Aumenta rischio povertà tra i lavoratori a tempo pieno
- 28/04/2025
- Popolazione
Aumenta il rischio di povertà tra i lavoratori impegnati a tempo pieno. A fotografare il dato è l’Eurostat, secondo il quale, nel 2024, la percentuale di lavoratori con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali è passata dal 9,9% al 10,2% nel complesso mentre la percentuale è cresciuta dall’8,7% al 9% per quelli impegnati a tempo pieno.
A rischio povertà, risulta anche il 10,2% dei lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno, anche questi in aumento rispetto al 2023. Ad essere protagonisti del fenomeno sono principalmente i lavoratori indipendenti: il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale, mentre per i dipendenti la quota è 8,4%.
La foto dello stato dell’occupazione nazionale legato al rischio povertà riaccende così il dibattito sul salario minimo.
Lavoro e povertà
Ciò che preoccupa dei dati è che a soffrire maggiormente sono i giovani tra i 16 e i 29 anni. Parliamo dell’11,8% degli occupati che rischia la povertà, mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. E la situazione non sembra migliorare se si paragona il Bel Paese al resto degli Stati membri dell’Unione europea.
Gli italiani impiegati a tempo pieno in condizione di povertà sono più del doppio di quelli della Germania (3,7%), dove diminuisce la quota di occupati over 18 in una situazione di povertà. E se si guarda a Paesi come la Finlandia, lo stacco aumenta nettamente: i lavoratori a rischio povertà sono pari al 2,2% del totale.
A fare la differenza sul rapporto lavoro-povertà è anche il livello di istruzione. Tra coloro che hanno fatto solo la scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale scende tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023.
Nel complesso, però, le persone in una situazione di indigenza in Italia sono 11 milioni 92mila, 29mila in meno rispetto al 2023 e al livello più basso dopo il 2009.
Salario minimo
L’aumento del rischio di povertà ha riacceso il dibattito sul salario minimo e l’opposizione ha definito “allarmante la questione salariale nel nostro Paese”.
“Il sistema produttivo genera lavoro ma prevalentemente in settori a bassa produttività e bassi salari – ha dichiarato Antonio Misiani, responsabile economia nella segreteria nazionale del Pd -. Stagnazione, lavoro povero e crescenti disuguaglianze rappresentano il lato oscuro di un modello economico e sociale che ormai non regge più ma che la destra non intende mettere in discussione, come dimostra il blocco ideologico del governo Meloni contro la legge sul salario minimo. Quella della destra è una inaccettabile battaglia di retroguardia per difendere gli interessi di una parte del sistema produttivo che sopravvive sottopagando i propri dipendenti. Per questo è urgente che la questione salariale – dal salario minimo all’accelerazione dei rinnovi contrattuali – torni al più presto al centro dell’agenda parlamentare”.
Toni più aspri da parte di Angelo Bonelli, parlamentare Avs e co-portavoce di Europa Verde, per il quale “le favole sull’occupazione e sull’economia che va più che bene, raccontate dalla presidente Meloni, nella realtà sono degli incubi. Non solo l’Istat ci dice che in Italia ci sono 5,7 milioni di persone in povertà, ma secondo Eurostat sale anche il rischio di povertà tra le persone che lavorano, persino se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% della media nazionale sono il 9%, in aumento rispetto al 2023″.
“Una percentuale più che doppia rispetto a quella della Germania (3,7%). Sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni a rischio povertà pur essendo occupati per almeno metà dell’anno, sia full time che part time. Soffrono di ‘povertà lavorativa’ soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati, mentre tra i 55 e i 64 anni il 9,3%. L’Italia è ormai il paese delle diseguaglianze sociali, anche a causa delle politiche di questo governo che favorisce l’accumulazione della ricchezza nei conti di pochi. Un esempio lampante è la politica energetica che ha portato all’aumento delle bollette e alla realizzazione di 70 miliardi di profitti per le società energetiche”.