Lavoro e impresa frenano lo spopolamento dell’Appennino centrale
- 17/03/2025
- Popolazione
Contributo di Guido Castelli, Commissario Straordinario del Governo per la ricostruzione e la riparazione sisma 2016
La fragilità del territorio italiano – sismica o idrogeologica – accentua in molte aree interne del Paese quella crisi demografica che rappresenta un’emergenza che da troppo poco tempo è diventata una priorità nell’agenda di governo. Il caso che conosco meglio, come amministratore locale e regionale prima, come commissario di Governo ora, è quello dell’Appennino centrale. La sequenza sismica del 2016-2017 oltre ai lutti ha provocato danni per circa 28 miliardi di euro. Il cantiere della ricostruzione, che da un paio d’anni – lo possiamo dire con certezza – ha cambiato passo, non può limitarsi a riedificare case e palazzi, deve anche porre le condizioni per ricreare un luogo dove vivere.
La recente approvazione del disegno di legge sulle ricostruzioni, avviato per iniziativa del governo Meloni e del ministro Musumeci, è molto più di quel che dice il titolo perché contiene l’idea di far uscire l’Italia, il suo territorio bellissimo ma “fragile”, dalla logica delle emergenze continue, delle ricostruzioni “alla bisogna”, del “toto – commissario straordinario”, delle cento norme, delle mille ordinanze, del tetris delle procedure.
Finora ci si era limitati, secondo la giusta intuizione che fu di Zamberletti nel post sisma friulano, di far crescere un modello di protezione civile che, nel tempo, si è consolidato e ampliato fino a diventare uno dei migliori al mondo. Minore attenzione si è posta sulla fase immediatamente successiva, quella della ricostruzione post calamità, una fase lunga, complessa, costosa, in termini di risorse economiche e di sofferenza umana e sociale. Così come ancora insufficiente è l’attenzione posta per la fase precedente, ossia sulla prevenzione, sulla messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio. Lo insegna la vicenda del super bonus 110%, un’occasione clamorosamente perduta per rendere sicure le case degli italiani e che ha gravemente compromesso i saldi della finanza pubblica.
A ben vedere, ricostruzione e prevenzione sono due facce della stessa medaglia in un tempo in cui occorre ricostruire non solo gli edifici e i luoghi fisici distrutti o danneggiati dal sisma ma anche la civitas, la dimensione sociale ed economica, la fiducia nel futuro. Decisivo sarà il modello di governance multilivello, che coinvolge Stato, Regioni, Comuni. Questo modello sta dando ottimi risultati nel cratere del Centro Italia, dove abbiamo il cantiere più grande d’Europa (8000 chilometri quadrati di superficie, 10 province coinvolte in quattro diverse Regioni – Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo – per un valore ricostruttivo di 28 miliardi di euro) e dove grazie al programma NextAppennino (collegato al Pnrr) – in parallelo alle operazioni di ricostruzione – si stanno assicurando risorse per far rinascere economia e servizi essenziali alla vita di chi è rimasto e di chi vuole tornare.
Proprio sul fronte della demografia si registrano segnali confortanti, proprio laddove, oltre alla ricostruzione degli edifici, si assicurano risorse per rigenerare il tessuto socio-economico. Sebbene in termini generali l’andamento demografico conferma un andamento in calo – siamo di fronte a un trend nazionale e internazionale incontrovertibile sul breve-medio periodo – per le aree a più alto tenore di investimento, nell’orizzonte temporale 2015-2032 la perdita di popolazione passa dai 40mila abitanti in meno, secondo le stime elaborate dopo il sisma, ai 35mila in meno, dopo i primi finanziamenti a imprese e artigiani del territorio. In termini percentuali, nell’orizzonte del prossimo decennio, la contrazione demografica attesa passa dal -19% a un più modesto -16,4%.
Il presidio umano sull’Appennino centrale diventa peraltro difesa essenziale contro gli effetti del climate exchange: le alluvioni delle valli e dei litorali sono, anche e in gran parte, attribuibili a un abbandono progressivo del territorio da millenni antropizzato e reso ora sempre più instabile di fronte a precipitazioni copiose e improvvise. Il bosco “selvaggio” su monti e colline difende assai meno le valli e i litorali, di quanto possa fare un territorio dedito ad attività agro-silvo-pastorali stabili.
Per restare (e per tornare) occorre lo sguardo sul futuro, che solo il lavoro può assicurare. In questo orizzonte sono fondamentali i progetti che derivano da un Protocollo che è stato definito con il Ministero del Lavoro: una delle sue declinazioni è stata presentata proprio in questi giorni. Sarà disponibile un cruscotto definito da Sviluppo Lavoro Italia, d’intesa con la Struttura commissariale, per offrire un monitoraggio in tempo reale nel rapporto tra domanda e offerta di lavoro nei 138 Comuni coinvolti dal sisma 2016-2017, per assicurare le migliori opportunità di formazione e di assunzione. Uno strumento in più per favorire la ripresa del Centro Italia, contro la deriva dello spopolamento delle aree interne del Paese.