Adolescence conquista gli Emmy 2025: il dramma Netflix che racconta i figli di oggi
- 15 Settembre 2025
- Trend
Netflix ha colpito ancora. Quando a marzo è arrivata sulla piattaforma, Adolescence si era già imposta come un caso culturale: una miniserie britannica di quattro episodi che raccontava con lucidità e ferocia l’adolescenza digitale, tra solitudini invisibili, radicalizzazione online e la paura estrema di ogni genitore: scoprire che il proprio figlio è un assassino. In soli quattro giorni dal debutto aveva registrato 24,3 milioni di visualizzazioni conquistando il primo posto tra i titoli più visti.
Oggi, pochi mesi dopo, la serie ha scritto una nuova pagina nella storia della televisione: agli Emmy Awards 2025 ha dominato la serata portando a casa i premi più prestigiosi.
Il trionfo agli Emmy
Adolescence è stata incoronata miglior miniserie, suggellando il suo status di capolavoro contemporaneo. Ma non è tutto:
- Stephen Graham, nei panni del padre Eddie Miller, ha vinto come miglior attore protagonista e ha sorpreso la platea chiudendo il suo discorso con un “Namaste!”. In apertura di serata, aveva già conquistato un premio come miglior sceneggiatura insieme al co-creatore Jack Thorne.
- La sorpresa più grande è arrivata con Owen Cooper, 15 anni, che ha battuto ogni record diventando il più giovane attore maschile di sempre a vincere un Emmy per la recitazione, nella categoria miglior attore non protagonista in una miniserie. Salito sul palco tra gli applausi, ha ricordato i suoi inizi: “Tre anni fa non ero nessuno, e ora sono qui. Tutto è possibile”.
Una serie che mette a nudo il presente
Il successo non è solo numerico o di premi: Adolescence ha scosso lo spettatore come poche opere recenti. La regia di Jack Thorne, essenziale e teatrale, ha rinunciato a fronzoli per scavare nel non detto: silenzi, dialoghi carichi di tensione e una scrittura chirurgica.
Tra le scene più memorabili, un episodio interamente dedicato a un’intervista tra Jamie (Owen Cooper) e una psicologa infantile: 52 minuti di puro scavo psicologico, una delle sequenze televisive più disturbanti e intense degli ultimi anni.
Il cuore della serie pulsa attorno a un tema scomodo: il lato oscuro dell’adolescenza nell’era digitale. Non più il pericolo nei vicoli bui, ma negli algoritmi dei social, nelle chat, nei video tossici che normalizzano l’odio. Jamie Miller, accusato di un crimine orribile, non è un “mostro nato”, ma il prodotto di un ecosistema digitale che può trasformare l’insicurezza in violenza.
Dal racconto al simbolo di una generazione
Oltre alla cronaca di un crimine, Adolescence è diventata un prisma per osservare le fragilità di un’intera generazione: cyberbullismo, incel culture, isolamento, genitori incapaci di decifrare i codici dei figli. La serie non offre soluzioni né colpi di scena consolatori, ma mostra la realtà nuda e cruda: un adolescente ha ucciso una compagna di scuola e nessuno sa come sia potuto accadere. È proprio questa assenza di risposte facili a renderla potente: non ci sono “colpevoli perfetti” o spiegazioni rassicuranti, ma la crudele consapevolezza che la violenza può nascere in qualsiasi contesto, anche in famiglie amorevoli e apparentemente protettive.
In questo senso, Adolescence è più di un thriller psicologico: è un racconto che costringe a guardare oltre le narrazioni consolatorie, a riconoscere che i veri pericoli abitano negli spazi digitali quotidiani, invisibili agli occhi degli adulti. Con il trionfo agli Emmy, la serie non è soltanto un successo televisivo, ma un’opera capace di ridefinire il modo in cui raccontiamo l’adolescenza oggi: non più età dorata e spensierata, ma territorio fragile, attraversato da contraddizioni, ansie e potenziali derive. E proprio in questo realismo risiede la sua eredità più duratura: Adolescence non chiude la storia, ma apre un dialogo che continuerà ben oltre lo schermo, nelle famiglie, nelle scuole e nella società che prova a capire — e spesso a fatica — chi siano davvero i suoi figli.