Demi Moore, perché con The Substance ha vinto (anche senza Oscar)
- 03/03/2025
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L’Academy Award ha assegnato l’Oscar 2025 come miglior attrice a Mikey Madison, l’astro nascente del cinema che, con il suo ruolo in Anora, ha spiazzato le più grandi favorite. Una su tutte, Demi Moore, che per la prima volta aveva ricevuto la candidatura, per il suo ruolo in The Substance. Nonostante la sconfitta, la sua storia è una di quelle che il cinema ama raccontare: la rivincita di una donna che, dopo anni di etichetta e di critiche sul suo corpo e sulla sua carriera, è riuscita a far parlare di sé come mai prima.
La rivincita di un’icona
Per la 62enne Demi Moore, The Substance rappresenta più di un semplice ruolo da protagonista. È la rappresentazione di una lotta personale, un corpo che non è più quello della ballerina di Striptease o della Molly di Ghost, ma un corpo che ha vissuto, che ha attraversato tempeste personali e che ora si espone senza filtri. La paura di invecchiare, di essere rifiutata, di diventare invisibile: questi sono i temi di fondo del film diretto da Coralie Fargeat, un body horror che non lascia spazio a fraintendimenti. Nel film, Moore interpreta Elizabeth Sparkle, un’attrice di successo che, giunta al suo cinquantesimo compleanno, viene licenziata dal suo programma di fitness perché “troppo vecchia”. Ecco che la disperazione la spinge ad aderire a un trattamento rivoluzionario che promette di restituirle giovinezza e perfezione fisica. Ma, come ogni scelta che sembra troppo bella per essere vera, la realtà si rivela molto più complessa, se non addirittura terribile.
Demi Moore ha parlato spesso della sua carriera e delle difficoltà incontrate, anche nei momenti in cui sembrava che il suo nome fosse destinato a scomparire dai titoli di testa dei film. La verità è che Hollywood, con il suo sguardo spietato verso l’invecchiamento delle donne, è sempre stata un mondo crudele per chi, come lei, aveva raggiunto il picco della fama negli anni ’90. The Substance è la sua risposta a questo sistema che le ha imposto uno standard che non la rappresentava più. Come ha dichiarato in un’intervista all’Adnkronos: “Pensavo che la mia carriera fosse finita. Ora ho capito che forse è questa la mia strada: essere al servizio del cinema per dare qualcosa agli altri”. E in questo ruolo, in cui si espone emotivamente e fisicamente, Demi Moore trova una forma di liberazione che non solo la rende una protagonista, ma anche un simbolo di resistenza.
La “sostanza” di Coralie Fargeat
Se da un lato Demi Moore si è messa in gioco come mai prima, dall’altro la regista Coralie Fargeat ha creato un’opera che è una riflessione potente e disturbante sul corpo femminile, sul suo valore e sulle sue trasformazioni. The Substance non è solo un film di paura, ma una critica alla società che ci impone di rimanere giovani a ogni costo, un horror psicologico che si riflette nel corpo, ma anche nell’anima delle sue protagoniste. Fargeat, con il suo sguardo lucido, non esita a sottolineare la solitudine di una donna che ha perso il suo potere e la sua bellezza, un potere che le era stato concesso solo dalla sua apparenza fisica. La sua regia è audace, decisa, e affonda le mani nel corpo delle sue protagoniste per raccontare la violenza psicologica che subiscono, ma anche quella che esse stesse infliggono a se stesse.
Nel film, Elizabeth e Sue, che sono la stessa persona in due versioni – quella matura e quella giovane – sono intrappolate in un circolo vizioso di insicurezze e lotte interiori, dove la bellezza è l’unica arma che sembra ancora rimanere loro. Ma Fargeat non si limita a raccontare il desiderio di giovinezza: lo esaspera, lo distorce fino a renderlo un vero e proprio incubo. La regista mette in scena l’assurdità di un mondo in cui la bellezza è la sola misura di successo, e in cui le donne sono disposte a tutto pur di rimanere nel gioco, anche a pagare il prezzo più alto.
L’inquietante realtà di “The Substance”
Se c’è un tema che emerge prepotentemente in The Substance, è quello del patriarcato e della sua influenza devastante sulle donne. La trama ruota attorno alla necessità delle protagoniste di adattarsi agli standard maschili di bellezza e desiderabilità, accettando di sacrificare non solo la loro autonomia, ma anche la loro dignità. La figura di Harvey, il produttore del programma televisivo che licenzia Elizabeth per cercare un volto giovane, rappresenta la quintessenza di un mondo che considera le donne come oggetti usa e getta, valide solo finché sono desiderabili. Ed è proprio questo sguardo maschile che Coralie Fargeat mette in discussione, esplorando la crisi identitaria di una donna che si trova a dover scegliere tra la giovinezza e l’autenticità.
Nel mezzo di questa riflessione sul corpo e sull’autodistruzione, l’interpretazione di Demi Moore è tanto coraggiosa quanto potente. Nel film, non solo è disposta a trasformarsi fisicamente, ma si immerge completamente nel ruolo di una donna che ha perso il suo posto nel mondo, che ha smarrito la sua identità e la sua bellezza, e che si trova a dover affrontare le conseguenze di questa perdita. La vulnerabilità che Moore porta sullo schermo è palpabile, ed è proprio in questa debolezza che risiede la forza del suo personaggio.
Oltre alla sua riflessione sul corpo e sull’invecchiamento, The Substance è un film che riflette anche sulla cultura popolare e sulle aspettative che essa crea. Hollywood, il cinema, la televisione: tutti questi mondi sono fortemente condizionati da ideali di perfezione fisica che sembrano non ammettere spazio per l’imperfezione o l’età. Ma c’è un’altra lettura, più sottile, che si può fare del film: quella di una critica alla società stessa che, in nome di un’eterna giovinezza, nega alle donne il diritto di invecchiare con dignità. Eppure, come dimostra Demi Moore, l’invecchiamento non è solo un atto di resistenza, ma anche di liberazione.