La natalità è una questione di salute pubblica
- 27/06/2023
- Popolazione
La natalità è una questione (anche) di salute pubblica. Questo in sintesi quello che è emerso da un panel dedicato a questo specifico aspetto nell’ambito dell’incontro ‘Demografica – Popolazione, persone, natalità: noi domani’ tenutosi a Palazzo dell’Informazione a Roma proprio per discutere dei temi demografici in tutte le loro sfaccettature.
La mortalità infantile e la salute dell’infanzia
Parlando di salute e natalità, uno dei primi aspetti da affrontare è quello della mortalità infantile. Mario De Curtis, pediatra della Società italiana di pediatria (Sip), nel suo intervento durante il panel sottolinea che “il nostro Paese ha uno dei tassi più bassi del mondo”, ma si riscontra “una grande variabilità regionale. I bambini che nascono nel Meridione hanno un rischio di mortalità nel primo anno di vita che è il 50% più elevato rispetto ai bambini che nascono e risiedono nel centro-Nord. Le Regioni con maggiore mortalità sono la Calabria, la Sicilia e la Campania. E ancora a maggiore rischio sono i bambini figli di genitori stranieri“.
Altro problema è la migrazione sanitaria, i cosiddetti ‘viaggi della speranza’. De Curtis evidenzia come “i bambini del Mezzogiorno, quando si ammalano, spesso vadano in altre Regioni. Da analisi che abbiamo fatto questa migrazione risulta essere quasi il doppio dei bambini del Centro e del Nord“. Tutto questo determina “situazioni di disagio, per il bambino, per la famiglia e a livello economico”, sostiene De Curtis, collegandosi ad un altro elemento di cui tenere conto: la povertà. In Italia, 2,85 mln di bambini sono a rischio povertà ed esclusione sociale.
L’arrivo di un bambino, precisa De Curtis, rappresenta per le famiglie “un rischio di impoverimento“, e la povertà “incide negativamente sulla salute”.
Occorrono dunque, afferma l’esperto, un maggiore investimento sulla salute nei primi 1000 giorni di vita, più risorse al SSn e una migliore organizzazione sanitaria, specialmente nel Mezzogiorno.
Il ruolo dell’immigrazione
Aumentare la natalità rimane un obiettivo da perseguire ma occorrono soluzioni più immediate per arginare l’invecchiamento delle popolazione. A tal fine diventa fondamentale il ruolo dell’immigrazione che, secondo De Curtis, deve essere valorizzata proprio per l’impatto demografico.
“Gli stranieri in Italia sono l’8,7% della popolazione ma contribuiscono per il 14% di tutti i nati. Senza questi bambini la situazione demografica italiana sarebbe peggiore”, sottolinea il pediatra, secondo il quale “è necessaria una legge sull’immigrazione che punti sul valore dell’accoglienza, seguendo il modello della Germania che, così facendo, è riuscita ad aumentare notevolmente la natalità”.
La salute riproduttiva
Un altro aspetto molto importante su cui agire, emerge dal panel, è la salute riproduttiva degli uomini. “Osserviamo da anni un progressivo declino del potenziale riproduttivo maschile”, evidenzia Andrea Isidori, presidente della Siams, la Società italiana di andrologia e medicina della sessualità, intervenuto all’incontro. Un fenomeno legato a più fattori, “inquinamento, ma anche stili di vita”: elementi “su cui dobbiamo lavorare” per salvaguardare la fertilità nei ragazzi.
“Ogni anno che passa – sottolinea Isidori – si riduce il numero e la qualità degli spermatozoi. Un problema non solo italiano. Si pensi che recentemente in Cina è emerso che non è disponibile una quantità sufficiente di donatori per le banche del seme”. Il Paese orientale “ci fa ovviamente pensare all’inquinamento: viviamo immersi in un cocktail di sostanze che influisce sulla fertilità“, un problema da affrontare con politiche generali, dice l’esperto.
