Denatalità, Giorgetti: “Italia non è eccezione, iniziare a ripensare spese istruzione”
- 18 Giugno 2025
- Popolazione
Non tutti i mali vengono per nuocere. Si potrebbe riassumere così il passaggio dedicato alle spese su sanità e servizi che vedranno maggiori pressioni nei prossimi anni a causa della denatalità nel nostro Paese, a differenza delle spese per l’istruzione che potrebbero essere riviste verso una maggiore qualità.
Questo è quanto affermato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in audizione davanti alla Commissione parlamentare sugli effetti economici e sociali della transizione demografica. Una Commissione, quella sui cambiamenti demografici del Paese, che mira ad analizzare le cause profonde del fenomeno – comune anche ad altri Stati – e trovare delle soluzioni. “L’Italia non è isolata, non è eccezione”, sostiene Giorgetti, ribadendo che quello della denatalità è “un tema trasversale”, sul quale è necessario “ragionare insieme”. Perché? “I fattori demografici influenzano i saldi di finanza pubblica e il debito pubblico”. E le conseguenze saranno visibili già nei prossimi 10-20 anni.
Ripensare spese per l’istruzione
Secondo i dati Ue “per effetto delle sfide demografiche il contributo alla crescita dalla forza lavoro sarà negativo dal 2030” spiega e “questo trend di fondo vale per l’Italia e per le altre economie europee”. Ma se da un lato “la transizione demografica eserciterà, infatti, una pressione significativa sulla spesa pensionistica, sanitaria e per la long-term care”, dall’altro lato eserciterà “un lieve effetto compensativo sulla spesa per l’istruzione”.
Nello specifico, il calo degli studenti causato dal declino demografico potrebbe puntare ad un ripensamento qualitativamente maggiore delle spese per l’istruzione. Infatti, secondo quanto recentemente riportato dall’Istat, il declino demografico ha determinato già una rilevante perdita di studenti: tra l’anno scolastico 2018/2019 e 2022/2023 si conta una riduzione del 5,2 per cento degli studenti. “Il calo – spiega Giorgetti – riguarda in particolare, la scuola dell’infanzia e la scuola primaria e viene parzialmente per ora compensato dal progressivo incremento degli iscritti con cittadinanza straniera e del tasso di scolarità nella fascia dei 15-19enni”.
“La fotografia attuale, unita alla considerazione che il calo sulle scuole primarie si estenderà via via agli altri gradi, ci induce a un ripensamento in chiave prospettiva delle strutture, del personale e della spesa che nel futuro sarà assegnata all’istruzione. Per tutte queste tre variabili, considerando il loro ridimensionamento quantitativo, sarà necessario puntare a una migliore qualità”.
Le stime, infatti, prevedono che il prossimo anno scolastico, il 2025/26, si aprirà con oltre 134mila studenti in meno tra i banchi. Si passerà dai 6,9 milioni di alunni di quest’anno (dall’infanzia alle superiori) a poco meno di 6,8 milioni a settembre 2025. Questo fenomeno, unito allo spopolamento di alcune zone d’Italia, ha ormai creato un circolo vizioso dove la riduzione della popolazione scolastica porta alla chiusura delle scuole, che a sua volta può incentivare ulteriormente l’abbandono di queste aree.
Transizione demografica: la foto dalla dichiarazione dei redditi
Una foto del fenomeno, arriva dai dati delle dichiarazioni dei redditi che, spiega Giorgetti “evidenziano alcuni cambiamenti demografici significativi”:
- Nel 2004, i contribuenti sotto i 45 anni rappresentavano il 41% del totale. Nel 2023, questa percentuale è scesa al 31%.
- Nello stesso periodo, la quota di reddito dichiarata dai contribuenti con almeno 65 anni è aumentata dal 24% al 35%, mentre quella dei contribuenti tra i 15 e i 44 anni è diminuita dal 37% al 23%.
- Nel 2023, il numero di contribuenti con almeno 65 anni è stato pari alla metà di tutti i contribuenti con meno di 65 anni, contro il 41% registrato nel 2004.
Gli effetti più rilevanti sono attesi nella prima metà degli anni Quaranta del secolo in corso, quando le generazioni dei cosiddetti baby boomers saranno uscite dalla forza lavoro“, spiega.
Avanti razionalizzazione misure famiglie
Uno dei temi cruciali sui quali si snoda la questione della denatalità è il lavoro femminile. Per Giorgetti, infatti, è necessario valutare l’ipotesti di “specifiche detrazioni che indirettamente” possano influenzare “l’offerta di lavoro femminile”.
Per perseguire l’obiettivo dell’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, “difficilmente potremo operare solo mediante la leva fiscale generale, ovvero attraverso una riduzione delle aliquote marginali. È essenziale riconoscere infatti che il prelievo fiscale, per sua natura, è neutrale rispetto al ‘genere’ degli individui. Possono essere previste tuttavia alcune specifiche detrazioni che indirettamente influenzano l’offerta di lavoro femminile“, ha affermato il ministro. Anche per perseguire questi obiettivi, ricorda, “è stato costituito recentemente presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un tavolo tecnico con il compito di valutare eventuali modifiche alla legislazione vigente in materia di Isee”.
In questa direzione si è già mossa l’ultima legge di bilancio, che a sostegno della natalità promuoveva:
- bonus nuove nascite
- riordino delle detrazioni fiscali a vantaggio delle famiglie
- maggiore indipendenza dei giovani dal nucleo familiare
- politiche di sostegno economico
- politiche abitative a supporto delle famiglie numerose e vulnerabili
“Nel prossimo futuro, un approccio strutturale, integrato e lungimirante deve continuare a promuovere la semplificazione e la razionalizzazione delle misure esistenti a favore delle famiglie, a integrare le politiche fiscali e le politiche di spesa, in particolare per sostenere la genitorialità e la cura, e a valutare sistematicamente l’impatto redistributivo delle misure, con attenzione agli effetti su natalità, povertà minorile e occupazione femminile”, ha concluso il ministro.