True crime, Max Proietti è la prova che “Si può scrivere di crimine senza fare spettacolarizzazione”
- 1 Agosto 2025
- Giovani Popolazione
Se a dire che “nel true crime c’è troppa spettacolarizzazione” è uno scrittore di true crime, sembra di avere a che fare con una chimera. Max Proietti, autore romano trentacinquenne, ha da poco pubblicato il suo ultimo libro “Gli occhi del Male”, edito da Mondatori Electa, quando spiega ai microfoni di Demografica che un true crime etico non è solo possibile, ma doveroso.
Con i suoi studi in psicologia, Proietti ha affinato la capacità di scavare nella psiche umana analizzando casi celebri e misteri irrisolti, diventando un punto di riferimento per gli amanti del genere.
La sua storia dimostra che nell’editoria c’è ancora spazio per chi mette le persone e gli utenti finali davanti a tutto, business incluso.
Perché agli italiani piace il true crime?
Il true crime emerge come il vero protagonista del panorama podcast italiano: 1 italiano su 3 è appassionato di storie di crimine e misteri irrisolti, secondo i dati pubblicati a febbraio da Rassegna Business. Il 58% del campione dice di adorare particolarmente questo genere o di essere fortemente interessato ad ascoltarlo in futuro. Il true crime si conferma come il secondo genere più apprezzato (37,4%), subito dopo le storie di vita e crescita personale (42,3%).
I dati parlano chiaro: gli italiani sono sempre più attratti dal true crime e, più in generale, da storie che raccontano il male. Perché?
“La crescente passione per il true crime è dovuta alla combinazione di aspetti psicologici ed emotivi – esordisce Max Proietti – Le persone si sentono coinvolte come investigatori, incuriosite da storie distanti dalla loro realtà e il loro interesse è alimentato dal fascino per il lato oscuro dell’umanità, per ciò che è proibito o lontano dai comportamenti usuali. Sicuramente la digitalizzazione, i social media e le case di produzione hanno contribuito all’esplosione del genere, sdoganandolo e portando a una sovraesposizione che spesso trascura l’aspetto umano delle tragedie”. L’analisi per fasce d’età evidenzia che le donne tra i 18 e i 29 anni sono le vere detective, con ben il 61% che ascolta regolarmente podcast di questo tipo. Questo dato posiziona la fascia giovane-adulta femminile come il segmento più attivo nel consumo di contenuti true crime.
I dati rivelano una significativa differenza di genere nella fruizione del true crime. La passione per il true crime è particolarmente forte tra le donne, che con il 45% superano gli uomini (30%) nell’ascolto di racconti da brivido.
True crime, come cambia l’ascolto tra età e genere
Con Max Proietti abbiamo parlato anche di come si stia diffondendo il genere tra le diverse generazioni e nel confronto uomo-donna.
“Gli adulti di oggi, che quando erano adolescenti hanno vissuto l’incubo del Mostro di Firenze, trattano il genere sotto una prospettiva diversa da quella attuale. Loro hanno iniziato a parlare di mostrologia e di altri temi connessi a quelle stragi; alcuni sono persino diventati dei punti di riferimento per il pubblico. I giovani invece sono più interessati al true crime in senso stretto e ne usufruiscono sia leggendo i libri che ascoltando podcast”.
L’analisi di Rassegna business evidenzia che le donne tra i 18 e i 29 anni sono il target più attratto dal genere, con ben il 61% che ascolta regolarmente podcast di questo tipo. Questo dato posiziona la fascia giovane-adulta femminile come il segmento più attivo nel consumo di contenuti true crime.
“Non solo ci sono più utenti donne, ma queste genere funziona molto di più se raccontato dalle ragazze. Non a caso i divulgatori uomini sono meno delle donne in questo campo”, spiega Proietti.
Secondo te perché le donne ascoltano o leggono più true crime rispetto agli uomini?
“Secondo me perché le donne si sentono, e sono, più a rischio degli uomini e quindi vogliono approfondire le dinamiche psicologiche dietro queste azioni. Allo stesso modo, preferiscono sentire la storia raccontata da una ragazza perché riescono a empatizzare meglio con lei”.
Quali rischi genera il boom del true crime tra i giovani?
“Se fatto bene, il true crime può servire a conoscere meglio i meandri della mente umana per evitare che certe stragi si ripetano. Al contrario, se non c’è qualcuno che ci insegna anche su come prendere anche ad elaborare le emozioni, questo trend può diventare qualcosa di molto problematico: ci sono ragazzi e ragazze che passano anche dieci ore al giorno dentro la testa di criminali che hanno fatto male ad altre persone. Serve un approccio responsabile al genere e credo che gli studi di psicologia mi aiutino molto in questo percorso”.
Perché serve un true crime ‘etico’
Quale dovrebbe essere il confine tra narrazione e rispetto delle vittime?
