Perché la cucina italiana parla di noi: dentro la candidatura Unesco
- 11 Novembre 2025
- Mondo Popolazione
La cucina italiana, quella delle famiglie, dei ristoranti e dei mercati, ha ottenuto il primo parere tecnico positivo per entrare nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità. Non è il riconoscimento definitivo, ma è il passaggio decisivo prima della decisione politica attesa a dicembre, quando il Comitato intergovernativo si riunirà a Nuova Delhi.
Se confermata, l’Italia otterrebbe il sigillo Unesco per la propria cucina nel suo complesso, non per un singolo piatto o rito gastronomico. Una notizia che tocca corde profonde: non solo orgoglio, ma la consapevolezza che in quella candidatura si rifletta un tratto essenziale del nostro modo di vivere, lavorare e rappresentarci al mondo. È un passaggio che travalica il campo gastronomico: riguarda la cultura, l’identità e la capacità di trasformare la tradizione in un linguaggio condiviso.
Come funziona l’Unesco: dietro il “sì” tecnico
Dietro quel parere positivo c’è un iter lungo e selettivo. Le candidature alla Lista rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità passano attraverso organismi consultivi internazionali, composti da esperti indipendenti incaricati di valutare la documentazione fornita dai Paesi membri.
Il dossier italiano, intitolato “La Cucina Italiana, tra sostenibilità e diversità bioculturale”, è stato costruito dall’Ufficio Unesco del Ministero della Cultura con il contributo del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste e di numerose associazioni e comunità locali.
Il documento, frutto di oltre tre anni di lavoro, presenta la cucina italiana come un sistema culturale complesso: la scelta consapevole delle materie prime, la stagionalità, la convivialità del pasto, la trasmissione dei saperi alle nuove generazioni. È su questi principi che gli esperti hanno espresso la loro valutazione positiva. Ora il dossier passerà al Comitato intergovernativo, formato da 24 Stati membri, che voterà il riconoscimento durante la sessione annuale di dicembre a Nuova Delhi.
Il ministro Francesco Lollobrigida ha invitato alla prudenza: “Il riconoscimento ufficiale si deciderà il prossimo 10 dicembre nella riunione del comitato che si terrà a Nuova Delhi. Abbiamo candidato una grande tradizione, un elemento che ci contraddistingue, ma non abbiamo ancora tagliato questo traguardo”. Già nei mesi scorsi, Lollobrigida aveva spiegato il senso culturale dell’iniziativa: “Noi non candidiamo un modo di cucinare, anche se tutte le cucine regionali italiane avrebbero i titoli per ottenere il riconoscimento a patrimonio immateriale dell’Unesco, noi candidiamo un rito. Un rito che appartiene a tutti noi, che parte dalla scelta dei cibi, passa per la cucina per approdare sulle nostre tavole dove ancora si parlerà di quello che si sta mangiando. La cucina italiana è questo: antichi saperi tramandati, la gioia di stare insieme, di incontrarsi e di mantenere vivi i rapporti familiari e di amicizia. Il pranzo della domenica è la massima espressione di questo tratto culturale che il mondo ci invidia”.
Dello stesso tenore le parole del ministro della Cultura Alessandro Giuli: “Dall’alta cucina a quella popolare, l’Italia, per le sue variegate caratteristiche geografiche e per le sue stratificazioni storiche multiformi, è impreziosita da una straordinaria pluralità di ingredienti, di piatti, di occasioni, di rituali legati al mangiare. La storia del cibo è storia della civiltà e della cultura. La cucina italiana rispecchia la società, la storia e il nostro rapporto con il territorio: oltre a essere una peculiarità tutta italiana, il cui primato è riconosciuto da tempo in tutto il mondo. Sosteniamo perciò con la massima convinzione e partecipazione la candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale Unesco”.
Anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva espresso il suo sostegno: “La cucina italiana è una delle cose più straordinarie che abbiamo, che raccontano la nostra cultura, la nostra identità, la nostra tradizione, ma anche la nostra forza”.
Negli anni l’Unesco ha già riconosciuto altre tradizioni gastronomiche nazionali: il pasto gastronomico dei francesi e la cucina tradizionale messicana (2010), la cultura del kimchi coreano e la cucina giapponese washoku (2013), l’arte del pane azzimo turco (2016). Tutte queste candidature condividono una forte dimensione cerimoniale o rituale. L’Italia, invece, propone un modello differente: una cucina quotidiana e diffusa, priva di formalismi, in cui la pratica del cucinare è parte della vita ordinaria e non di un rito.
Dietro la regia scientifica del professor Pier Luigi Petrillo, che già aveva curato i dossier vincitori della Dieta Mediterranea e dell’Arte del pizzaiuolo napoletano, la proposta italiana è stata concepita come racconto collettivo: un modo per riconoscere la cucina come patrimonio sociale e ambientale allo stesso tempo.
Un riconoscimento che tocca economia e identità
Il parere dell’Unesco è stato accolto con entusiasmo dal mondo della ristorazione. “È un riconoscimento importante – sottolinea Giancarlo Banchieri, presidente di Fiepet Confesercenti – perché dimostra che la cucina italiana non è soltanto un insieme di ricette, ma un forte elemento identitario della nostra cultura e della nostra comunità, riconosciuto e amato in tutto il mondo”. La Fiepet, con le sue strutture territoriali, ha partecipato attivamente al percorso di candidatura promuovendo eventi di valorizzazione e sensibilizzazione in tutta Italia.
