I conti dell’Inps, i contributi delle aziende e le pensioni: cosa succede
- 18/04/2025
- Welfare
In un Paese che invecchia sempre più rapidamente, con un’aspettativa di vita che continua a crescere e un rapporto tra lavoratori e pensionati in costante deterioramento, emerge un nuovo elemento di preoccupazione per la sostenibilità del sistema previdenziale italiano: 6,6 miliardi di euro di contributi non versati dalle aziende, ma che lo Stato dovrà comunque onorare nei prossimi anni.
Il paradosso dei contributi “fantasma”
Il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps ha lanciato un allarme sul paradosso del nostro sistema previdenziale. Tra il 2018 e il 2022, tre diversi provvedimenti parlamentari hanno stralciato crediti contributivi aziendali non pagati fino al 2015, ma il taglio contabile non elimina l’obbligo di erogare le relative pensioni.
Il meccanismo dell’automaticità delle prestazioni – principio cardine della tutela previdenziale italiana – garantisce infatti ai lavoratori dipendenti il diritto alla pensione anche quando i contributi, pur dovuti, non sono stati effettivamente versati dai datori di lavoro. Questi contributi “figurativi” fanno parte del montante contributivo individuale, ma ora mancano le risorse finanziarie corrispondenti.
“È necessario coprire gli oneri aggiuntivi che l’istituto dovrà sostenere nei prossimi anni per effetto di questo stralcio, dovendo garantire le prestazioni previdenziali ai lavoratori anche a fronte di un mancato versamento della contribuzione”, avverte il Cic, sottolineando l’urgenza di considerare questa voce nella determinazione dei futuri trasferimenti dal bilancio statale all’Inps.
La replica dei vertici: “Nessun buco nei conti”
Non si è fatta attendere la replica dei vertici dell’Istituto. Presidente, Consiglio di Amministrazione e Direttore generale hanno diffuso una nota in cui ribadiscono “con forza che non esiste alcun ‘buco’ nei conti dell’Inps” e che “le operazioni di eliminazione dei crediti contributivi sono state improntate al rigoroso rispetto dei criteri contabili e della normativa vigente”.
Una dichiarazione che, più che smentire il problema, sembra volerlo inquadrare in una diversa prospettiva contabile. Il disallineamento tra contributi effettivamente incassati e pensioni da erogare resta infatti un dato di fatto, come denuncia il Partito Democratico.
La scia dei condoni
Secondo Cecilia Guerra del Pd, i condoni relativi ai contributi sociali “hanno sottratto al bilancio dell’Inps, nel 2024, ben 15,4 miliardi”. La conseguenza è che “il Paese sarà costretto nei prossimi anni a trovare 6,6 miliardi per pagare prestazioni a cui non corrispondono contributi versati”, mentre “mancano i soldi per fare fronte alle conseguenze economiche dei dazi di Trump”.
Il vuoto contributivo rischia di pesare soprattutto su artigiani e commercianti. Il Civ sottolinea come, oltre al “saldo e stralcio”, una significativa perdita di crediti sia dovuta alla “ritardata comunicazione di cessazione attività”: circa 213 milioni per gli artigiani e 565 milioni per i commercianti. Un dato che evidenzia la necessità di migliorare urgentemente i flussi informativi tra le Camere di Commercio e l’Inps, possibilmente attraverso un nuovo Protocollo d’intesa con Unioncamere.
Un quadro demografico sempre più critico
Il problema dei contributi non versati si inserisce in un contesto demografico che continua a mostrare segnali preoccupanti per la sostenibilità del sistema pensionistico. Nonostante il calo dei decessi (-3,1% nel 2024 rispetto al 2023) e l’aumento dell’aspettativa di vita, il saldo naturale della popolazione resta fortemente negativo: -281mila unità.
