Stipendi italiani -3,4% rispetto al pre-Covid, è il quarto calo più netto su 21 Paesi
- 08/05/2024
- Popolazione
Nel 2022 gli stipendi italiani segnavano un -3,4% rispetto al 2019, l’ultimo anno pre Covid. Il Boom economico sembrava e sembra lontano anni luce.
Quegli anni difficili ma lineari, scanditi al rassicurante ritmo di “Vola Gigino, vola Gigetto”. Gli anni in cui il Paese che guardava al futuro con speranza, confidando nel fatto che a crescere sarebbe stata tutta l’economia, a partire da quella delle famiglie.
Invece, dagli anni Novanta il giochino ha iniziato a non funzionare e mentre vola Gigino, non vola più Gigetto. Mentre i prezzi al consumo salgono, gli stipendi scendono.
Nel Belpaese i salari medi lordi nel 2019 erano pari a 46.460 dollari a parità di potere d’acquisto, mentre nel 2022 il valore è sceso sotto i 45mila. Il calo più marcato si è verificato tra il 2019 e il 2020, quando la variazione è stata pari al -4,8%.
Certamente, l’Italia non è l’unica ad aver registrato un calo dei salari rispetto al periodo pre-Covid.
Dall’analisi Openpolis sui dati Ocse emerge che in 12 dei 21 Paesi europei membri dell’Ocse i salari reali sono diminuiti tra prima e dopo lo scoppio della pandemia. Il calo maggiore si è verificato in Repubblica Ceca (-7,2%), seguita dalla Grecia (-5,9%). Mentre l’aumento maggiore si è registrato in Lettonia (+6,8%) e Lussemburgo (5,3%). L’Italia è il quarto stato membro insieme ai Paesi Bassi con il calo più pronunciato.
I salari hanno subito l’impatto della pandemia e del lockdown, e in molti casi non sono tornati ai livelli precedenti. A differenza dell’Italia, dove il calo maggiore si è registrato tra il 2019 e il 2020, negli altri Paesi il calo più marcato si è verificato tra il 2021 e il 2022. Tutti gli stati Ue membri dell’Ocse ne hanno risentito tranne la Francia (+0,4%) e l’Ungheria, dove la situazione è rimasta invariata.
Il lockdown e il lavoro
Le differenze salariali, come ricorda Openpolis, possono dipendere da anche dal tessuto la prevalenza di lavoratori in specifici settori a partire dall’incidenza del lavoro nel settore tecnologico rispetto a quello manuale, più colpito dal lockdown. La pandemia ha avuto un impatto notevole sul mondo del lavoro: secondo la banca centrale europea, si tratta del calo maggiore mai registrato. Anche questo ha decretato una riduzione della produzione e dei salari nonostante gli interventi statali volti ad aiutare le famiglie, ma anche a bloccare i licenziamenti.
La stessa Bce scrive: “L’introduzione diffusa di programmi di mantenimento del lavoro per contenere gli effetti della pandemia ha contribuito a mantenere moderate le perdite di posti di lavoro – soprattutto se confrontate con il calo del PIL – e ha influito sull’andamento delle retribuzioni del lavoro. Le misure di contenimento e gli spostamenti indotti dalla pandemia nella domanda e nell’offerta di beni e servizi hanno portato anche a dinamiche occupazionali e salariali più diversificate tra i settori”.
A 4 anni dall’esplosione della pandemia, la massa salariale è aumentata, il tasso di disoccupazione è diminuito e quello di occupazione ha superato i livelli precedenti al lockdown. L’Italia ha persino inanellato una serie di record occupazionali storici.
La grana inflazione
Se la quantità di lavoro è tornata a livelli sostenuti, lo stesso non si può dire della “qualità” del lavoro, intesa come retribuzione del tempo e delle energie impiegate dai dipendenti. Questo principalmente a causa dell’inflazione che è cresciuta a un ritmo molto più sostenuto dei salari lordi, specialmente in Italia dove i salari sono fermi dal 1991. Openpolis certifica che nel 2022 la spesa familiare per i cittadini europei ha registrato un pesante +11,5%, trainata dall’inflazione.
L’aggressione russa dell’Ucraina ha bloccato sul nascere la ripartenza: dal Covid si è passato alla guerra e alle sue conseguenze.
A livello europeo le voci maggiormente interessate dai rincari sono state, in diversi momenti, i beni alimentari, i trasporti e i costi legati alla casa (questi ultimi due riconducibili alla forte inflazione dei beni energetici nella prima fase). Queste tre voci hanno visto rincari compresi tra il 28% e il 33%. Tutte voci di spesa fondamentali per le famiglie, con i consumi italiani fagocitati proprio dalle spese obbligate.
Il tutto mentre i salari lordi, sottolinea l’Ocse, non sono tornati ai livelli pre-Covid in 12 Paesi europei su 21, Italia inclusa.
Aumentano le disparità
In questo contesto incerto, sono aumentate le differenze sia microeconomiche che macroeconomiche. Sono sempre più ampi, infatti, i gap tra ricchi e poveri e quello tra Paesi ricchi e Paesi meno ricchi.
I dati Ocse evidenziano che le disparità di reddito medio lordo tra i Paesi europei sono più evidenti nel 2022 rispetto al 2019.
Le differenze di salario medio reale tra Stati si sono ampliate.
Lo stato in cui si registravano i valori più elevati (il Lussemburgo) ha registrato un incremento del proprio salario medio annuo pari al 5,3%. Mentre la Grecia, il Paese membro con il dato più basso, ha riportato un calo del 5,9%. La distanza tra questi due stati si è ampliata e oggi in media i lussemburghesi guadagnano 3 volte rispetto i greci. Una differenza di oltre 52mila dollari che nel 2019 era di meno di 47mila.
I dati si riferiscono ai salari medi nel 2022, nei paesi europei membri dell’Ocse (escludendo quindi Romania, Bulgaria, Croazia, Malta e Cipro), mentre mancano i dati dell’Irlanda.
Il Lussemburgo è quindi il Paese Ue con i salari medi annui più elevati: quasi 80mila dollari nel 2022, seguito da Belgio, Danimarca, Austria e Paesi Bassi con valori superiori ai 60mila dollari. Ultimi invece i paesi dell’Europa centro-orientale e meridionale, in particolare Grecia, Slovacchia e Ungheria con cifre inferiori ai 30mila dollari l’anno. L’Italia, con un valore di circa 45mila, è undicesima in Europa e sui 21 Paesi analizzati è, insieme all’Olanda, il quarto Paese con il calo salariale più pronunciato rispetto al pre-Covid.
Uno scenario che viene aggravato e aggrava a sua volta la crisi demografica, con sempre più giovani in difficoltà davanti all’idea di dover mantenere un figlio. Non a caso, gli italiani sono tra i più stacanovisti d’Europa, e uno su dieci lavora almeno 49 ore a settimana. Per molti, si tratta dell’unico modo per restare a galla e avere una prospettiva di futuro. Uno sforzo creativo per credere ancora che se vola Gigino, alla fine, volerà anche Gigetto.
- Europa Giovane6
- Famiglia221
- Fertilità154
- Giovani246
- Mondo201
- Podcast5
- Popolazione479
- Talk | 13 dicembre 20239
- Talk | La 'cura' delle persone5
- Trend96
- Video27
- Welfare234