Inauguration Day, come è cambiata l’America dal primo insediamento di Trump
- 20/01/2025
- Mondo Popolazione
Sono passati otto anni esatti da quel 20 gennaio 2017 in cui Donald Trump diventava per la prima volta il presidente degli Stati Uniti d’America. Oggi, l’anno è il 2025 e, mentre commentiamo il secondo Inauguration day del tycoon, c’è la netta sensazione che tante cose potranno cambiare Oltreoceano.
Di sicuro tante ne sono cambiate, a partire dall’invecchiamento della popolazione americana, un trend demografico che influenza il sistema politico, i valori sociali e le priorità economiche degli elettori. Emblematico è il dietrofront sulle politiche green che pure sembravano inamovibili dall’agenda della Casa Bianca e degli alleati europei, ora preoccupati dalla seconda era Trump.
La demografia dell’America che invecchia
Secondo il Census Bureau (l’ufficio del Censimento degli Usa), nel 2024 gli over 65 rappresentavano il 17% della popolazione americana, rispetto al 14% nel 2016, quando Trump fu eletto presidente per la prima volta. Entro il 2030, una persona su cinque negli Stati Uniti sarà sopra i 65 anni, pari a circa 73 milioni di cittadini. Numeri ampiamente sorpassati in Italia, dove già oggi (quasi) una persona su quattro è over 65 e la crisi demografica è conclamata.
C’è una grande differenza tra i trend demografici Usa e quelli europei: in America continua ad aumentare sia l’età media sia la popolazione totale, mentre in Europa l’invecchiamento della popolazione va di pari passo con la denatalità. In entrambi i casi, l’aumento dell’aspettativa di vita è sostenuta dai progressi della medicina. Tra il 2023 e il 2024, la popolazione Usa è passata da 335,89 milioni a 336,74 milioni di abitanti.
Tra gli americani i maggiori tassi di partecipazione elettorale si riscontrano tra i cittadini con età compresa tra i 65 ai 74 anni, seguiti dalla fascia 75-84 anni. Questo invecchiamento non è accompagnato da una crescita altrettanto rapida della popolazione giovane: i millennial (nati tra il 1981 e il 1996) sono ormai superati numericamente dalla Generazione Z (nati dal 1997 in poi), ma insieme continuano a rappresentare solo il 37% dell’elettorato totale. Dati alla mano, per i giovani diventa difficile far sentire la propria voce anche perché le generazioni precedenti non lasciano facilmente i ruoli di potere.
I valori economici, priorità diverse per generazioni diverse
L’età influenza direttamente le scelte elettorali e le priorità economiche. Secondo un’analisi del Pew Research Center, il 67% degli americani dai 65 anni in su dà priorità a questioni di stabilità economica e difesa di programmi come Social Security e Medicare, rispetto al 42% dei giovani tra i 18 e i 29 anni. Gli autori spiegano come le priorità varino significativamente tra le diverse fasce d’età, con gli anziani che tendono a focalizzarsi maggiormente su questioni economiche e di sicurezza sociale, mentre i giovani mostrano maggiore interesse per questioni come il cambiamento climatico e l’uguaglianza sociale, pilastri del programma elettorale della candidata democratica Kamala Harris.
Al grido di Make America Great Again, Donald Trump ha ribadito e rinvigorito i concetti del Partito Repubblicano: superiorità economica degli Usa, da attuarsi anche con una politica protezionista; sicurezza dei confini, che si traduce con un duro contrasto all’immigrazione e tutela della famiglia tradizionale, un punto consolidato dalla scelta di J.D. Vance come vicepresidente. Sotto il profilo commerciale, la supremazia della competitività americana si traduce con una maggiore tutela delle industrie tradizionali (petrolio, acciaio e carbone).
Tutti questi principi conservatori hanno trovato un vasto consenso tra gli over 65, molti dei quali risiedono negli Stati del Midwest e Sud, regioni chiave del “Rust Belt”. Al contrario, tra gli elettori più giovani è cresciuta la consapevolezza sull’importanza delle politiche Esg (Environmental, Social, Governance), con il 58% degli americani sotto i 30 anni favorevole a vincolare le grandi aziende a standard ambientali stringenti, rispetto al solo 33% tra gli over 65.
Con la rielezione di Trump, invece, proprio le big americane stanno scappando dagli impegni green temendo ripercussioni legali ed economiche ai loro business. Il ritorno del tycoon alla Casa Bianca segna una battuta d’arresto anche per la sostenibilità sociale. Non a caso, ancora prima dell’Inauguration Day, Meta e Amazon (ma non Apple) hanno abbandonato i propri programmi DEI (Diversity, Equity and Inclusion).
Lotta al cambiamento climatico, una questione generazionale
La transizione ecologica e la lotta al cambiamento climatico rappresentano altre grandi linee di frattura tra le generazioni. Durante la prima presidenza Trump, l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi (oggi minacciata anche da Afd) provocò proteste da parte della generazione più giovane: il 72% dei giovani sotto i 30 anni si oppose alla decisione, mentre il 59% degli over 65 si dichiarò favorevole. Ad oggi, mentre la maggioranza dei millennial (74%) e della Gen Z (81%) considera la crisi climatica una priorità urgente, questo numero scende al 48% tra gli over 65.
La legislazione per incentivare la transizione energetica — come il Inflation Reduction Act promosso da Biden — trova un consenso molto più ampio tra i giovani rispetto agli anziani, che tendono a temere gli effetti economici di una rapida transizione.
L’età cambia, i voti pure
Insieme all’invecchiamento demografico, negli ultimi otto anni, si è registrata una maggiore polarizzazione di genere tra i partiti americani: gli anziani con età compresa tra i 65 e i 74 anni hanno rafforzato il proprio supporto ai Repubblicani passando dal 51% nel 2016 al 58% nel 2024. In confronto, gli elettori giovani — soprattutto tra i 18 e i 24 anni — hanno consolidato la propria preferenza per i Democratici, passando dal 55% nel 2016 al 63% nel 2024. Il 68% degli elettori under 30 ritiene che il governo federale debba fare di più per proteggere i diritti civili, un valore che scende al 37% tra gli over 65.
Tante cose sono cambiate dal 2017 al 2025, ma l’Inauguration Day di oggi segna un punto di discontinuità rispetto alla recente storia americana.