Finlandia con più di 5 punti. In Italia lo scarto è del 3,5%, quasi un punto in più della media Ue (2,4%). Solo in 3 paesi, tutti situati in Europa orientale (Romania, Bulgaria e Lettonia), la precarietà risulta maggiore tra gli uomini.
in Italia, le donne lavoratrici tra i 25 e i 54 anni rappresentano il 57,4% rispetto all’88,2% degli uomini padri nella stessa fascia d’età. Il 19% ha dichiarato di essersi licenziate di recente o di avere intenzione di farlo nei prossimi mesi, spinte principalmente dalle necessità di prendersi cura dei propri figli.
Eppure, dati alla mano, occupazione femminile e numero di figli non mostrano una chiara correlazione lineare.
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