In base agli Indicatori demografici 2024 dell’Istat, l’anno scorso si è registrato un aumento di cinque mesi della speranza di vita sia per le donne (ora 85,5 anni) che per gli uomini (81,4 anni), superando i valori pre-pandemia del 2019. Un dato che, se da un lato rappresenta un successo per il benessere collettivo, dall’altro aggrava la pressione sul sistema previdenziale. Secondo le proiezioni dell’Istat, il rapporto tra lavoratori e pensionati continuerà a deteriorarsi: dagli attuali tre a due fino a raggiungere la parità intorno al 2050. Entro quella data, le persone over 65 rappresenteranno il 34,5% della popolazione totale italiana.
Il Paese deve investire nella ricerca sull’invecchiamento e trovare soluzioni che possano dare nuovo ossigeno all’economia italiana come ribadito dalla professoressa Alessandra Petrucci. Durante l’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto la Rettrice dell’Università degli studi di Firenze e Presidente di Age-It ha avanzato una proposta ambiziosa, ma necessaria, che punta sulla valorizzazione degli anziani.
Nel 2024, l’Italia ha registrato ben 22.000 centenari e quasi un milione di ultranovantenni, ma latita quando si tratta di coordinare la ricerca sull’invecchiamento. Il confronto con l’estero è impietoso. “Francia, Gran Bretagna, Germania, Portogallo, Paesi Bassi, la maggior parte dei paesi europei ha un’istituzione dedicata. Una nazione giovane come il Canada ne ha fondato uno più di 20 anni fa e quello statunitense, punto di riferimento per tutti, celebra mezzo secolo di attività”, ha sottolineato Petrucci.
Per approfondire: La sfida demografica è una corsa contro il tempo: Petrucci rilancia l’Istituto per l’Invecchiamento
In pensione sempre più tardi
Dal 1° gennaio 2027, l’età pensionabile in Italia dovrebbe aumentare di tre mesi, portando il requisito per la pensione di vecchiaia da 67 a 67 anni e 3 mesi per effetto dell’aumento della speranza di vita. Anche i requisiti per la pensione anticipata subiranno una modifica: sarà necessario aver maturato 43 anni e un mese di contributi per gli uomini e 42 anni e un mese per le donne.
L’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita è un meccanismo volto a garantire la sostenibilità del sistema previdenziale italiano, già messo a dura prova dalla crisi demografica. Secondo le proiezioni rilasciate lo scorso anno dall’Inps, il bilancio dell’Istituto dovrebbe passare da un surplus di 23 miliardi di euro nel 2023 a un deficit di 45 miliardi nel 2032. Nel medesimo periodo, le spese per prestazioni assistenziali e di sostegno potrebbero aumentare, passando da 148 miliardi nel 2023 a 182 miliardi nel 2032, se non verranno attuate politiche efficaci.
Nel frattempo, il divario tra lo stipendio percepito durante la carriera e l’importo della pensione continua a crescere: un lavoratore del settore privato che andrà in pensione con 38 anni di contributi nel 2040 riceverà una pensione lorda pari al 58,7% dell’ultimo stipendio (lordo). Nel 2010, questo rapporto era del 73,6%. In soli trent’anni, si è registrata una perdita di 15 punti percentuali. Per questo motivo, è essenziale considerare l’opzione di una pensione integrativa, anche se attualmente solo una minoranza di italiani si sta attivando in tal senso.
La quadratura del cerchio impossibile?
L’Italia si trova quindi di fronte a una sfida complessa: garantire la sostenibilità di un sistema previdenziale che deve far fronte a un numero crescente di pensionati con una vita media sempre più lunga, contando su un numero decrescente di lavoratori attivi. A questo si aggiunge ora il problema dei contributi “fantasma”, formalmente dovuti ma mai incassati e poi stralciati.
La soluzione indicata dal Civ – utilizzare la fiscalità generale per colmare il buco da 6,6 miliardi – sposta di fatto l’onere su tutti i contribuenti e sulle generazioni future, in un sistema già sotto pressione per molteplici fattori economici e demografici.