Transgender, storica sentenza Corte costituzionale: no al terzo genere, sì all’operazione senza autorizzazione
- 01/08/2024
- Popolazione
Quella emanata il 23 luglio dalla Corte costituzionale è una sentenza storica per le persone transgender in Italia. I pilastri del provvedimento sono due: il rifiuto del terzo genere “non binario” (con richiesta di intervento al Parlamento) e la possibilità per le persone transgender di ricorrere all’operazione senza dover aspettare l’autorizzazione del tribunale. A tal fine, sarà sufficiente ottenere il parere positivo dello psicoterapeuta e del chirurgo.
Il “no” al terzo genere e l’invito al Parlamento
È innanzitutto fondamentale chiarire la posizione della Consulta sul terzo genere. La Corte costituzionale si è espressa negativamente sul riconoscimento del genere “non binario”, ma ha invitato il Parlamento a intervenire in tal senso. In pratica, con la sentenza 143/2024 ha riconosciuto la legittimità della richiesta delle persone non binarie di non essere identificate né come uomo né come donna.
Allora perché ha respinto l’introduzione del terzo genere?
Perché non è possibile introdurre un terzo genere tramite sentenza. L’impatto di una “riforma” del genere sul nostro ordinamento sarebbe enorme; per questo l’introduzione del terzo genere non può avvenire per via giurisdizionale ma deve avvenire per via legislativa, passando quindi dal Parlamento a cui la Corte chiede di intervenire.
La richiesta della ragazza transgender in Alto Adige
La vicenda parte dall’Alto Adige dove una persona transgender di 24 anni (che si fa chiamare Aurel) ha chiesto al Tribunale di Bolzano di poter cambiare nome sui documenti e di essere identificata di genere né maschile né femminile, ma “altro”. Nel 2023 Aurel ha iniziato una terapia ormonale a base di testosterone.
Il Tribunale di Bolzano ha giudicato lecite le sue richieste, ma, non ha potuto accoglierle perché la legge italiana consente di attribuire solo l’identità maschile o femminile. Per questo, i giudici hanno chiesto l’intervento della Consulta su questo punto.
La Corte costituzionale ha a sua volta dichiarato inammissibili le questioni sollevate nei confronti dell’articolo 1 della legge n. 164 del 1982 sulla “rettificazione anagrafica” che non prevede la possibilità di indicare “altro” come genere sui documenti.
Pur accogliendo la natura della richiesta, la Consulta ha spiegato che “l’eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria”.
Il rischio è che si crei una categoria di persone inesistente nell’ordinamento e quindi ‘inesistente’ sotto il profilo giuridico. Tra gli altri, la sentenza 143/2024 ha ricordato che la caratterizzazione uomo-donna è alla base del diritto di famiglia, del lavoro, dello sport e delle norme che regolano lo stato civile e del prenome.
La richiesta di intervento al Parlamento
Dal Tribunale alla Corte costituzionale, dalla Corte costituzionale al Parlamento. La corte, infatti, ha richiesto con forza l’intervento del Parlamento sul tema sottolineando che “la percezione dell’individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile – da cui nasce l’esigenza di essere riconosciuto in una identità “altra” – genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico cui l’ordinamento costituzionale riconosce centralità (art. 2 Cost.)”.
Se la persona è al centro, deve esserlo a prescindere dalla propria identità di genere, che non può essere limitata. L’attuale ordinamento disciplina gli istituti civilistici in base alla logica binaria, ma il mancato riconoscimento di un terzo genere “può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona, questa condizione può del pari sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute, alla luce degli artt. 3 e 32 Cost”, scrivono i giudici.
La Consulta ha anche fatto riferimenti alla normativa di altri Paesi europei (per esempio Austria, Germania, Paesi Bassi) che già hanno introdotto il terzo genere.
In definitiva, i giudici spiegano che “tali considerazioni unitamente alle indicazioni del diritto comparato e dell’Unione europea, pongono la condizione non binaria all’attenzione del legislatore, primo interprete della sensibilità sociale”.
Cosa dice la sentenza sulle operazioni chirurgiche
Se per il riconoscimento del terzo genere bisognerà aspettare i tempi (e la volontà) del Parlamento, la seconda parte della sentenza ha un impatto immediato.
La Consulta infatti ha dichiarato incostituzionale la norma che obbliga(va) le persone transgender a ottenere l’autorizzazione del tribunale per poter ricorrere all’operazione (art. 31, co.4, D.Lgs. 150/2011).
La Corte costituzionale osserva che, potendo il percorso di transizione di genere “compiersi già mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologico-comportamentale, quindi anche senza un intervento di adeguamento chirurgico”, la prescrizione dell’autorizzazione giudiziale denuncia una palese irragionevolezza, perché è relativa a un trattamento chirurgico che “avverrebbe comunque dopo la già disposta rettificazione”.
Cosa cambia adesso
Da adesso, chi vorrà potrà ricorrere all’operazione molto più agevolmente: sarà sufficiente che venga riconosciuto come transgender da uno psicoterapeuta e che il chirurgo dia parere positivo all’operazione.
“Sono molto soddisfatto” ha detto Alexander Schuster, il legale che ha assistito Aurel, “la Corte costituzionale ha riconosciuto che esiste la questione del terzo genere. E d’ora in poi tutte le persone transgender non dovranno più affrontare un lungo iter giudiziario prima di operarsi. […] Si inizia finalmente a demolire la legge 164 sulla rettificazione di genere, che era fantastica nel 1982 quando è stata approvata, ma ora è obsoleta” ha concluso l’avvocato commentando quella che è una sentenza storica per tutte le persone transgender che vivono in Italia.
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