Scoperto ormone rafforza-ossa: segreto delle mamme che allattano e speranza contro l’osteoporosi
- 25/07/2024
- Popolazione
Una ricerca ha scoperto un ormone rafforza-ossa che sarebbe l’alleato delle mamme che allattano, nonché una risposta efficace all’osteoporosi.
La ricerca è partita da una domanda: come fanno le mamme che allattano a mantenere ossa robuste nonostante il calcio venga sottratto per produrre latte?
Un’annosa questione scientifica che ha finalmente trovato una risposta grazie a un gruppo di ricercatori delle università della California di San Francisco (UCSF) e di Davis. La chiave risiede in un ormone chiamato Ccn3, che nei topi femmine aumenta la densità e la forza ossea. La scoperta, pubblicata sulla rivista “Nature”, apre nuove prospettive per il trattamento delle fratture e dell’osteoporosi, che colpisce oltre 200 milioni di persone nel mondo, soprattutto donne.
Il segreto delle ossa forti durante l’allattamento
Durante l’allattamento, i livelli di estrogeni sono bassi, eppure l’osteoporosi e le fratture ossee sono rare, suggerendo l’esistenza di altri fattori oltre agli estrogeni che supportano la formazione ossea. Holly Ingraham, farmacologa dell’UCSF e autore senior dello studio, aveva in precedenza osservato che il blocco di un recettore degli estrogeni in neuroni specifici del cervello dei topi femmine portava a un aumento della massa ossea. Questa volta, il team ha identificato l’ormone Ccn3 nella stessa regione cerebrale delle mamme topo che allattano.
Prove sperimentali e applicazioni terapeutiche
I ricercatori hanno scoperto che l’assenza di Ccn3 nei topi femmine che allattano provoca una rapida perdita di tessuto osseo, mentre i loro cuccioli dimagriscono, il che dimostra l’importanza di questo ormone. Aumentando i livelli di Ccn3 nei topi, si è osservata una crescita significativa della massa e della forza ossea, persino nelle femmine prive di estrogeni o molto vecchie, in cui la massa ossea è raddoppiata. Thomas Ambrosi, collaboratore scientifico di Ingraham, ha notato che Ccn3 stimola le cellule staminali a differenziarsi in nuove cellule ossee, favorendo la guarigione delle fratture.
I risultati empirici sono stati entusiasmanti: un idrogel contenente l’ormone Ccn3, applicato come cerotto su fratture ossee di topi anziani, ha stimolato la formazione di nuovo osso nel sito fratturato. “Non siamo mai stati in grado di ottenere questo tipo di mineralizzazione e di guarigione con nessun altro approccio”, riferisce Ambrosi. Ora il team vuole proseguire gli studi per applicare il Ccn3 anche in altri contesti, come la rigenerazione della cartilagine.
L’ormone rafforza-ossa e le implicazioni sulla salute umana
Muriel Babey, endocrinologa dell’UCSF e co-prima autrice dello studio, intende esplorare come Ccn3 influenzi il metabolismo osseo in contesti patologici rilevanti. In collaborazione con il programma Catalyst dell’ateneo, William Krause inizierà a traslare questi risultati in ambito clinico.
“La perdita ossea non si verifica solo nelle donne in post-menopausa – ricorda l’autrice senior dello studio Holly Ingraham – ma spesso anche nelle donne che sono sopravvissute al cancro al seno e assumono bloccanti ormonali, nelle atlete d’élite giovani e altamente qualificate, e negli uomini anziani, il cui tasso di sopravvivenza dopo una frattura all’anca è più basso che nelle donne”.
Gli studi preclinici su Ccn3 sono promettenti, ma è necessario ulteriore lavoro per tradurre queste scoperte in terapie umane. Gli scienziati stanno pianificando ulteriori ricerche per esplorare l’efficacia di Ccn3 in contesti clinici diversi, inclusa la rigenerazione della cartilagine e la guarigione delle fratture. L’applicazione di Ccn3, fondamentale per le donne che allattano, potrebbe rappresentare una rivoluzione nel trattamento delle malattie ossee, offrendo nuove speranze a chi soffre di osteoporosi e altre condizioni debilitanti.
“Sarebbe incredibilmente emozionante se Ccn3 potesse aumentare la massa ossea in tutti questi scenari”, aggiunge la ricercatrice, evidenziando l’importanza di studiare anche i topi femmine, spesso trascurati nella ricerca biomedica.
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