La legge 194 sull’aborto compie 46 anni: storia di un diritto tra politica e società
- 22/05/2024
- Popolazione
La Legge 194 sull’aborto del 1978 compie 46 anni. Prima di quella data, l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata un reato dal Codice penale italiano. Una reclusione da due a cinque anni, comminati sia all’esecutore dell’aborto che alla donna stessa era la punizione prevista. L’immortalità con la quale si denunciava questo reato ha subito, tra femminismo e percorso democratico di civilizzazione, un mutamento radicale. Ancora oggi, però, questa legge è al centro del dibattito pubblico e continua ad essere attaccata e difesa all’occorrenza.
La legislazione proibitiva del 1978 si dovette scontrate con l’elevato numero di aborti illegali. Morti e complicazioni gravi alla salute delle donne ha reso necessario un cambiamento radicale, come radicale è stata la campagna referendaria che sollevò l’onda antiproibizionista.
Storia di un diritto per le donne
La sua storia è legata all’arresto del segretario del Partito Radicale Gianfranco Spadaccia e della fondatrice del Centro d’Informazione sulla Sterilizzazione e sull’Aborto Adele Faccio, così come dell’allora militante radicale Emma Bonino. Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore de L’espresso, tra gli altri, presentarono alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo degli articoli numero 546, 547, 548, 549 secondo Comma, 550, 551, 552, 553, 554, 555 del codice penale, riguardanti i reati d’aborto su donna consenziente, di istigazione all’aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia. Dopo aver raccolto oltre 700 mila firme, il 15 aprile del 1976 veniva fissato il giorno per la consultazione referendaria, che però non ebbe seguito perché il presidente Leone fu costretto a sciogliere le Camere per la seconda volta. Intanto, la Corte costituzionale, con la storica sentenza n. 27 del 18 febbraio 1975 aveva consentito il ricorso all’IVG per motivi gravi motivando che non era accettabile porre sullo stesso piano la salute della donna e la salute dell’embrione o del feto. Da quel giorno in poi, un iter politico, burocratico e amministrativo rese possibile, il 22 maggio 1978, l’entrata in vigore di un diritto che ha cambiato la storia. Un movimento “dal basso”, cittadino: il diritto d’aborto è stato uno dei maggiori riconosciuti a livello nazionale e sul quale, anche nel 2024, si continua a dibattere.
Il diritto d’aborto oggi
Il Parlamento europeo ha votato l’11 aprile a favore dell’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E, nonostante l’approvazione dell’Eurocamera, una modifica alla Carta prevede il voto favorevole di tutti i 27 Stati membri. Stati che però non riconoscono allo stesso modo questo diritto. La Francia lo ha inserito in Costituzione. Malta e Polonia ne limitano la portata nazionale. E in Italia c’è chi, anche al governo, si dichiara timidamente “antiabortista”. Le difficoltà che le donne nel nostro Paese hanno di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza sono legate agli obiettori di coscienza, medici e ginecologhi che si dichiarano contrari alla pratica a meno di motivazioni gravi. Per non parlare, poi, del dibattito emerso nelle scorse settimane rispetto all’ingresso o meno di associazioni pro-vita nei consultori, con il rischio di non offrire il dovuto supporto a chi questo gesto ha già deciso di compierlo senza remore.
L’aborto non è solo una questione economica
Essere mamma non vuol dire solo riconoscersi all’interno di un sistema di welfare familiare che supporta economicamente il neonato dalla nascita fino alla sua indipendenza. Essere una madre comporta anche un insieme di aspetti psicologici legati alla salute della donna e a quella futura del bambino che spesso non fanno i conti con quelli che sono solo gli aspetti materiali per crescere un neonato. Non si può giudicare, inoltre, l’aborto come una delle cause del calo demografico. Il rischio sarebbe quello di confondere un diritto, quello di non diventare genitore, con un insieme di politiche che non consentono in pieno ad una coppia di crescere un bambino in autonomia e indipendenza.
“Mi auguro che stasera – diceva Oriana Fallaci, in un dibattito televisivo – ognuno di noi dimentichi che l’aborto non è un gioco politico. Che a restare incinte siamo noi donne, che a partorire siamo noi donne, che a morire partorendo o abortendo siamo noi. E che la scelta tocca dunque a noi. A noi donne. E dobbiamo essere noi donne a prenderla, di volta in volta, di caso in caso, che a voi piaccia o meno. Tanto se non vi piace, siamo lo stesso noi a decidere. Lo abbiamo fatto per millenni. Abbiamo sfidato per millenni le vostre prediche, il vostro inferno, le vostre galere. Le sfideremo ancora”.
Gli ultimi dati Istat disponibili raccontano che il 45,4% delle donne in età fertile è senza figli. Di queste, il 22,2% non intende averne nei tre anni successivi né in futuro e il 17,4% ritiene che la maternità non rientri nei propri progetti di vita. Il non essere mamma è quindi una scelta ben chiara e consapevole, estranea alla volontà delle donne.
E mentre la scelta di non essere genitore non è detto che dipenda solo da fattori economici, il desiderio di avere dei figli e di non metterne al mondo è determinata dalla carenza di politiche a sostegno della genitorialità. Nel 2023, le nascite in Italia hanno subito un ulteriore calo. Calo che si registra in tutti i Paesi ad alto e medio reddito, anche in quelli che da anni sostengono l’occupazione femminile e la famiglia. Ma che non ha l’aborto come protagonista.
L’aborto in numeri
l 12 settembre 2023 è stata trasmessa al Parlamento la relazione contenente i dati definitivi 2021 sull’attuazione della legge 194/78 contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza. I dati più recenti relativi all’aborto vedono 63.653 interruzioni volontarie nel 2021. Un tasso di abortività pari a 5,3 interruzioni ogni mille donne tra i 15 e i 49 anni, numero in calo rispetto agli anni passati e tra i più bassi a livello globale.
“La legalizzazione dell’aborto, l’accesso alla contraccezione e il supporto dei professionisti sociosanitari dei consultori familiari e dei presidi sanitari che effettuano le IVG – ha spiegato l’Istituto superiore di Sanità – hanno permesso alle donne italiane di prevenire le gravidanze indesiderate riducendo notevolmente il ricorso all’aborto volontario, secondo gli auspici della legge 194. Rispetto al 1982, anno di massima incidenza del fenomeno quando in Italia si registrarono 234.801 IVG, nel 2021 la riduzione degli aborti raggiunge il 72,9%, confermando il continuo andamento in diminuzione (-4,2% rispetto al 2020). Si tratta di uno tra i più brillanti interventi di prevenzione di salute pubblica realizzati in Italia”.
- Europa Giovane6
- Famiglia221
- Fertilità154
- Giovani246
- Mondo201
- Podcast5
- Popolazione479
- Talk | 13 dicembre 20239
- Talk | La 'cura' delle persone5
- Trend96
- Video27
- Welfare234