Rapporto Istat: nel 2050 più di un italiano su tre avrà almeno 65 anni
- 02/10/2023
- Popolazione
“Le nuove previsioni sul futuro demografico del Paese, aggiornate al 2022, restituiscono tendenze difficilmente controvertibili”: apre così il suo ultimo rapporto demografico l’Istat annunciando il contenuto dell’indagine.
In base alle “Previsioni popolazione e famiglie-Base 1° gennaio 2022”, sono tre i trend che caratterizzano lo scenario italiano e ne disegnano le prospettive:
– calo della popolazione;
– diminuzione del rapporto tra giovani e anziani (e quindi tra lavoratori e non);
– accentuazione nei prossimi anni dei trend negativi
Il primo dato è quello più emblematico: la popolazione residente è in costante decrescita e, secondo le previsioni dell’Istat, i 59 milioni registrati al 1° gennaio 2022 diventeranno 58,1 milioni nel 2030, 54,4 milioni nel 2050 e 45,8 milioni nel 2080. In meno di 60 anni, quindi, l’Italia è destinata a perdere circa 13 milioni di abitanti con una decrescita demografica pari al 2‰ annuo.
Più nello specifico, nel medio termine il calo demografico risulterebbe più accentuato: da 58,1 milioni a 54,4 milioni tra il 2030 e il 2050 (tasso di variazione medio annuo pari al -3,3‰). Nel lungo termine le conseguenze della dinamica demografica prevista sulla popolazione totale si farebbero più importanti. Tra il 2050 e il 2080 la popolazione diminuirebbe di ulteriori 8,5 milioni (-5,7‰ in media annua). Sotto tale ipotesi la popolazione totale ammonterebbe a 45,8 milioni nel 2080, registrando una perdita complessiva di 13,2 milioni di residenti rispetto a oggi.
L’Istituto sottolinea che più lontane sono le previsioni, più aumenta il margine di incertezza. Nell’ipotesi più favorevole la popolazione potrebbe subire una perdita di 6,2 milioni tra il 2022 e il 2080, di cui 2,5 milioni già entro il 2050. Nel caso peggiore, invece, il calo di popolazione sfiorerebbe i 20 milioni di individui tra oggi e il 2080, 6,8 milioni dei quali già entro il 2050. Insomma, persino nello scenario demografico più favorevole il numero proiettato di nascite non compenserà quello dei decessi.
Come cambieranno le famiglie italiane
A sorpresa, l’Istat prevede un aumento del numero delle famiglie da 25,3 milioni nel 2022 a 26,2 milioni nel 2042, con un aumento pari al +3,4%. Tuttavia, il dato non deve trarre in inganno perché le coppie con figli sono sempre meno: entro il 2042 oltre una famiglia italiana su cinque non avrà figli e le persone destinate a vivere da sole sono 9,8 milioni. Si registrano tra l’altro sostanziali differenze di genere e di età. Gli uomini che vivono soli avranno un incremento del 13%, arrivando a superare i 4,2 milioni nel 2042. Per le donne sole si prevede una crescita ancora maggiore pari al +21%, che ne determinerà un aumento da 4,6 a 5,6 milioni. È soprattutto nelle età più avanzate che le persone sole aumenterebbero in modo significativo. Se già nel 2022 la quota di persone sole di 65 anni e più rappresenta circa la metà di chi vive da solo (48,9%), nel 2042 raggiungerebbe quasi il 60%!
Basta vedere i numeri sulle nascite e i decessi per intercettare il futuro demografico del Paese: nel passaggio che condurrà la popolazione dagli odierni 59 milioni di individui a circa 46 nel 2080, si prospettano 21,5 milioni di nascite a fronte di 44,9 milioni di decessi. Persino il prospetto immigratorio, considerato un argine al costante calo demografico del Paese, va bilanciato dai dati che riguardano l’emigrazione, spesso sottovalutato nell’opinione pubblica. Nelle prospettive 2022-2080, a fronte di 18,3 milioni di immigrazioni si prevedono 8,2 milioni di emigrazioni di italiani all’estero. In pratica, quasi la metà dei flussi immigratori verrebbe annullata dalla cosiddetta “fuga dei cervelli”.
Sempre più anziani
Le tendenze demografiche mettono profondamente a rischio la tenuta del sistema economico, sempre meno sostenuto dai contributi di chi lavora, e sempre più bisognoso di fondi da destinare al welfare. Il rapporto “Previsioni popolazione e famiglie-Base 1° gennaio 2022”, infatti, spiega che il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più), oggi di 3 a 2, passerà a circa 1 a 1 nel 2050. In pratica, tra circa 25 anni il numero di pensionati sarà lo stesso di quello dei lavoratori, una statistica che offre pochi spiragli per il futuro, come sintetizzato dal ministro dell’Economia e Finanza Giancarlo Giorgetti: “Con la denatalità che abbiamo in Italia, nessuna riforma delle pensioni tiene”.