Su un piano più strettamente medico, invece, “da un’analisi su 12mila ragazzi italiani delle superiori ai quali sono stati misurati i volumi testicolari è emerso che il 17% aveva volumi patologici. Ciò significa che c’è qualcosa che interferisce con il normale sviluppo. Un fattore in grado di spiegare una buona parte di queste patologie sono gli stili di vita. I ragazzi sono esposti ad alcuni elementi, dall’alcol a sostanze da abuso, che in questa fase dello sviluppo sono importanti. Quindi dobbiamo lavorare sugli stili di vita”.
Per lo specialista c’è però “un problema culturale e di comunicazione. Dire ai ragazzi ‘non prendere queste sostanze perché compromettono la fertilità’ rischia di non avere molta presa. Serve cercare messaggi positivi da comunicare. Ma serve anche mettere in campo screening, perché molte delle patologie andrologiche che si acquisiscono in questa fase di transizione si possono gestire, ma vanno riconosciute”.
Occorre investire nella salute riproduttiva dei più giovani, che tra l’altro è connessa con la salute dell’individuo nella sua globalità. L’esperto propone anche una sorta di attestato di ‘maturità andrologica’, da attribuire alla fine delle superiori – inizio università, proprio per aiutare a prendere coscienza dell’importanza della propria salute riproduttiva, anche a livello sociale.
La salute riproduttiva passa da stili di vita sani e una migliore comunicazione
Importante dunque favorire la diffusione degli stili di vita sani e lavorare sull’ignoranza diffusa in materia di salute e riproduzione. E’ Antonio Lanzone, direttore Unità Operativa Complessa Ostetricia e patologia Ostetrica – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma, a sottolineare innanzitutto per le donne il tema dell’età e quello dei ‘messaggi’ che la futura mamma manda al feto durante la gravidanza, e che potrebbero favorire il rischio di future patologie. Da qui quindi l’importanza dell’attività fisica, di un’alimentazione equilibrata e del non fumare.
Spiega Lanzone: “L’infertilità di coppia e femminile di questi anni non è frutto del destino ‘cinico e baro’. L’abbiamo costruita con le nostre mani, in questa epoca e in questa società. Ai tempi dei miei studi universitari i fattori di infertilità femminile erano tendenzialmente organici. Oggi i problemi organici li abbiamo superati in gran parte. La realtà è che c’è un fondamentale impatto dell’età della donna”.
L’età della donna, ha continuato Lanzone, “fa da driver ad altri fattori. Per esempio. Se la donna decide di avere un bambino a un’età maggiore sarà più facilmente sovrappeso. C’è più possibilità che si trascini malattie ginecologiche, fibromi, endometriosi. Ma c’è anche più accumulo di inquinanti atmosferici o alimentari, l’alcol ad esempio. L’età influisce anche sulla qualità ovocitaria. Fattori che non si sommano ma si moltiplicano”.
“La fertilità cala circa 12 anni prima della menopausa. Nessuna donna sa quando accadrà in maniera precisa. Noi sappiamo, però, che un 10% va in menopausa tra i 40 e i 45 anni. Sottraendo 12 anni risulta che una donna su 10 avrà problemi di fertilità intorno ai 30 anni. Questo vuol dire che nonostante l’ovulazione presente i suoi ovociti diventano incapaci di essere fertilizzati”. Un problema di cui si ha “una scarsa coscienza”, secondo l’esperto che ha raccontato come spesso si ritrovi a parlare con coppie di quarantenni che riferiscono “di cominciare a pensare a una gravidanza”, con “un grande ottimismo”. Anche perché “c’è una grande illusione sulle tecniche di fecondazione assistita. Quando un ovulo, infatti, non è più competente anche i risultati delle tecniche di fecondazione scendono, così come si riducono se c’è anche sovrappeso, tabagismo”, conclude.
Lanzone denuncia infine la scarsa conoscenza di come funzionano le dinamiche riproduttive e i problemi eventualmente connessi, anche in persone con una discreta istruzione. Ecco perché è importante combattere questo aspetto fin dalle scuole con un’adeguata comunicazione, evidenziando il fatto che il futuro passa dai figli.
- Europa Giovane6
- Famiglia221
- Fertilità154
- Giovani247
- Mondo201
- Podcast5
- Popolazione480
- Talk | 13 dicembre 20239
- Talk | La 'cura' delle persone5
- Trend96
- Video27
- Welfare234