Spid di Poste Italiane a pagamento? Cosa cambierebbe per i cittadini con la Cie
- 30 Settembre 2025
- Popolazione
Lo Spid, il Sistema di identità digitale che ha rivoluzionato l’accesso ai servizi pubblici italiani, potrebbe essere vicino al tramonto ora che anche Poste Italiane sembra intenzionata a introdurre un canone annuale di 5 euro per PosteId, che gestisce il 72% delle identità digitali attive.
Il sistema coinvolge quasi 30 milioni di cittadini e potrebbe spingere i cittadini verso la Carta d’Identità Elettronica.
Il dominio di Poste nel panorama Spid
I numeri parlano chiaro: su 40 milioni di identità Spid attive in Italia, 28,7 milioni appartengono a PosteId di Poste Italiane. Una quota del 72% che rende qualsiasi decisione dell’azienda guidata da Matteo Del Fante determinante per l’intero ecosistema dell’identità digitale italiana.
La scelta di Poste non arriva dal nulla. Altri Provider hanno già introdotto lo Spid a pagamento: Aruba prevede un costo di 4,90 euro più Iva dal secondo anno, InfoCert ha adottato la stessa strategia, mentre Register.it ha optato per tariffe più aggressive, arrivando a oltre 80 euro annui per utenti senza infrastruttura digitale preesistente.
Le ragioni economiche dietro il cambiamento
Il nodo centrale resta la sostenibilità economica. Per anni lo Spid è stato garantito gratuitamente attraverso un modello che prevedeva il supporto statale e l’investimento dei provider privati, che in cambio ottenevano visibilità e opportunità commerciali. Tuttavia, la crescita esponenziale delle identità digitali ha fatto lievitare i costi di gestione, sicurezza e manutenzione rendendo il sistema insostenibile.
Solo nel 2025 sono arrivati i 40 milioni di euro del Pnrr destinati a sostenere la transizione digitale, con un ritardo di due anni rispetto alla firma della convenzione del 2023. Nel frattempo, gli operatori hanno continuato a investire in infrastrutture senza poter contare su entrate stabili.
La strategia dell’esecutivo: dallo Spid alla Cie
A pochi mesi dal suo insediamnto, il governo Meloni aveva già chiarito la propria direzione: ridurre la centralità dello Spid a favore della Carta d’Identità Elettronica e dell’It Wallet, il portafoglio digitale previsto dal Pnrr, uno strumento che vede l’Italia come apripista in Europa. La Cie presenta vantaggi evidenti dal punto di vista istituzionale: è un documento già obbligatorio, emesso direttamente dallo Stato, con un’infrastruttura di sicurezza integrata.
Alla fine del 2024 erano oltre 45 milioni le Cie emesse, con l’obiettivo di raggiungere i 50 milioni entro il 2026 (su quasi 59 milioni di abitanti). Per l’esecutivo, puntare sulla Cie significa semplificare il sistema attraverso un unico documento statale, eliminando la dipendenza da provider privati.
Dallo Spid alla Cie: cosa cambia per i cittadini?
La transizione verso la carta di identità elettronica (e il relativo sistema di identificazione online) non è priva di ostacoli. Lo Spid ha conquistato i cittadini per la sua semplicità: attivazione online in pochi minuti, accesso tramite username e password, procedura intuitiva. Per usare la Cie, invece, serve l’app CieId (gratuita), uno smartphone con Nfc (tecnologia molto diffusa) e il codice Pin fornito con la carta. La procedura, seppur meno immediata dell’username e password dello Spid, diventa rapida una volta acquisita familiarità: pochi secondi per avvicinare la carta al telefono e inserire il codice.
Il processo funziona così:
– Prima configurazione: carta + Pin obbligatori;
– Accessi successivi: impronta digitale o Face ID (se supportati dal dispositivo);
– Riautenticazione periodica: ogni tanto il sistema richiede nuovamente carta e Pin per motivi di sicurezza
Questo significa che nell’uso quotidiano la Cie può essere altrettanto veloce dello Spid: un tocco con il dito sullo scanner e l’accesso è completato. La differenza principale rimane nel setup iniziale, che richiede il possesso fisico della carta, mentre per gli accessi di routine l’esperienza utente è analoga a quella dello Spid.
L’impatto psicologico del canone
L’eventuale canone di 5 euro annui per lo Spid di Poste ha un impatto più psicologico che economico, dato che l’identità digitale è stata presentata per anni come un diritto digitale gratuito, parte del processo di modernizzazione della Pubblica Amministrazione. Trasformarlo in un servizio a pagamento modificherebbe radicalmente la percezione dei cittadini.
Per circa 30 milioni di utenti si aprirebbe un bivio: pagare per mantenere uno strumento familiare o affrontare l’apprendimento di nuove tecnologie. Anche se 5 euro all’anno sono una cifra irrisoria, il cambiamento di paradigma potrebbe incrinare la fiducia nel sistema digitale pubblico.
Il contesto europeo e gli standard futuri
La strategia italiana si inserisce in un quadro europeo più ampio. Molti Paesi stanno convergendo verso un’identità digitale unica, gestita direttamente dallo Stato e integrata con i nuovi standard comunitari dell’Eudi Wallet. Lo Spid, pionieristico al momento della nascita, ha mostrato nel tempo i suoi limiti: dipendenza da provider privati, mancanza di finanziamento stabile, frammentazione degli accessi.
La Cie appare più allineata con i progetti comunitari e meglio integrabile con i futuri strumenti europei per l’identità digitale, garantendo maggiore interoperabilità e sicurezza.
La decisione di Poste rappresenterà un momento cruciale per il futuro dell’identità digitale italiana. Se l’azienda dovesse confermare l’introduzione del canone, lo Spid entrerebbe definitivamente in una fase di declino, accelerando la transizione verso la Cie. Tuttavia, questa evoluzione presenta rischi concreti. Una transizione troppo rapida potrebbe lasciare indietro una parte significativa della popolazione, vanificando anni di sforzi per l’inclusione digitale.
Sarà necessario bilanciare l’esigenza di modernizzare il sistema con la necessità di garantire accessibilità e semplicità d’uso soprattutto per gli anziani che hanno meno dimistichezza con la tecnologia. Un deficit impossibile da ingorare in Italia, dove un cittadino su quattro ha almeno 65 anni.