“Amici cercasi”, dal social eating al social travelling: cosa c’è dietro il fenomeno
- 17/07/2024
- Trend
Se i tuoi amici non vogliono uscire scarica una applicazione sul tuo telefono e corri a conoscere nuove persone. Che sia per un pranzo, una cena, o una bevuta in compagnia, si tratta di siti e app di messaggistica che non hanno la stessa funzione delle più note app di incontri, ma che – nelle loro funzionalità – mettono in contatto dei perfetti sconosciuti tra di loro. Gli scopi sono diversi: non si cerca la storia di una sera, ma qualcosa di un po’ più duraturo; persone con le quali socializzare.
Si chiama “social eating” e, insieme al “social travelling”, rappresenta una nuova frontiera digitale della socialità.
Le origini
App che consentono a sconosciuti di recarsi in un luogo e trascorrere insieme del tempo non sono una novità per chi è vissuto nell’era analogica. Dalle osterie, alle piazze, in alcune tra le città più storiche d’Italia, si aprivano le porte a chiunque per diffondere cultura e tradizione di un luogo. Oggi, la maggior parte delle attività si è spostata sulla rete internet e app di messaggistica, social network e simili hanno sostituito le “piazze” sociali.
Complice il post Covid-19 e una ritrovata, seppur diversa, socialità, c’è chi, nel corso degli ultimi anni, ha sentito l’esigenza di ampliare le proprie conoscenze oltre la cerchia di persone che si possono incontrare nei consueti luoghi in cui si svolgono le attività quotidiane: dalla scuola, all’università, passando per il lavoro o per la palestra, ad esempio. Ecco come sono nati il social eating e il social travelling.
Social eating
Lo smartphone è diventato un ponte tra se stessi e dei completi sconosciuti. Se puoi incontrare l’amore della tua vita online perché non fare nuove amicizie? Ed è in questo modo che è nato un fenomeno che prende il nome di “social eating”. Ce ne sono di ogni tipo. Una delle forme più note e diffuse è quella dell’”Home restaurant”, diventato un vero e proprio business a tutti gli effetti con proprietari di casa che si improvvisano chef o che, in quanto tali, mettono a pagamento il servizio di una cena con sconosciuti. Poi c’è chi organizza serate ed eventi, chi partecipa a cene o pranzi in ristoranti, ma anche uscite al cinema, al teatro, al museo. Il gruppo che si forma sceglie il tipo di attività e – senza alcun tipo di interesse secondario – nella maggior parte dei casi, si creano amicizie nuove e si fa rete tra le persone.
Le attività di home restaurant hanno costi più o meno elevati in base alle zone in cui si vive o si scegliere di svolgere questa attività. Le “Cesarine”, ad esempio, sono la più antica rete di cuoche casalinghe d’Italia, che aprono le porte della propria casa a viaggiatori provenienti da tutto il mondo, “offrendo loro esperienze immersive in location suggestive. Dal 2019, Cesarine è comunità diffusa Slow Food per la salvaguardia della cucina tradizionale italiana”, scrivono sul loro sito.
Così come la Treccani, parla di “social eating” come uno dei neologismi moderni e cita la piattaforma “Gnammo”: uno dei fondatori Gian Luca Ranno ha spiegato il successo della piattaforma che organizza eventi in 17 regioni italiane con un assunto di base “il social più antico è quello della tavola”.
Social travelling
E lo stesso si può dire per i viaggi. Si sceglie una meta, si paga un pacchetto, si parte con sconosciuti e una guida che conosce il posto gestirà la visita del gruppo. Anche in questo caso il principio è lo stesso. Il bisogno di socialità supera interessi particolari o secondi fini e apre le porte all’esperienza per la quale persino la filosofia sostiene che l’uomo è stato progettato: conoscere altre persone e creare una comunità; fosse anche per andare a Mykonos una settimana.
Ma cosa si nasconde dietro questo fenomeno?
Il fenomeno è stato studiato da sociologi e psicologi. Questo tipo di attività rientrano della sfera dei lifestyle facilitator, termine coniato dagli studiosi Matthew Bernthal, David Crockett e Randall Rose nel 2005 e che si basa sull’accesso a stili di vita diversi dal proprio. Esempi noti di questo tipo di facilitatore di esperienza è il car sharing. Il sociologo Zygmunt Bauman parlava di “liquid consumption” cioè di un tipo di consumo che si oppone alla materializzazione e al possesso e che riguarda la volontà di vivere una dimensione transitoria.
In altre parole, le esperienze prescindono dal consumo del cibo o dalla visita di luogo, ma vivono di convivialità e socialità, che sono alla base dell’esperienza stessa e che solo in un pasto condiviso o in un viaggio con persone mai viste prima si possono sperimentare.
Esempi “virtuosi” in tal senso nascono anche da realtà del terzo settore che consentono a basso costo la possibilità a chi non ha una famiglia o degli amici di sentirsi meno solo e stanno rivoluzionando i mercati globali, sia per quanto riguarda il co-housing, cioè la condivisione di abitazioni, sia per quanto riguarda la silver economy e quindi la possibilità di incentivare pratiche di socialità legate alla longevità. A farne uso maggiore restano la Gen Z e i Millennials.
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