Pensionati italiani in fuga, triplicati in 15 anni: ecco dove vanno
- 31 Luglio 2025
- Mondo Popolazione Welfare
Ogni anno migliaia di pensionati italiani scelgono di trasferirsi all’estero. Non per cambiare vita in senso romantico, ma per cambiarla in senso fiscale. Dal 2010 a oggi, secondo l’Inps, il numero di pensionati emigrati è triplicato: da 10 a 33 ogni 100mila. Si tratta in larga parte di uomini, con assegni mensili sopra i 5mila euro lordi, originari del Nord Italia o del Lazio. La destinazione? Sempre più spesso Paesi in cui si paga meno tasse, si spende meno per vivere e il clima è più clemente.
Non è una fuga dalla vecchiaia, è un piano di ottimizzazione economica. L’Inps parla apertamente di un “fenomeno in crescita”, in cui il trasferimento fiscale è ormai parte di una strategia di lungo periodo per massimizzare il benessere residuo. I dati parlano di 38mila trasferimenti post-pensionamento nell’ultimo quindicennio, su un totale di quasi 229mila pensioni oggi erogate all’estero. Tornano in pochi: tra le 400 e le 800 persone l’anno.
Quali sono le nuove patrie del welfare personale
Fino a qualche anno fa, la meta prediletta era il Portogallo. Regime fiscale agevolato, clima mite, buona sanità e affitti bassi. Ma dal 2020 Lisbona ha ridotto drasticamente le agevolazioni, e il flusso si è diretto altrove. Oggi la Spagna è la prima scelta: sistema sanitario affidabile, presenza di comunità italiane e tassazione più morbida rispetto all’Italia. Per chi ha necessità sanitarie frequenti o desidera una cornice “occidentale”, la penisola iberica rappresenta un compromesso quasi ideale. Ma le vere novità sono altrove.
In testa c’è l’Albania: nessuna tassazione sulla pensione, costo della vita bassissimo, affitti irrisori. Meta preferita soprattutto dai pensionati del Sud Italia, spesso autosufficienti e pragmatici. Poi c’è la Tunisia, considerata “strategica” dall’Inps per gli over 65 autosufficienti. Il prelievo fiscale è minimo – massimo 5% – e si vive bene anche con 800 euro al mese. I dati segnalano una prevalenza maschile in questi due Paesi, forse per l’autonomia richiesta e per l’assenza di strutture assistenziali pubbliche complesse. Anche la Svizzera, la Germania e la Francia restano destinazioni solide, ma più spesso legate a motivi familiari: figli e nipoti residenti, reti sociali preesistenti.
La ‘fuga’ va pianificata
Andarsene non basta. Serve rispettare una serie di regole per non incappare in brutte sorprese. Il requisito chiave è la residenza fiscale: bisogna dimostrare di vivere nel nuovo Paese almeno 183 giorni l’anno. Significa cambiare realmente vita, non solo domicilio. Occorre:
- iscriversi all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero);
- ottenere un contratto di affitto o acquistare casa nel Paese ospitante;
- aprire un conto corrente locale, dimostrando operazioni effettive;
- verificare l’esistenza di accordi bilaterali fiscali per evitare la doppia imposizione;
- vivere nel Paese per almeno sei mesi all’anno, documentandolo in caso di controlli;
- ricordare che le pensioni da lavoro pubblico sono tassate in Italia, salvo eccezioni limitate.
Chi viola queste condizioni rischia non solo la perdita delle agevolazioni, ma anche accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate. E i controlli si sono fatti più frequenti. I pensionati all’estero sono sottoposti alla cosiddetta “prova di esistenza in vita”: Citibank, su incarico Inps, invia moduli ufficiali da restituire entro tempi precisi. In caso di inadempienza, la pensione viene sospesa. Non bastasse, la Legge di Bilancio 2025 ha congelato la rivalutazione delle pensioni sopra i 598 euro, riducendo ulteriormente l’attrattività fiscale dell’Italia. Il risultato è un’ulteriore spinta a partire, ma solo per chi può farlo in piena regola.
L’identikit dei pensionati italiani che emigrano
Il pensionato che parte non è un outsider. È un uomo, spesso del Nord Italia, con un reddito medio lordo superiore ai 5mila euro mensili. L’Inps lo descrive come una figura sempre più consapevole, che compie una scelta strategica per “ottimizzare il benessere complessivo”. Il tasso di emigrazione per queste fasce è sei volte superiore a quello delle fasce basse. I dati rivelano anche una transizione di genere: se nel 2003 il 60% dei pensionati residenti all’estero erano donne (soprattutto beneficiarie di reversibilità), oggi il 61% sono uomini. Un passaggio che riflette la fine delle generazioni femminili più anziane e la crescita di una nuova fascia maschile economicamente solida e più incline alla mobilità.
Le regioni con il tasso più alto di pensionati in fuga sono Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia. Ma anche il Lazio registra numeri rilevanti, soprattutto verso la Tunisia. In forte crescita, anche se su base più contenuta, Abruzzo e Sicilia. È la geografia della terza età che si ridisegna: non più statici, non più localizzati, ma mobili, calcolatori e attenti al valore residuo della pensione.
E chi non può permetterselo? Le fasce più fragili restano escluse: non hanno i mezzi per organizzare il trasferimento, né la salute per reggere l’impatto di un cambiamento radicale. La mobilità pensionistica, oggi, è ancora un privilegio.