Fine vita, dalle capsule del suicidio in Svizzera all’ultima sentenza italiana
- 23/07/2024
- Popolazione
Mentre in Svizzera si creano nuovi metodi per migliorare il suicidio assistito, in Italia arriva una sentenza che lascia i requisiti per l’accesso sostanzialmente invariati rispetto a quelli del 2019.
La notizia riguarda la sentenza n.135/2024 della Corte costituzionale, depositata il 18 luglio, che dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Gip di Firenze sull’articolo 580 del codice penale. Queste miravano a estendere l’area della non punibilità del suicidio assistito oltre i confini stabiliti dalla Corte cinque anni fa.
La “Capsula del suicidio”
Mentre in Italia sembra non cambiare di molto la situazione per chi intenda procedere autonomamente al suicidio assistito, in Svizzera, invece, è nata The Last Resort. La società è stata fondata da un piccolo collettivo internazionale di sostenitori dei diritti umani e intende cambiare il volto del suicidio assistito nel Paese.
Al momento, questa società si configura come l’unica capace di offrire il suicidio assistito tramite la capsula ‘Sarco’. Stampata in 3D, ‘Sarco’ segna una svolta nella storia e apre scenari etici molto complessi nel nostro Paese. Conforme alla legge svizzera, la capsula garantisce una morte “pacifica e affidabile nel momento desiderato”, scrivono gli ideatori.
La tecnologia si basa sull’assenza di farmaci, ma su una tecnologia moderna che riduce fino all’1% l’ossigeno nella capsula per arrivare ad una morte entro i 10 minuti. Per richiedere un suicidio assistito presso The Last Resort è sufficiente:
- Una vecchiaia avanzata e che non consenta l’autosufficienza.
- Le polipatologie relative all’invecchiamento.
- Malattie gravi, croniche o terminali.
- Demenza precoce e assenza di lucidità mentale.
“The Last Resort – specifica la società – non aiuta i giovani a morire, a meno che non siano affetti da una grave malattia fisica, ma non psichiatrica”.
La sentenza italiana: “il trattamento del sostegno vitale”
E mentre in Svizzera veniva presentata questa tecnologia, l’Italia si esprimeva sui requisiti di accesso al suicidio e alla perdurante assenza di una legge che regolasse la materia. Si è concluso con una piccola ma significante novità per quanto riguarda la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale.
Con la nuova sentenza aumenteranno i casi in cui una persona potrà chiedere di accedere al suicidio medicalmente assistito, ma le singole vicende saranno sottoposte a giudizio dei tribunali, volta per volta: una rivoluzione a metà.
Ribadendo la sentenza del 2019, “sentenza Dj Fabo”, non si terrà conto solo se i pazienti siano in vita grazie a macchine per la sopravvivenza, ma anche se dipenderanno fisicamente da un caregiver o da un familiare. La Corte, in questo senso, ha espresso “il forte auspicio che il legislatore e il servizio sanitario nazionale assicurino concreta e puntuale attuazione ai principi fissati dalla propria precedente sentenza“.
La sentenza Dj Fabo, cosa cambia
Il caso di Dj Fabo ha riguardato un giovane tetraplegico morto su sua richiesta in Svizzera. Ad aiutarlo, Marco Cappato, attivista dell’associazione Coscioni, su cui la Consulta si espresse basandosi sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo.
Con quel verdetto si stipularono le quattro condizioni affinché si permettesse la pratica del suicidio medicalmente assistito: la richiesta deve essere di una persona che sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale.
E proprio sul nodo del “trattamento del sostegno vitale”, si aggiungono nuove casistiche: “anche procedure quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali – normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o ‘caregivers’ che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo”.
La Corte ha poi precisato che non ci sarà distinzione tra chi è già sottoposto a trattamenti per il sostegno vitale e chi non vi è ancora sottoposto ma li necessita. “La Corte costituzionale – ha scritto l’associazione Luca Coscioni -, nell’inerzia irresponsabile del Parlamento, conferma il requisito, per noi discriminatorio, del trattamento di sostegno vitale per accedere all’aiuto a morire, dandone però una interpretazione estensiva, contro il parere del Governo. Prendiamo anche atto che la Corte non riconosce l’equivalenza della verifica delle condizioni in Svizzera invece che in Italia. Siamo dunque pronti ad affrontare i 6 procedimenti giudiziari, per ciascuno dei quali rischiamo dai 5 ai 12 anni di carcere in base a una norma del 1930. E non ci fermeremo”.
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