Bellucci: “Il welfare integrato è la risposta al declino demografico”
- 24 Giugno 2025
- Talk | Demografia: patto tra generazioni
Non si può più parlare di politiche sociali senza mettere al centro la questione demografica. L’Italia ha smesso di fare figli, invecchia rapidamente e registra ogni anno un saldo negativo tra nati e morti. Ma soprattutto, sta superando una soglia simbolica: per la prima volta gli over 80 superano i bambini sotto i 10 anni (4,53 milioni vs 4,33 milioni). È da questo dato che parte l’intervento del viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Maria Teresa Bellucci, al convegno “Demografia, un patto tra generazioni”, organizzato da Adnkronos a Roma. Per Bellucci serve un patto tra Stato, imprese e terzo settore per un welfare sostenibile.
Il governo, ha sottolineato il viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha inserito la transizione demografica tra le priorità dell’azione politica. “Per troppi anni – ha detto – si è parlato di transizione ecologica e digitale, lasciando ai margini quella demografica. Oggi ne stiamo pagando il prezzo”.
La transizione demografica sfida centrale del welfare
“Il dato demografico è centrale. Non è un indicatore tra gli altri, ma la condizione di base su cui si fonda qualsiasi politica sociale”, ha affermato Maria Teresa Bellucci, aprendo il suo intervento con numeri impietosi: l’Italia è il primo paese in Europa per quota di over 65 (24%) e il secondo al mondo dopo il Giappone. Ma non è tutto. Entro il 2050, la popolazione anziana crescerà ulteriormente, superando il 34% del totale.
A fronte di un Paese che invecchia, la natalità continua a crollare. “Siamo ultimi in Europa per numero di nati. Ogni anno registriamo una perdita secca. Meno bambini significa anche meno futuro per il Paese e per il suo sistema di welfare, che rischia di diventare insostenibile”, ha ribadito il viceministro.
La transizione demografica, a differenza di quella digitale o ambientale, ha una peculiarità: non offre risultati nel breve periodo. “Non si può accelerare la nascita di una generazione con un decreto – ha detto con concretezza Bellucci –. Bisogna far nascere persone, accompagnarle nella crescita, inserirle nel mondo del lavoro e solo dopo molti anni si potrà raccogliere il frutto di queste politiche”.
La sfida, dunque, è intergenerazionale. Serve tempo, continuità, pianificazione. Ma soprattutto serve una nuova idea di welfare. Non più fondato su un’idea statalista e assistenzialista, ma capace di integrare Stato, imprese e terzo settore in una visione comune.
A questo cambio di paradigma il governo Meloni – secondo Bellucci – sta lavorando da inizio legislatura. L’intento è quello di superare un modello statalista, centrato sul sussidio, per passare a un welfare integrato. “Lo Stato non basta a se stesso – ha spiegato il viceministro –. Può e deve fare la sua parte, ma da solo non ce la fa a sostenere le fragilità sociali, soprattutto in una fase in cui il quadro demografico rende il carico sempre più pesante”.
Il nuovo modello si fonda su tre pilastri: Stato, imprese e terzo settore. Lo Stato garantisce i servizi essenziali, promuove la solidarietà e coordina le risorse. Le imprese, attraverso il welfare aziendale, contribuiscono attivamente al benessere dei lavoratori. Il terzo settore rappresenta, invece, una leva strategica unica nel panorama europeo, grazie alla sua capillarità e alla tradizione secolare di impegno civico e solidarietà diffusa.
Il governo – ha ricordato Bellucci – ha dato impulso al welfare aziendale “fin dal primo discorso del presidente Meloni in Parlamento”, sostenendo premi di produttività e strumenti come i fringe benefit, ma anche promuovendo occupazione stabile e inclusione sociale. “Il lavoro – ha precisato – non si crea per decreto. Lo creano imprese e lavoratori. Il compito dello Stato è essere alleato di chi produce e crea valore”.
Quanto vale il volontariato?
Tra gli atti più significativi della Riforma del Terzo Settore secondo Maria Teresa Bellucci c’è il decreto sul riconoscimento delle competenze dei volontari. Un provvedimento che cambia radicalmente lo status del volontariato in Italia: “Fino ad oggi – ha detto – cinque milioni di volontari hanno dato il loro tempo alla comunità senza alcun riconoscimento formale. Un valore immenso, ma invisibile per le istituzioni. Ora cambia tutto”.
Il nuovo decreto interministeriale, approvato dopo un iter complesso che ha coinvolto Ministero del Lavoro, Istruzione, Università e Funzione Pubblica, stabilisce che l’attività di volontariato certificata (almeno 60 ore all’anno) sarà riconosciuta come credito formativo. Spendibile nel mondo del lavoro, nei concorsi pubblici e nei percorsi scolastici e universitari.
“È un passaggio storico – ha commentato il viceministro –. Finalmente lo Stato dice che chi si spende per gli altri ha un valore aggiunto. E questo valore deve essere riconosciuto. Sei una persona di valore? Allora devi avere delle opportunità in più nella tua vita”. Non è solo un premio morale, ma un investimento strategico. In un Paese dove la popolazione invecchia e cresce la domanda di servizi alla persona, il volontariato diventa infrastruttura sociale, e chi ne fa parte diventa risorsa da valorizzare.
Il terzo settore come leva strategica
Ma se oggi il volontariato ottiene un riconoscimento formale, è anche perché il governo ha sciolto alcuni nodi strutturali che per anni hanno penalizzato il terzo settore. Nonostante la sua rilevanza sociale ed economica, questo mondo è stato lasciato in sospeso: strumenti come la fiscalità agevolata erano previsti sulla carta ma mai pienamente attivati, mentre la co-programmazione con gli enti locali restava una possibilità poco utilizzata e spesso marginale.
Il cambio di passo è arrivato con una serie di interventi. Tra questi, l’inserimento dell’amministrazione condivisa nel Codice dei contratti pubblici – con un investimento da 400 milioni di euro – ha dato finalmente una cornice operativa alla collaborazione tra pubblica amministrazione e organizzazioni non profit. Ancora più rilevante, sul piano della certezza normativa, è stato l’ottenimento dell’autorizzazione dell’Unione Europea alla fiscalità agevolata per gli enti del terzo settore. Un passaggio rimasto bloccato per otto anni, e che ha consentito di dare stabilità a oltre 300mila realtà associative, tutelando milioni di volontari e operatori professionali.
Nel frattempo, il governo ha disposto anche ulteriori fondi straordinari – 23,5 milioni di euro – per rafforzare i servizi di prossimità, riconoscendo al terzo settore un ruolo centrale nelle politiche territoriali. L’obiettivo dichiarato è rendere questo ruolo non più eccezionale, ma strutturale, inserendolo a pieno titolo nelle dinamiche di progettazione pubblica.
“La solidarietà non è soltanto un principio etico – ha ricordato Bellucci – ma una componente attiva dell’economia del Paese. L’economia sociale italiana ha caratteristiche uniche e può rappresentare una via concreta anche per l’Europa. Ma per farlo, servono strumenti adeguati e una cornice istituzionale che ne riconosca pienamente il potenziale”.