Italia Paese più tatuato al mondo, ma “ancora non concepiamo i tatuaggi come arte” (Penny Boy)
- 05/02/2025
- Giovani Popolazione
È possibile spiegare i Paesi attraverso i tatuaggi? Lo abbiamo chiesto a Penny Boy, all’anagrafe Massimiliano Pennella, eccellenza italiana che ha già vinto più di cento premi di settore in giro per il mondo. Il nostro è il Paese con più tatuaggi al mondo: praticamente una persona su due (48%) ne ha almeno uno secondo i dati della ricerca Dalia Research del 2018 confermati da altre indagini negli anni successivi.
Eppure, a livello culturale c’è ancora molto da fare: “All’estero – spiega Pennella – l’approccio è più autentico, meno legato alle mode. In America, ad esempio, le persone scelgono un determinato tatuatore a prescindere dalla sua fama. In Italia, invece, si tende ancora a dare molta importanza al nome, anche a scapito della qualità effettiva del lavoro. Alcuni dicono di essersi rivolte a un determinato tatuatore anche mentendo, solo perché fa cool. Fuori dal nostro Paese, invece, è più matura l’idea per cui quella del tattoo sia prima di tutto un’arte, c’è più attenzione al significato e allo stile del disegno”.
Il rapporto tra gli italiani e il tatuaggio
Anche nel mondo del tattoo l’Italia è un brand, conferma ai microfoni di Demografica Penny Boy: “All’estero l’italiano è visto come l’artista sotto tutti i punti di vista e in qualsiasi campo. Da anni faccio quattro convention al mese tutti i mesi, ma ricordo ancora l’emozione della prima volta. Quando arrivai a Omaha, in Nebraska (Usa), ero la mosca bianca. Ero assalito da gente mi chiedeva foto e autografi senza che avessero ancora visto i miei lavori. Semplicemente perché ero italiano”. Insomma, il made in Italy è un valore aggiunto quando si parla di arte.
Finito l’entusiasmo, però, sta all’artista confermare le ottime attese che il pubblico ha sul suo conto, cosa che è riuscita perfettamente a Massimiliano. Il trucco? “Non pensare ad essere il migliore, ma pensare a fare bene il mio lavoro, chiedendomi ogni giorno come migliorare. Prendo spunti da tutti anche dai tatuatori che sono al loro primo concorso perché penso che ciascuno possa trasmettere qualcosa di importante. Mi piace riconoscere il valore di altri artisti, non avverto alcuna rivalità. Crescere, migliorare la mia arte, affinare il mio stile: questo è ciò che mi fa amare il mio lavoro”, spiega ancora Penny Boy che negli anni ha partecipato a oltre 300 convention, spesso nel ruolo di giudice.
Come ti spieghi il fatto che siamo il Paese più tatuato anche se, per certi versi e almeno in Europa, siamo un popolo molto ancorato ai valori tradizionali?
“Credo che in noi italiani sia molto forte questa dualità, la scelta sta nel far prevalere un elemento sull’altro o viceversa. Nel caso del tatuaggio, penso che molti siano motivati anche da quel senso di trasgressione, di ribellione, di negazione dello status quo che è un po’ insita nel tattoo”, spiega Massimiliano che ricorda le resistenze che ha dovuto vincere circa quindici anni fa, quando ha aperto il suo primo studio a Lodi, “una città benestante dove molti mi chiedevano cosa aprissi a fare un’attività per fare tatuaggi. In poco tempo tutti questi preconcetti sono svaniti e nel mio studio sono entrati notai, impiegati, giovani e meno giovani. Oggi ci chiamano famosi marchi di moda (ad esempio Gucci), modelle e modelli, star della televisione. Il ‘cool’ associato al tatuaggio è diventato più forte delle resistenze culturali”.
Eppure, non mancano ancora delle discriminazioni per chi è tatuato, specialmente nel mondo del lavoro. Hai visto miglioramenti in tal senso negli ultimi anni?
“Io penso che un minimo di discriminazione ci sarà sempre e che non sia giusto non assumere qualcuno solo perché è tatuato”, dice Massimiliano che al tempo stesso dimostra particolare acume e imparzialità: “Bisogna anche riconoscere che ci sono dei limiti. È chiaro che se io vado a fare un colloquio per lavorare in banca e ho la faccia tatuata non è il massimo per il ruolo che andrà a ricoprire. È importante capire il contesto: può piacere o meno, ma senz’altro un correntista preferirebbe non trovarsi allo sportello un impiegato con i tatuaggi in faccia perché quello stile espressivo non coincide con i valori tipicamente associati a una banca o, per esempio, a un avvocato”. Non a caso, la legge consente ai datori di lavoro di richiedere determinati dress code funzionali alla reputazione dell’impresa purché non lesivi della dignità del lavoratore.
Le discriminazioni, però, ci sono anche in casi meno netti, dove il tatuaggio è meno visibile o il ruolo meno ‘istituzionale’. Ci sono differenze negli altri Paesi europei?”
“Sì, in Italia siamo ancora un po’ indietro sotto questo aspetto. Negli altri Paesi europei il fatto che tu sia tatuato o meno non fa la differenza in nessun ambito di lavoro, neanche in quelli più istituzionali. Questo vale ancora di più, o meglio da prima, in America, dove già da diversi anni il tatto viene considerata un’arte a tutti gli effetti”, spiega Penny Boy che è stato a Los Angeles, Las Vegas, North Carolina, Denver, nelle Hawaii, ma anche in Australia, Nuova Zelanda e praticamente tutta Europa per promuovere la propria arte e partecipare alle convention internazionali. Spesso vincendo.