Infatti, nei prossimi trent’anni, la popolazione di 15-64 anni dovrebbe scendere al 54,3% in base allo scenario mediano, con una forbice potenziale compresa tra il 53,2% e il 55,4%, data dal margine di errore. Al contrario, la popolazione over 65, oggi pari a circa il 24% del totale, potrebbe rappresentare il 34,5% della popolazione italiana nel 2050. Su questi dati incidono soprattutto il calo delle nascite e, in minor misura, l’aumento della speranza di vita favorito dall’avanzamento medico-scientifico.
Uno scenario dove oltre un cittadino su tre ha almeno 65 anni richiede di intervenire sul sistema destinando importanti risorse al contrasto della denatalità. Gli oltre 8 milioni di emigrati, in gran parte giovani, dimostrano che bisogna anche intervenire per rendere l’Italia più attraente per le nuove generazioni, chiave di volta del futuro demografico del Paese.
Crisi demografica più accelerata al Mezzogiorno
La situazione, preoccupante a livello nazionale, è persino peggiore al Sud, dove il processo di invecchiamento è ancora più marcato anche per effetto della migrazione interna.
Per quanto il Mezzogiorno presenti ancora oggi un profilo per età più giovane, secondo le previsioni, l’età media dei suoi residenti transiterebbe da 45,3 anni nel 2022 a 49,9 anni nel 2040 (scenario mediano), mentre nello stesso anno il Nord raggiungerebbe un’età media di 49,2 anni, partendo nell’anno base (2022) da un’età media più alta rispetto al Sud, ossia 46,6 anni.
Se nel Paese le persone sole passeranno dal 33,1% al 37,5%, nel territorio questo valore medio nazionale nasce da realtà differenti: nel Centro-nord si parte da una presenza iniziale più elevata di persone sole, pari al 34%, che tende a crescere fino a circa il 39%. Nel Mezzogiorno, che parte da livelli più bassi di persone sole (30,3%), si prospetta uno sviluppo più rapido che condurrà tale tipologia familiare a rappresentare il 35% nel 2042 anche se le coppie senza figli continueranno a essere più diffuse al Nord. Un cambiamento maggiore è previsto nel Mezzogiorno, dove le coppie senza figli aumenteranno dal 17,9% al 19,5%. Al contrario, i genitori soli al Nord risultano stabili intorno al 10% per tutto il periodo in analisi.
Guardando alle prospettive di lungo termine (2080), Nord e Centro inizierebbero a ripopolarsi, il Sud no. È interessante notare che, secondo le previsioni dell’Istat, il Centro sarà la prima zona di Italia ad avviare un processo di ringiovanimento della popolazione.
Il ruolo dell’immigrazione
È ormai pacifico che i flussi migratori in entrata stiano attenuando l’inverno demografico italiano (ed europeo) pur senza frenarlo del tutto. D’altronde, è fondamentale riuscire ad integrare gli immigrati nel tessuto sociale per ridurre i problemi di sicurezza relativi all’immigrazione fuori controllo che sta caratterizzando gli ultimi mesi.
Da quando la Germania ha rifiutato di accogliere gli immigrati derivanti dall’Italia, la tensione internazionale sul tema è cresciuta notevolmente con il governo italiano che incassa il sostegno di Macron, ma viene sorpreso dal comportamento tedesco.
Mentre le istituzioni europee lavorano ad un piano di accoglienza condiviso, l’Istat mette nero su bianco l’effetto delle migrazioni e spiega che i flussi migratori sono contraddistinti da un’incertezza profonda, perché sono molti i fattori che possono cambiare le carte in tavola: nuova situazione sociale, politica o economica degli Stati di partenza, scelte dei migranti su dove trasferirsi, scelte di politica interna e degli altri Stati europei sulle politiche di accoglienza.
Se si considera lo scenario mediano delle previsioni, dal 2022 al 2080 si prevedono 18,3 milioni di immigrati in entrata ma anche 8,2 milioni di emigrazioni. Più nel dettaglio, a una prospettiva particolarmente accentuata nei primi sette anni di previsione, con una media annuale superiore ai 200mila ingressi netti, segue una fase di prolungata stabilizzazione che si protrae per tutto il periodo previsivo a una media annuale di 165mila unità.
Ragionando sul lungo periodo, ovvero fino al 2080, il margine di errore è molto ampio e l’intervallo di confidenza al 90% del saldo migratorio netto con l’estero restituisce nel 2080 estremi che variano da -20mila a +349mila. In ogni caso, i flussi migratori non controbilancerebbero la diminuzione delle nascite prevista dalle statistiche.
Sul tema la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Maria Roccella, intervenuta in collegamento alla prima giornata della V edizione di “‘SudeFuturi’, energie al Sud tra storia e innovazione. Risorse, ostacoli e opportunità” ha ribadito la linea del governo: “Non possiamo sostituire la nostra natalità con la presunta immigrazione ma dobbiamo renderci conto che anche gli immigrati che vivono in Italia acquistano le nostre abitudini, cioè smettono di fare figli”.
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