“Il limite tra rispetto per la tragedia umana e la narrazione dovrebbe essere netto. È fondamentale ricordare le vittime, le loro famiglie e le vite spezzate. Il problema attuale è la prevalenza del gossip, con la ricerca di informazioni sensazionalistiche a scapito del rispetto per le vittime. Molti creatori di contenuti, anche senza le competenze necessarie, contribuiscono a questa spettacolarizzazione, perdendo di vista l’aspetto umano. Ci si dimentica che, prima di tutto, c’è una vittima, una vita spezzata, dei sogni infranti per sempre. E ci si dimentica anche delle persone a lei care che restano in vita”.
A settembre scorso, la serie Netflix “Oltre ogni ragionevole dubbio” sull’omicidio di Yara Gambirasio divise l’opinione pubblica: come è possibile che Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo dalla Cassazione dopo 3 e anni e 4 mesi di processo, venga presentato sugli schermi degli italiani come innocente? La domanda degli italiani è rimasta senza risposta, ma la famiglia di Yara ha presentato un esposto contro la piattaforma per “aver diffuso audio senza autorizzazione”.
Cosa ne pensi di questo caso?
“Non entro nel merito della colpevolezza, ma una cosa è certa: nella serie l’unica vittima sembra il condannato. Si sarebbe potuto presentare Massimo Bossetti come un protagonista collaterale, certo, ma invertire totalmente la pronuncia della magistratura è un azzardo. Non ci sono più vie di mezzo: o è bianco o è nero”.
La riflessione di Max Proietti rimanda al caso Bibbiano. Anche in quella circostanza, il sensazionalismo ha prevalso sulla informazione, il cannibalismo mediatico e politico ha prevalso sulla verità. E ora che è arrivata l’assoluzione per tutti i principali capi d’accusa, il danno di immagine potrebbe essere irreparabile”, come spiega su Prometeo 360 l’avvocato Luca Bauccio, che nel processo Bibbiano ha difeso gli psicoterapeuti Claudio Foti e Nadia Bolognini. Presto, i bambini finirono per essere l’obiettivo e diventarono un mezzo.
“La vera vittima, Yara Gambirasio, è stata totalmente cancellata nella ricostruzione della serie. Se si parla con le persone ormai c’è solo una vittima, ed è Bossetti”.
Esiste un rischio di emulazione legato a un approccio informativo sensazionalistico che normalizza la tragedia?
“Assolutamente sì e la dimostrazione arriva dagli Stati Uniti. Il 20 aprile 1999 ci fu la famigerata strage di Columbine, che spezzò la vita di sedici persone in una scuola superiore. I media americani diedero la notizia in una maniera spettacolarizzata. Sei anni dopo, nel 2005, uno dei primi youtuber uccise la sua famiglia prima di essere arrestato dalla polizia. Fu una fortuna, perché non voleva fermarsi lì: lo youtuber disse di aver preso ispirazione dalla strage di Columbine, da quello che aveva visto, da come era stato raccontato. Voleva fare una strage ancora più grande di quella che aveva visto spettacolarizzata sui media americani qualche anno prima”.
“Questo – sottolinea Proietti – non significa che non si possano usare degli espedienti narrativi, ma è sempre il modo che fa la differenza”.
Come porti l’attenzione per il true crime ‘responsabile’ nei tuoi libri?
“Prima di tutto rispettando sempre la vittima. Poi seguendo un approccio che combina la narrazione dettagliata con l’analisi psicologica, che è la mia grande passione. Non a caso, mi sono laureato in Psicologia prima ancora di diventare uno scrittore di true crime. La mia analisi dei fatti e dei personaggi non è l’unica possibile, ma è oggettiva e stimola una importante riflessione nei lettori”.
Cosa deve aspettarsi un adolescente che legge un tuo libro?
“Deve sapere che dentro ci troverà storie delle storie terribili e deve capire innanzitutto che sono delle storie di vita vera, che non è un gioco e che sono storie che possono travolgere chiunque da un momento all’altro. Perché la vita è imprevedibile.
Nel mio modo di scrivere c’è sempre una tutela verso i giovani, quindi le immagini crude ci sono, ma non sono così crude da poter creare uno shock nelle persone. Dentro ogni mio libro c’è sempre un filo narrativo che porta a un lavoro introspettivo che ciascuno di noi può fare dentro di sé”.
Proietti conclude con una riflessione: “Avendo studiato psicologia, ho imparato che bisogna comportarsi sempre in un certo modo, anche se va contro i miei interessi economici. Lo faccio perché la mente umana è complessa e fare spettacolo su notizie tragiche può veramente distruggere una società. Sembra un’inezia, ma questa normalizzazione delle tragedie poi si riflette nelle guerre, negli abusi, nelle violenze. Questo modo di approcciare la realtà, la cronaca e la vita lo si può combattere da dentro. Ed è quello che cerco di fare con i miei libri”.