In Italia quasi 1 minore su 15 tra i 7 e i 15 anni ha già avuto esperienze di lavoro
- 04/04/2023
- Giovani Popolazione
In Italia quasi 1 minore su 15 tra i 7 e i 15 anni ha avuto un’esperienza di lavoro, che sia continuativa, saltuaria o occasionale. Si tratta di 336mila ragazzi, il 6,8% in quella fascia d’età. Non solo: quasi un 14-15enne su 5 svolge o ha svolto un’attività lavorativa, il 27,8% dei quali dichiara di averlo fatto durante il periodo scolastico o di notte. Si tratta di stime basate sui dati raccolti dall’indagine ‘Non è un gioco’ realizzata da Save the Children per fare luce su un fenomeno globale che riguarda anche l’Italia, diffuso ma in gran parte invisibile.
Il lavoro minorile nel Mondo
Il lavoro minorile nel Mondo è ancora molto praticato nonostante l’esistenza di apposite convenzioni miranti a combattere il fenomeno (la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e la Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 138). Sono cifre importanti: secondo i dati ILO e Unicef, nel 2020 nel Mondo circa 160 milioni di bambini e adolescenti tra i 7 e i 15 anni hanno lavorato. Di questi, 79 milioni hanno svolto mansioni pericolose.
Il lavoro minorile in Italia
In Italia l’età legale per iniziare a lavorare è fissata a 16 anni, in concomitanza con la cessazione dell’obbligo scolastico. Ma dall’indagine di Save the Children emerge come la maggioranza dei minori che dichiara di aver lavorato abbia iniziato dopo i 13 anni (53,8%), con un 6,6% che lo ha fatto addirittura prima degli 11 anni. Quanto al genere, circa due terzi dei minorenni che hanno sperimentato forme di lavoro sono maschi (65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio.
Tra i motivi che spingono questi ragazzi verso il lavoro ci sono l’avere soldi per sé (56,3%) e la necessità o volontà di portare un aiuto a casa (32,6%), ma c’è anche chi afferma di lavorare perché gli piace. Emerge infine una correlazione significativa col livello di istruzione dei genitori, in particolare della madre: minore è tale livello, più è facile che il minore intraprenda precocemente un percorso lavorativo.
I settori più interessati
In Italia i settori più interessati dal fenomeno del lavoro minorile sono
- ristorazione (25,9%)
- vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%)
- attività in campagna (9,1%)
- attività in cantiere (7,8%)
- attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%).
A queste forme più ‘tradizionali’ si affiancano nuove forme di lavoro sul web (5,7%), come ad esempio:
- realizzazione di contenuti per social e videogiochi
- reselling di articoli quali sneakers o smartphone.
Nel periodo in cui lavorano, più della metà degli intervistati lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.
Le ripercussioni del lavoro minorile
La dispersione scolastica
La ricerca indaga non solo i numeri ma anche le connessioni del lavoro minorile con la dispersione scolastica, altro fenomeno rilevante nel nostro Paese, e con il coinvolgimento dei minori nel circuito penale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, secondo i dati Istat nel 2021 il 12,7% dei giovani tra i 18 e i 24 anni risulta ‘dispersa’, ovvero è uscita dal sistema scolastico senza aver conseguito né il diploma né una qualifica. La media europea per lo stesso anno è pari al 9,7%.
Tra i 14-15enni con esperienze di lavoro, quasi un terzo (29,9%) lavora durante i giorni di scuola, arrivando nel 4,9% dei casi a saltare le lezioni. Inoltre, chi ha lavorato prima dei 16 anni registra quasi il doppio delle bocciature durante la scuola secondaria di I o di II grado rispetto ai ragazzi che non hanno mai lavorato. Mentre risulta più che doppia la percentuale di minori con precoci esperienze lavorative che hanno interrotto temporaneamente la scuola secondaria di I o II grado, rispetto agli altri ragazzi.
Il lavoro minorile può favorire la condizione di giovani ‘NEET’ (Not in Education, Employment, or Training), ovvero ragazzi che non studiano né lavorano, una situazione che in Italia nel 2022 riguarda più di 1 milione e 500mila dei 15-29enni, il 19% nella fascia d’età considerata. Peggio di noi in Europa solo la Romania.
Iniziare a lavorare precocemente ha poi pesanti ripercussioni anche sulla vita adulta dei ragazzi, dato che ne mina alla base ogni possibilità di formazione o sviluppo professionale: alimentando la dispersione scolastica, costringe i giovani alla povertà educativa e quindi a una spirale da cui poi risulta difficilissimo o impossibile uscire.
Non da ultimo, iniziare a lavorare precocemente, spesso a causa della povertà che in Italia colpisce 1 mln 382mila minori (14,2%), può portare man mano a forme di sfruttamento via via più intense, perpetuando e amplificando la trasmissione tra generazioni della miseria e dell’esclusione sociale.
Il coinvolgimento nel circuito penale
Per quanto riguarda poi il coinvolgimento nel circuito penale, dai dati risulta che più di 1 giovane su 3 di quelli presi in carico dalla giustizia minorile, ovvero quasi il 40%, ha svolto precocemente un’attività lavorativa. Più di 1 su 10 ha iniziato a 11 anni o prima, e il 60% ha svolto lavori dannosi per il proprio sviluppo.
Tra questi ragazzi si registra inoltre un altissimo tasso di dispersione scolastica: abbandono, bocciature, assenze e una più generale esperienza negativa nel rapporto col sistema scolastico, così come nelle esperienze lavorative. Un contesto che riflette il senso di inadeguatezza, impotenza e rabbia da loro maturato, ma anche le difficoltà della scuola pubblica nel rispondere ai bisogni educativi di tutti i minori.
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