Tatuaggi, quali sono i rischi per la salute?
Negli ultimi anni, parallelamente alla scelta di farsi un tatuaggio sono aumentati i timori per la salute di chi si tatua. Sono timori fondati?
“Ogni tanto vengono tirate fuori finte storie per quanto riguarda il mondo del tatuaggio. Parliamo di un’industria che fattura miliardi di euro in giro per il mondo e che, come ogni cosa che funziona e fa generare tanto denaro, crea anche tanti dissensi. La verità – spiega Penny Boy – è che a livello di salute è stato provato che il tatuaggio non fa male, altrimenti sarebbero messi vietati. È chiaro che, trattandosi di un corpo estraneo che viene immesso nella pelle bisogna affidarsi ai professionisti che eseguano l’operazione correttamente, farsi tatuare negli studi che rispettino tutte le norme igienico-sanitarie e seguire tutti i passaggi che vanno seguiti dopo aver fatto il tattoo “, spiega Pennella che invita anche a non fare confusione con le allergie: “Un altro caso è quello in cui il cliente sia allergico all’inchiostro, che gli farà male come gli può fare male un cibo o un farmaco che il suo organismo non tollera”.
Esiste un’età giusta per farsi un tatuaggio?
“Sicuramente conta l’età conta. Chi fa questo lavoro deve sognare ma anche sentire la responsabilità che ha nei confronti del cliente. Non bisogna fatturare a tutti i costi. In passato ho rifiutato di tatuare ragazze e ragazzi minorenni o appena maggiorenni che si erano rivolti al mio studio. Quando si presentano persone così giovani, gli consiglio di aspettare ancora qualche anno prima della scelta: si è sempre in tempo per un tattoo, ma una volta fatto resta per sempre”. Maturità e consapevolezza, dunque, sono requisiti indispensabili prima di prendere una decisione praticamente irrevocabile: “Io stesso, tranne in viso, sono completamente tatuato, ma prima di farlo ero convinto della mia decisione”, spiega Massimiliano che invita i giovani a “non farsi un tatuaggio solo perché visto a questa o a quell’influencer oppure sul braccio di un amico”. Il tatuaggio è arte e come tale va concepito.
Quale futuro per l’arte del tattoo?
L’arte del tatuaggio ha acquisito popolarità negli ultimi anni. Immagini un futuro ancora in crescita per il settore?
“Sì, credo che ci siano ancora ampi margini di crescita per il tattoo. Oggi molti artisti tatuatori collaborano con brand come Bmw, Porsche, Rolls-Royce per dipingere le loro macchine o magari collaborare con Louis Vuitton per avere disegni unici sui propri capi d’abbigliamento”. Il settore del tatuaggio si sta quindi allargando dalla persona all’industria, dal “disegno” sulla pelle, al disegno sui prodotti iconici del mercato.
Lo stesso Penny Boy ha recentemente realizzato un disegno per Sullen Clothing, noto brand di streetwear basato in California: “Compro le loro magliette da quando avevo diciott’anni e ora un mio disegno ha dato vita a una loro maglietta”, ci dice Massimiliano che aveva questo sogno nel cassetto da quando ha iniziato la sua carriera. Intanto, qualche soddisfazione se l’è tolta in questi vent’anni Penny Boy che ha realizzato tatuaggi per star dello spettacolo come il cantante musicista Liam St. Johnson e l’attore internazionale Michele Morrone solo per citarne alcuni.
E il tuo futuro, invece, come lo immagini?
“Ho moltissimi progetti che spaziano tra il mondo del tatuaggio e altri settori. In questo momento sto aprendo altri studi di tatuaggi: uno è a Saint Moritz, in Svizzera, e altri verranno aperti in America. Sto anche lavorando ad altri progetti che c’entrano direttamente con il mondo del tatuaggio o affini, come l’arte del disegno, incluse iniziative di beneficenza”.
Penny Boy, ovvero “fai della tua passione il tuo lavoro”
Chissà se pensava di raggiungere queste vette Massimiliano quando, ancora in tenera età, iniziava a fare i suoi disegni nella sua casa di Lodi. Di sicuro, oggi Penny Boy è uno dei tatuatori più apprezzati al mondo tanto da essere stato invitato al Pacif Ink & Art Expo (Usa), uno dei più grandi show dedicati ai tattoo. Tra gli oltre cento premi, Pennella si è aggiudicato il “Best of colour” presso la Fribourg convention negli Usa, il “Best individual style”e il “ Best of traditional”. Tra i più recenti figurano “Best traditional”, che Massimiliano ha ricevuto sia in occasione della New York Tattoo Art Festival che durante la Paris tattoo Art Convention di gennaio 2025. Nelle scorse settimane, l’artista italiano ha vinto anche il premio per il “miglior tatuaggio tradizionale” e “il miglior tatuaggio a colori” alla prestigiosa convention di Minneapolis anche se la ciliegina sulla torta è stato il primo posto per il “miglior tatuaggio a colori” alla Convention di Philadelphia dove arrivano oltre duemiladuecento tatuatori da tutto il mondo.
“Non ho mai pensato a queste classifiche, ma solo a migliorarmi”, confessa Massimiliano che aggiunge: “Per me la vera vittoria è che gli altri apprezzino i miei tatuaggi, i miei disegni, la mia arte”. L’impressione è che l’approccio sia quello giusto.