La rivoluzione della prevenzione: la salute è una responsabilità individuale
- 26 Giugno 2025
- Talk | Demografia: patto tra generazioni
“La prevenzione è una responsabilità di tutti”. Lo ha ripetutamente sottolineato Fabio Landazabal, presidente e ad di GSK Italia, ieri nel corso del convegno ‘Demografia: un patto tra generazioni’, evento Q&A Demografica organizzato da Adnkronos presso il Palazzo dell’Informazione a Roma. Un incontro durante il quale politica, parti sociali e aziende hanno riflettuto sulla crisi demografica in atto, non solo rispetto alle sfide poste dalla costante diminuzione delle nascite ma anche a quelle di una popolazione che invecchia.
La prevenzione riguarda molti aspetti, sia quello legato alla fertilità che a quello più generale del proprio benessere. “Tutti noi abbiamo una responsabilità con il cambio demografico: dobbiamo prenderci in carico la nostra salute”, in modo da “diventare anziani attivi, che contribuiscono all’economia”, ha continuato Landazabal.
‘Prevenzione 2.0’: la salute è responsabilità individuale
Per il manager, dovremmo parlare di “prevenzione 2.0”, ovvero come creare una società consapevole del fatto che ognuno ha la responsabilità di se stesso, “non solo rispetto a stili di vita salutari, ma anche di fare gli screening, le vaccinazioni”, e soprattutto dove le persone non aspettano “che qualcun altro dica loro cosa devono fare o che il sistema prenda responsabilità per loro”. “La salute è responsabilità individuale, non del sistema”, ha evidenziato il presidente di GSK Italia.
Creare una cultura del genere è molto complesso ma, ha notato Landazabal, anche l’Unione europea si sta muovendo in questa direzione, prevedendo che “tutto l’investimento in prevenzione dentro il nuovo patto di Stabilità possa essere tolto dai bilanci statali”. L’equazione è semplice: “Se l’Italia raggiungesse la copertura vaccinale ottimale dell’adulto, ogni anno si potrebbero aggiungere 10 miliardi in più sul Pil. Perché tutti noi saremmo produttivi e potremmo contribuire con la silver economy. Se saremo in salute più a lungo, potremo contribuire di più e non diventare un peso”, ha concluso il dirigente.
Prevenzione dell’infertilità: manca l’informazione
Quanto all’aspetto della prevenzione in ambito fertilità, è intervenuto Ramon Palou de Comasema, general manager Healthcare di Merck, che è partito dai dati: “Il 15% degli adulti ha un problema di infertilità, sopra i 40 anni il 50%. Un rischio che dobbiamo gestire”, anche per il fatto che si fanno figli sempre più tardi, come lo stesso Comasema ha ricordato.
Come gestirlo? “La priorità per me è una maggiore consapevolezza della situazione attuale e dei rischi per la fertilità, ma anche della potenziale prevenzione e delle possibilità di trattamento dell’infertilità”, ha affermato il dirigente.
Secondo una survey svolta da Merck e “presentata questa mattina a Bruxelles”, un terzo dei giovani adulti “non si prende cura della propria salute riproduttiva. Il 45% non sa che l’età è una limitazione al desiderio di figli in futuro, e il 40% non ha idea di quali siano i fattori che influenzano la fertilità”, ha snocciolato Comasema. D’altra parte, ha notato, il 78% dei giovani vuole informazione pubblica su questi temi.
Occorre dunque “creare una società più favorevole alla famiglia, e le istituzioni, pubbliche e soprattutto private, hanno le best practices per capire come dare un contributo (un esempio è il programma Fertility Benefit di Merck).
Serve l’alfabetizzazione sanitaria
Prevenzione per vivere più a lungo e soprattutto più in salute, dunque. Ivo Tarantino, direttore Corporate Affairs Sud Europa Haleon, ha ricordato un altro aspetto fondamentale: “Nel 2024 si è allungata ulteriormente l’aspettativa di vita in Italia per le donne, arrivate oltre 85 anni per gli uomini 81, ma nel frattempo è diminuita l’aspettativa di vita in salute. Quindi per le donne ci aspettano all’incirca 30 anni passati non in buona salute, per gli uomini all’incirca 25”.
Qui torna la responsabilità di ognuno, “la presa di coscienza e di ruolo del cittadino rispetto alla propria salute”, ha affermato Tarantino. Ma per far sì che le persone capiscano che spetta a loro prendersi cura di se stesse, “abbiamo bisogno di un elemento abilitante fondamentale: un’educazione alla salute, un’alfabetizzazione sanitaria”.
È necessario “offrire ai cittadini informazioni, prodotti e servizi accessibili e attraverso questi strumenti e prodotti dare la possibilità di diventare attori attivi per una fase lunga che non va interpretata come una fase di conclusione della vita ma una fase lunga attiva nella quale anche recuperare il ruolo sociale”, come può essere nell’ambito del welfare familiare.
“Una ricerca che abbiamo condotto e che presenteremo a breve ci dice che una migliore inclusione sanitaria (degli over 60, ndr) in Italia porterebbe a un risparmio di 9 miliardi di euro grazie alla riduzione degli accessi al pronto soccorso e delle spese mediche e all’aumento della produttività.
