Perché il riconoscimento della Zes è importante per il Mezzogiorno
- 14/07/2023
- Popolazione
La responsabile Ue della concorrenza Margrethe Vestager ha accettato la proposta del Ministro Fitto di istituire un’unica Zona Economica Speciale per l’intero Sud Italia.
Il titolare degli Affari europei ha anche chiesto un confronto per rendere strutturale la misura “Decontribuzione Sud”, un intervento che il Governo aveva già prorogato fino alla fine del 2023 e che si è dimostrato molto efficace.
In una nota il ministero in una indica che Vestager “ha accolto positivamente la proposta superando le attuali 8 zone economiche speciali già previste e istituite per rafforzare il sistema e sostenere la crescita e la competitività del Mezzogiorno”.
Quali regioni entrano nella Zes
Le Regioni interessate dalle agevolazioni della Zes sono l’Abruzzo, la Campania, la Puglia, la Basilicata, il Molise, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna.
“Lo sviluppo dell’economia del Mezzogiorno è una priorità del nostro Governo – ha dichiarato il presidente del Consiglio Giorgia Meloni – siamo però convinti che questo obiettivo debba essere raggiunto abbandonando la logica assistenziale che non funziona, ma dando opportunità di lavoro e crescita e rendendo queste aree del Paese competitive e attrattive per investimenti ed imprese”. L’istituzione della Zes unica “va esattamente in questa direzione e costituisce un cambio di passo per l’economia del Sud”, ha aggiunto soddisfatta Meloni.
Cosa sono le Zes
Le Zone Economiche Speciali (ZES) sono istituite per favorire la nascita e l’implementazione di nuove iniziative imprenditoriali di micro, piccole, medie e grandi imprese, nazionali ed estere, nonché il rientro delle imprese che in passato hanno delocalizzato all’estero proprie attività produttive.
I benefici più importanti attribuiti dalla Zes consistono nella fiscalità di vantaggio e nelle semplificazioni amministrative. I benefici fiscali consistono in un credito di imposta di cui è possibile fruire in relazione agli investimenti effettuati. In particolare, vengono agevolati gli investimenti effettuati nelle Zes da imprese che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti di natura incrementale.
Destinatari di tale beneficio sono tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa indipendentemente dalla natura giuridica. L’Agenzia delle entrate ha chiarito che sono ammesse all’agevolazione sia le imprese con sede in Italia che le stabili organizzazioni operanti nel territorio dello Stato ma appartenenti a soggetti non residenti.
Trend demografici ed economici al Sud
L’istituzione di una Zes unica per il Sud Italia è importante alla luce della crisi demografica ed economica del Mezzogiorno che, scrive l’Istat nel suo ultimo rapporto, “è il contesto territoriale arretrato più esteso e popolato dell’area euro”. L’istituto spiega come la crisi del 2008 e quella dovuta al Covid-19 ha ancora ampliato il divario tra le regioni meridionali e quelle del nord Italia. “A partire dal 2000 – si legge – sia per il Pil pro capite sia per il tasso di occupazione giovanile, si conferma il persistere di un differenziale negativo piuttosto marcato tra le regioni del Mezzogiorno e il resto del Paese”.
Questi output trovano conferma anche a livello comunitario. Fra le ultime 50 regioni europee per Pil pro capite a parità di potere d’acquisto, se ne trovano ben 4 del Belpaese, tutte del Sud Italia: Puglia, Campania, Sicilia e Calabria.
I dati emergono dall’analisi dell’Istat sulla politica di coesione, ovvero la strategia di investimento dell’Ue che cerca di ridurre il divario tra le varie regioni del continente, e che prevede risorse ingenti: tra 2021–2027, assorbirà 330 mld di euro.
La statistica più eclatante, tanto che per l’Istituto è sufficiente a spiegare il gap del Sud Italia con il resto dell’Ue, è il tasso di occupazione che al Mezzogiorno è del 20% rispetto alla media europea. Solo negli ultimissimi anni il parametro è in lieve ripresa. Anche l’indice “produttività del lavoro” registra un grave ritardo del meridione: -9% rispetto alla media Ue.
Nell’analisi dell’Istat sul primo trimestre 2023 le differenze tra territori italiani sono meno negative rispetto alle prospettive sul lungo periodo. L’aumento del tasso di occupazione è superiore nel Nord (+1,7 punti in un anno) e nel Mezzogiorno (+1,5 punti) rispetto al Centro (+1,1 punti); il tasso di disoccupazione diminuisce di 0,8 punti nel Nord e di 0,5 punti nel Centro, mentre è in lieve aumento nel Mezzogiorno (+0,1 punti); il calo del tasso di inattività è maggiore nel Mezzogiorno (-1,9 punti) rispetto al Nord (-1,2 punti) e al Centro (-0,8 punti).
Tra gli altri dati sul primo trimestre 2023, l’Istat segnala un “rilevante” aumento del costo del lavoro su base nazionale, il che rende ancora più importante il riconoscimento della Zona economica speciale per il Sud.
L’aumento, calcolato con le Unità di lavoro dipendente (Ula), nel primo trimestre “raggiunge valori tra i più alti in serie storica”. Rispetto al trimestre precedente il costo del lavoro è stato dell’1,8%. Sono aumentate le retribuzioni (+1,2%) e, in misura maggiore, gli oneri sociali (+3%).
Anno su anno la crescita è ancora più grande (+3,9%), con un +3,4% per la componente retributiva e un +5,4% e per gli oneri sociali. All’aumento delle retribuzioni concorrono “gli importi una tantum”, mentre l’aumento degli oneri sociali è legato al “restringimento degli interventi di decontribuzione del 2021-2022”.
Il Mezzogiorno è dunque l’unica area d’Italia in cui è aumentata la disoccupazione nel primo trimestre 2023, anche se di poco e comunque a fronte di un trend positivo per l’occupazione nel resto d’Italia. Ma soprattutto, sottolinea l’istituto, in assenza di interventi sull’occupazione e sulla produttività, la forbice tra il reddito dei cittadini del Sud (calcolata come Pil pro-capite a parità di potere di acquisto) e la media Ue, nel 2030, è destinata ad allargarsi ancora di più.
Il problema del calo demografico colpisce l’intero Paese, ma soprattutto il Meridione. Il Nord è destinato a perdere lo 0,13% della popolazione all’anno fino al 2030, il Centro lo 0,22% e il Mezzogiorno lo 0,54%. La tendenza si rafforza nei successivi periodi: nel Nord la riduzione media annua sarà dello 0,14% nel 2030-2050 e dello 0,43% nel 2050-2070, contro lo 0,69% e l’1,03% nel Mezzogiorno. Complessivamente il Nord dovrebbe quindi passare dagli attuali 27,6 milioni di abitanti ai 24,3 milioni del 2070, il Centro da 11,8 a 9,7 milioni e il Mezzogiorno da 20,2 a 13,6 milioni.
A tendenze invariate, nel 2030 i residenti scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei 20 milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord (-5,7% e 1,5%).
“Le recenti tendenze demografiche in atto in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, fanno presupporre che invecchiamento e spopolamento possano in futuro contribuire ad ampliare i divari in termini di reddito con il resto d’Europa”, chiosa l’istituto.
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