Italia in crisi di capitale umano, l’appello dal Forum Ambrosetti: “Fate presto”
- 5 Settembre 2025
- Popolazione
“Fate presto”. Così Valerio De Molli, Managing Partner e Amministratore Delegato di The European House – Ambrosetti, ha concluso il suo intervento inaugurale della 51ª edizione del Forum Ambrosetti a Cernobbio. Un’esortazione netta, senza mediazioni, che ha messo al centro la fragilità strutturale dell’Italia: denatalità, carenza di capitale umano, giovani che guardano al futuro con inquietudine.
L’apertura del Forum non si è concentrata sulle tensioni internazionali – dal Medio Oriente al conflitto russo-ucraino, dalle politiche tariffarie statunitensi agli equilibri europei – ma su un fronte interno che rischia di incidere in maniera definitiva sulla competitività nazionale. “Abbiamo scelto con i miei colleghi di concentrare l’attenzione su un tema meno esplorato di lungo periodo e di ampio respiro e cruciale per assicurare dare un futuro roseo proprio alle nuove generazioni e vogliamo affrontare il tema delle competenze e dei giovani che saranno i protagonisti del mondo di domani”.
Il filo conduttore scelto da De Molli è quello delle competenze come nuova leva di sviluppo. “Investire nella formazione del capitale umano rappresenta la leva decisiva per garantire la stabilità dei sistemi economici e offrire alle nuove generazioni un futuro prospero”. Un richiamo che ribalta le priorità: prima ancora delle crisi geopolitiche, la vera emergenza riguarda istruzione, lavoro e prospettive dei giovani italiani.
Declino demografico: “6 milioni di italiani in meno entro il 2050”
Il quadro demografico emerso al Forum fotografa una realtà difficile da ignorare. “Secondo le stime delle Nazioni Unite la popolazione globale continuerà a crescere fino ad arrivare a 2050 10 miliardi di persone e in modo però asimmetrico, avremo 1 miliardo di africani in più, 40 milioni di europei in meno di cui 6 milioni italiani”. L’Italia entra così nel ventunesimo secolo come uno dei Paesi più esposti al declino della popolazione attiva.
La fotografia interna è altrettanto chiara. “L’Italia si posiziona prima per percentuale di anziani, ultima per tasso di fertilità, ultima per tasso di natalità ed è al minimo storico di neonati solo 370.000”. Il segnale non è soltanto statistico: riguarda la sostenibilità di un sistema che si regge sempre più su una base ristretta di giovani, chiamati a sorreggere il peso di una popolazione che invecchia più velocemente di qualunque altra in Europa.
Il nodo migratorio si intreccia a questo scenario. “I bambini italiani sotto i 5 anni sono diminuiti del 37% dal 1990 e gli stranieri sono passati da 356.000 di allora a 5,4 milioni di oggi in Italia”. Un dato che indica come la dinamica demografica nazionale sia già oggi sostenuta dalla popolazione straniera. Non basta però a invertire la tendenza generale: l’Italia resta in perdita di capitale umano autoctono e in difficoltà nell’integrazione delle nuove generazioni.
Formazione: “408mila ragazzi hanno abbandonato gli studi”
De Molli ha insistito su un punto preciso: “La principale evidenza degli approfondimenti di The European House – Ambrosetti è la necessità di un cambio repentino e strutturale del sistema formativo con particolare riferimento ai percorsi di orientamento“. La fragilità si manifesta già nella scuola secondaria. “Il 9,8% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha infatti abbandonato gli studi prima della conclusione della quinta superiore, ben 408.000 ragazzi”.
Sul tema, De Molli ha richiamato le parole del Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella, in occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, ha dichiarato: “L’abbandono scolastico apre la strada alla povertà educativa, all’emarginazione sociale e nei casi più gravi al coinvolgimento dei minori in attività illegali o sotto il controllo di ambienti criminali”. Una connessione netta tra mancanza di istruzione e vulnerabilità sociale.
La fotografia universitaria non è più confortante. “Con appena il 31,6% di giovani laureati, l’Italia si colloca al terzultimo posto in Europa con un divario di 12,5 punti rispetto la media europea, ma molto lontana dai livelli dei best performer come Irlanda al 65,2% e Francia 53,4%”. A questo si aggiunge una perdita secca: “L’Italia perde ogni anno 37.000 laureati che sul piano dell’impatto economico significa una perdita di 5,1 miliardi di euro all’anno”. Un drenaggio di capitale umano che priva il Paese di energie e competenze strategiche.
Giovani e lavoro: “unico Paese Ocse con salari reali in calo”
La fotografia occupazionale è altrettanto critica. “Secondo un sondaggio condotto dall’Agenzia Italiana per la Gioventù, 7 su 10 dichiarano di essere preoccupati per il proprio ingresso nel mondo del lavoro e soprattutto per il timore di una precarietà strutturale”. La percezione è diffusa e si accompagna a una paura precisa: “Circa uno su due teme di trovare un lavoro sottopagato e o di avere un lavoro instabile per molto tempo”.
Le ragioni non mancano. “Dal 2000 ad oggi l’Italia è l’unico Paese sui 38 Ocse dove i salari reali medi sono diminuiti. Nel 2023 erano inferiori del 3,5% rispetto al 2000, unico Paese su 38 paesi Ocse, mentre dall’altro lato la media dei paesi Ocse è più 17,8% non meno e Stati Uniti più 27,4%”. Dati che mettono l’Italia fuori linea rispetto a tutte le altre economie avanzate.
Il peso economico è misurabile: “Il costo complessivo per l’Europa è calcolato in 114,7 miliardi persi all’anno, di cui l’Italia pesa per circa 25 miliardi. Pensate l’1,23% del Pil“. Una perdita secca che fotografa la combinazione di salari bassi, scarsa occupazione giovanile e capitale umano non valorizzato. Un mix che riduce le prospettive e alimenta la fuga di cervelli.
Le leve per ricostruire le competenze
Il passaggio alle soluzioni parte dalla scuola. “I percorsi di orientamento dovranno essere potenziati, ridisegnati e diventare parte integrante delle attività formative fin dalle scuole secondarie di primo grado”. Una linea che mira a correggere una delle falle più evidenti del sistema: la disconnessione tra istruzione e mercato del lavoro.
L’altro punto è la formazione continua. “Occorre inoltre promuovere un approccio di filiera alla formazione attraverso progetti di upskilling e reskilling lungo tutte le catene del valore e non agendo ognuno per sé. Questo aiuterebbe anche il superamento dei tradizionali e noti limiti dimensionali e la diffusione di una cultura di parlamento permanente su larga scala”. Un invito a superare la frammentazione e a sviluppare competenze trasversali.
Infine, la tecnologia. “Non posso tralasciare le norme e potenziali di accelerazione della gestione della conoscenza abilitata dagli strumenti di intelligenza artificiale, dove sono necessari visione, investimenti strutturati, informazione e maggiore coordinamento tra istituzioni, scuole e imprese per costruire delle competenze in linea con le mutate esigenze del mercato del lavoro”. De Molli ha concluso con una parola chiave: “Rispetto significa riconoscere il valore dei giovani e delle loro aspirazioni. Ma anche il ruolo degli insegnanti, delle famiglie, delle imprese, delle istituzioni in un percorso comune”.