A tal proposito Haleon in Spagna ha avviato un programma di alfabetizzazione sanitaria e digitale per gli anziani in modo da mettere questa fascia d’età “in condizione di accedere a tutta una serie di servizi sanitari che oggi per fortuna o purtroppo vengono offerti in quel modo”. Oppure in Ungheria “abbiamo appena lanciato una campagna che si chiama Life On – Ageism Off: c’è anche tra gli anziani un fortissimo pregiudizio sulle proprie condizioni di salute che riduce l’aspettativa di vita”.
Come cambia la previdenza complementare
Se l’anziano, il ‘senior’ come si definisce oggi, dovrà puntare a usare tutte le opzioni possibili per rimanere in salute più a lungo, allo stesso tempo dovrà pensare al proprio sostentamento econimico, perché il trend demografico renderà sempre più incerta la sostenibilità dell’attuale sistema pensionistico.
“Abbiamo già più di 16 milioni di pensionati, il rapporto tra lavoratori e pensionati è destinato alla parità nel 2050, e in assenza di previdenza complementare il tasso di sostituzione si assesterà sul 65-66%, quindi la previdenza integrativa diventa un elemento essenziale”, ha spiegato Antonio De Poli, responsabile Collective e Fondi Pensione Generali Italia.
Anche i giovani devono essere coinvolti. “La previdenza certamente può favorire tutte le condizioni di ingresso da giovani, ma è essenziale che la prestazione principale della previdenza, la rendita, che è largamente non utilizzata oggi, diventi quella che è la prestazione principale perché ritengo che possa rispondere a esigenze previdenziali e di protezione, di salute, di non autosufficienza”, ha sottolineato De Poli.
“Abbiamo già 4 milioni di non autosufficienti, il 17% del della popolazione si dichiara caregiver, il concetto di salute ha abbandonato il tema della malattia, ma si approccia ad una sfera che riguarda il benessere”, ha proseguito. E i modelli di business, dunque l’offerta assicurativa, si adeguano.
“La previdenza complementare deve avere una visione di lungo periodo che accompagna una risposta ai bisogni man mano espressi dalla popolazione. Viviamo un momento che gli esperti definiscono di demografia invertita, nel senso c’è l’aumento dell’aspettativa di vita e una crescita di bisogni di protezione molto diversi dai precedenti perché vengono da una popolazione più anziana”, ha precisato il dirigente di Generali Italia.
Cambiare l’approccio e la narrazione sulla previdenza complementare
Un approccio totalmente nuovo lo chiede Nadia Vavassori, responsabile fondi pensione aperti Amundi SGR, che dopo aver notato come in 30 anni abbiano aderito alla previdenza complementare 10 milioni di lavoratori, il 33%, ha sostenuto che la narrazione debba essere rivista. A partire dai termini usati.
Non previdenza ma “investimento di un periodo che ti consente di integrare il reddito pensionistico della tua vita lavorativa”, ha spiegato. Perché parlare ai ragazzi di pensione è complesso, “è impossibile che loro riescano anche soltanto a proiettarsi da 70 anni, quindi devi fare e parlare in maniera diversa”.
Allo stesso modo, più che di ‘educazione finanziaria’ accorerebbe parlare di “cultura finanziaria, perché ‘educazione’ è qualcosa di frontale che prevede dei corsi che ti inondano di informazioni. Mentre percorsi sono quelli che accompagnano la creazione della cultura”.
Inoltre, ha affermato la dirigente, dobbiamo “concentrarci sulle età più mature, perché se vogliamo che i giovani abbiano un futuro più sereno la prima cosa è che noi non dobbiamo essere un problema”. Il che significa, ha spiegato, che “prima dobbiamo pensare a noi e ad avere una previdenza complementare sufficiente” per il periodo dell’anzianità. Ma la previdenza complementare va resa ‘democratica’ e accessibile, perché “oggi la fa solo chi ha i soldi per farla e principalmente chi ha un welfare aziendale”, ha sottolineato Vavassori.
La narrazione va cambiata anche perché la previdenza complementare “è stata venduta in questi anni come fosse una scelta per sempre, mentre invece è estremamente flessibile. Bisognerebbe parlare di più di tutte queste opzioni”, ha concluso la dirigente.
Non c’è nulla di scontato: l’esempio del Centro Italia
Un’ulteriore conseguenza del trend demografico è stata poi raccontata da Guido Castelli, commissario straordinario per la ricostruzione del sisma del 2016, perché “nelle aree centrali – Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio – viviamo anticipatamente gli effetti della grande crisi demografica”: dopo il terremoto la popolazione è calata del 26%.
Un fenomeno affrontato a partire dai servizi, dalla creazione delle “condizioni per cui la comunità, l’impresa, la sussidiarietà diano smalto a un’operazione purtroppo complicata”. Si è intervenuti sulle università, sulle connessioni viarie col resto d’Italia e sui trasporti ‘on demand’ per non far ‘scappare’ i giovani, ma anche sulla digitalizzazione: non solo la rete mobile ma un vero ecosistema con data center e processi amministrativi digitalizzati. Poi lo stimolo alle imprese, con il finanziamento di circa 1400 progetti grandi, medi e piccoli, ed esperimenti significativi come quello di Federfarma, che ha creato le ‘farmacie del territorio’ con una serie di servizi integrati. Risultato: “Siamo a più 39mila rispetto a quelli che erano i dati chiaramente frustranti dell’immediatezza del terremoto”, a dimostrazione, ha concluso Castelli, “che non c’è nulla di scontato”.