“Mia moglie”, il gruppo Facebook di foto private riapre altrove?
- 22 Agosto 2025
- Popolazione
Meta, la società proprietaria di Facebook, ha chiuso il gruppo social “Mia Moglie” che negli scorsi giorni ha suscitato profonda indignazione. Si è trattato di una comunità online, composta da oltre 31 mila iscritti, che raccoglieva e diffondeva, senza alcun consenso, immagini intime di donne ritratte in contesti privati. Il gruppo è al centro di una bufera mediatica e di una denuncia alla Polizia postale.
“Abbiamo rimosso il Gruppo Facebook Mia Moglie per violazione delle nostre policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti – ha scritto un portavoce di Meta -. Non consentiamo contenuti che minacciano o promuovono violenza sessuale, abusi sessuali o sfruttamento sessuale sulle nostre piattaforme. Se veniamo a conoscenza di contenuti che incitano o sostengono lo stupro, possiamo disabilitare i gruppi e gli account che li pubblicano e condividere queste informazioni con le forze dell’ordine”.
Intanto, però, proprio in queste ore, sembra che sia stato prontamente riaperto su altre piattaforme, così come sullo stesso Facebook, ma questa volta in “forma privata“, da un utente che scrive: “L’alternativa al gruppo pubblico, per essere più liberi. Inviate altri membri, cerchiamo di popolare questo gruppo e rendiamolo il più hot di Facebook”. E avrebbe raggiunto già oltre 300 iscritti.
Visualizza questo post su InstagramUn post condiviso da No Justice No Peace Italy (@nojusticenopeace_italy)
Una rete di abusi digitali
Le immagini pubblicate includevano donne in costume da bagno, ragazze ritratte mentre cucinavano o si rilassavano sul divano della propria abitazione, spesso in intimo: tutte condivise senza autorizzazione, da partner o ex. A denunciare sui social il gruppo Facebook è stata “No Justice No Peace”, con l’iniziativa “Not All Men”, che raccoglie testimonianze di violenza e abusi subiti da donne.
Dopo la denuncia, la pagina è stata sommersa da commenti di condanna e richieste di chiusura immediata. L’organizzazione ha definito le attività del gruppo come “una palese forma di abuso, pornografia non consensuale e misoginia sistemica”, invitando gli utenti a segnalarlo direttamente a Facebook. “Chi partecipa a questo scempio è complice di un crimine”, si legge in un post su Instagram.
L’indignazione contro il gruppo Facebook “Mia Moglie”
A contribuire alla divulgazione di questo triste episodio è stata anche Carolina Capria, autrice e attivista in questioni di genere, nota su Instagram come “Lhascrittounafemmina”: “La gran parte degli uomini non ritiene il consenso qualcosa di imprescindibile, qualcosa di fondamentale al rapporto – ha scritto Capria -. Anzi, e qui aggiungiamo un passaggio, secondo me importantissimo, spesso a eccitare la sessualità maschile è proprio la mancanza di consenso e l’idea che si possa possedere una donna contro la sua volontà”.
“La vicenda del gruppo Facebook ‘Mia moglie’ – scrive Privacy She-leaders, piattaforma in Italia dedicata a rafforzare la leadership femminile nel settore delle nuove tecnologie e della protezione dei dati personali -, dove migliaia di utenti avrebbero condiviso immagini, anche intime, delle proprie compagne e mogli senza consenso, rappresenta un atto gravissimo di violenza online e una palese violazione della dignità e della privacy delle donne”. E continuano: “Condanniamo fermamente questi comportamenti e chiediamo un intervento deciso delle istituzioni. In questo contesto, il ruolo del Autorità Garante per la protezione dei dati personali è fondamentale per assicurare che simili violazioni vengano contrastate con fermezza e che la tutela della privacy rimanga al centro delle politiche di protezione dei diritti. La privacy è un diritto fondamentale e deve essere salvaguardata sempre, oggi più che mai anche negli spazi digitali”.
In Italia, la diffusione non consensuale di immagini intime è un reato punito dall’articolo 612-ter del Codice Penale: le pene possono arrivare fino a sei anni di reclusione. Anche chi partecipa con commenti violenti rischia conseguenze legali.
Un appello alle piattaforme social
L’associazione che tutela i diritti dei consumatori, il Codacons, ha commentato la notizia spiegando che continuare a tollerare ambienti virtuali del genere equivale a normalizzare discriminazioni e abusi, “con ricadute dirette sul fenomeno della violenza sulle donne – si legge in una nota -. Per questo l’Associazione ribadisce la richiesta di introdurre filtri stringenti per l’accesso dei minori ai social, così da evitare che ragazzi e adolescenti vengano esposti a contenuti tossici e pericolosi. Non ci accontenteremo di chiusure parziali o tardive, Pretendiamo che Meta garantisca il rispetto dei diritti fondamentali degli utenti e ponga fine, una volta per tutte, a questa deriva digitale che calpesta la dignità delle donne e in genere delle vittime”, ha dichiarato l’associazione.
Il “silenzio della politica”
“Mi stordisce il silenzio della politica sul caso del gruppo Facebook ‘Mia moglie’, dove per anni migliaia di uomini italiani (32.000) hanno condiviso foto e video intimi di mogli, compagne, donne, ignare e quindi non consenzienti, per esporle ai commenti, atroci, degli iscritti. Esisteva da sette anni” – ha affermato Alessandro Onorato, assessore ai Grandi Eventi, Sport, Turismo e Moda di Roma Capitale, in un post su Instagram -. “Meta lo ha chiuso in due giorni, grazie alle segnalazioni delle utenti. Non possiamo esimerci dal fare la nostra parte, dirci disgustati e scossi da quello che è successo, impegnarci a spiegare perché è un fatto grave, e dire, ribadire, ripetere, che si tratta di una forma atroce della stessa violenza di genere che ha ucciso Giulia Cecchettin. Gisèle Pelicot, sedata e filmata per anni dal marito mentre decine di sconosciuti la violentavano, ci ha insegnato che – prosegue il post – le vittime di violenza non sono soltanto ragazze bianche e avvenenti o donne violentate e uccise perché hanno detto no. Sono anche nonne, badanti, mogli, figlie, disabili, sconosciute ignare di venire usate in rete per giochi sadici. La cultura dello stupro ha molti mandanti, per contrastarla dobbiamo diventare capaci di riconoscerli tutti. Le istituzioni governative battano un colpo e tengano alta l’attenzione, non mi meraviglia che i membri di quel gruppo inaccettabile si stiano spostando su altri canali. Non lo fanno per esprimere la propria sessualità, lo fanno per continuare a commettere un crimine”, conclude Onorato.