Dietro l’aspetto simbolico c’è anche un impatto economico tangibile. La ristorazione italiana, con oltre 330 mila imprese, rappresenta una rete produttiva capillare e un presidio di cultura locale. Un eventuale riconoscimento Unesco darebbe impulso a un settore che contribuisce per circa il 15% al Pil nazionale, trainato da turismo, agroalimentare ed export.
Il vice ministro delle Imprese e del Made in Italy, Valentino Valentini, lo ha ribadito: “Non è una medaglia da appuntarsi sul petto. Il riconoscimento della cucina italiana come patrimonio immateriale Unesco darebbe a tutti noi strumenti per tutelare, valorizzare e far crescere questa eccellenza”.
L’effetto Unesco, storicamente, è concreto. In Francia, dopo il riconoscimento del pasto gastronomico nel 2010, la spesa turistica legata alla ristorazione è cresciuta del 12% in pochi anni. In Messico, la candidatura ha rilanciato le comunità rurali del Michoacán, cuore della tradizione culinaria del Paese. Per l’Italia, con la sua rete di prodotti Dop e Igp e 5.500 tipicità censite, l’impatto potenziale sarebbe straordinario.
Il riconoscimento avrebbe anche un valore strategico nella lotta all’“Italian sounding”, il mercato dei falsi Made in Italy che secondo Coldiretti vale oltre 100 miliardi di euro. Il marchio Unesco, infatti, funziona come garanzia di autenticità culturale, rafforzando la tutela dei prodotti e delle pratiche legate al territorio. È anche una forma di diplomazia economica: promuovere la cucina significa promuovere un modello produttivo e uno stile di vita.
Il racconto dell’Italia contemporanea
Il dossier presentato all’Unesco è un ritratto culturale dell’Italia di oggi, costruito intorno al concetto di “diversità bioculturale”: la capacità di armonizzare territori, paesaggi e tradizioni in una struttura comune.
Per Gianmarco Mazzi, sottosegretario alla Cultura con delega all’Unesco “la cucina italiana è una storia collettiva, scritta ogni giorno nelle case, nelle comunità e nei territori. Questo riconoscimento sarebbe un grande motivo di orgoglio per l’Italia intera.”
Il testo insiste su alcuni valori cardine: la convivialità del pasto, la stagionalità, la trasmissione dei saperi, il rispetto per le risorse naturali. La cucina italiana è descritta come equilibrio tra uomo e ambiente, custode di biodiversità e modello di sostenibilità.
In questo senso, la proposta italiana si distingue da quelle già riconosciute dall’Unesco: non celebra un rito o una festa, ma un comportamento diffuso e quotidiano.
Dalla pasta fresca emiliana al pesce azzurro siciliano, dai formaggi di malga ai legumi dell’Appennino, la varietà territoriale diventa il segno di un’identità comune. È una cucina che si adatta e si rigenera, senza perdere il legame con le proprie origini. Il dossier sottolinea anche il ruolo delle famiglie, delle scuole alberghiere, delle botteghe artigiane. È lì che si perpetua il patrimonio immateriale: nella trasmissione naturale dei gesti, nella cura delle relazioni, nella capacità di unire le generazioni.
Un capitolo è dedicato alle comunità italiane nel mondo. Dall’Argentina al Canada, il cibo resta il principale linguaggio identitario degli emigrati italiani. I piatti cambiano, ma l’idea di cucina come legame sociale sopravvive ovunque. È anche per questo che la proposta italiana parla una lingua universale.
Pasta e convivialità: il modello culturale che convince l’Unesco
Se c’è un alimento capace di riassumere tutto questo percorso, è la pasta. “È un pilastro della nostra cucina e motivo di orgoglio nazionale”, ha dichiarato Margherita Mastromauro, presidente dei pastai italiani di Unione Italiana Food. “Per sette italiani su dieci è il piatto che rappresenta meglio l’Italia.”
Secondo un’indagine AstraRicerche, l’82% degli italiani la considera altamente rappresentativa dell’alimentazione nazionale e il 96% la riconosce come ambasciatrice del Made in Italy nel mondo.
La pasta è l’esempio perfetto di una pratica viva: cambia forma e ricetta a ogni latitudine, ma resta sempre se stessa. È industriale e artigianale, quotidiana e festiva. Incarna quella capacità italiana di tenere insieme semplicità e complessità, innovazione e memoria.
L’Unesco guarda con favore proprio a questo tipo di elementi: pratiche che uniscono identità e convivialità. Il pranzo di famiglia, la tavola come luogo di incontro, l’idea che cucinare sia un gesto di relazione: sono tutti aspetti centrali della candidatura italiana.
Un altro dato interessante riguarda la partecipazione alla candidatura. Per ogni proposta, l’Unesco richiede il consenso delle comunità coinvolte. Nel caso italiano, sono arrivate oltre duecento lettere di sostegno da associazioni di categoria, regioni, consorzi e ristoratori. È uno dei numeri più alti mai registrati, segno della forza collettiva del progetto.
“Da oggi la cucina italiana è davvero a un passo dal riconoscimento formale”, ha commentato il sottosegretario Patrizio La Pietra. “È un risultato che renderà merito alle nostre tradizioni agroalimentari, alla nostra cultura e alla nostra storia.”
Se il Comitato intergovernativo di Nuova Delhi confermerà il giudizio, l’Italia vedrà iscritta la propria cucina nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità. Un riconoscimento che sancirebbe ufficialmente ciò che milioni di persone, ogni giorno, sanno già: che la cucina italiana è un modo di stare al mondo e non solo di mangiare.

