Calano ancora le nascite, ma l’inverno demografico dell’Italia arriva da lontano
- 05/09/2023
- Popolazione
Nel primo quadrimestre del 2023 le nascite sono scese dell’1,1% rispetto allo stesso periodo del 2022 segnando 117.857 nuovi nati a fronte dei 119.185 del primo quadrimestre dello scorso anno, con una differenza di 1.328 nascite.
Anche se il calo è lieve, i dati dell’aggiornamento Istat continuano nel solco del 2022, anno in cui si è registrato il record minimo di nascite (393.000, per la prima volta sotto la soglia psicologica dei 400.000 nella storia dell’Italia unita).
Allargando l’orizzonte dell’analisi emerge che i nuovi nati nel primo quadrimestre 2023 sono ben il 10,7% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. L’andamento di questo periodo rispecchia quanto accade ormai dal 2008, l’ultimo anno in cui l’Italia ha registrato un saldo positivo delle nascite.
Anche per effetto della pandemia, nel solo triennio 2019-2022 l’Italia ha perso quasi un milione di persone (957mila unità).
Cresce la speranza di vita
Coerentemente con le tendenze demografiche consolidate, l’età media degli italiani sta aumentando anche grazie a una decisa inversione di tendenza per quanto riguarda i decessi: sono 232mila nei primi quattro mesi del 2023, 21mila in meno rispetto allo stesso periodo 2022, 42mila in meno rispetto al primo quadrimestre 2020 e quasi 2mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2019.
Nel 2022 la speranza di vita alla nascita è di 80,5 anni per gli uomini e 84,8 anni per le donne; solo per i primi si nota, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più.
Nonostante il Covid abbia colpito soprattutto gli anziani e negli ultimi tre anni siano morte oltre 2 milioni e 150mila italiani di cui l’89,7% con più di 65 anni, il processo di invecchiamento della popolazione prosegue: l’età media della popolazione è passata da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023, quando la popolazione over 65 costituisce il 24,1%. In pratica, in Italia quasi una persona su 4 ha più di 65 anni.
Aumentano anche gli ultraottantenni che rappresentano il 7,7% della popolazione italiana, mentre è record di ultracentenari che al 1° gennaio 2023 sfiorano la soglia delle 22mila unità, oltre 2 mila in più rispetto all’anno precedente.
Dall’inizio degli anni Duemila, grazie a un incremento di oltre 17 mila persone, il numero di ultracentenari in Italia è triplicato. I dati Istat evidenziano come gli ultracentenari siano per la maggior parte donne, con percentuali superiori all’80% dal 2000 ad oggi. Il Centro e il Nord presentano una proporzione di ultrasessantacinquenni leggermente più alta di quella nazionale, rispettivamente pari al 24,7% e al 24,6%. Nel Mezzogiorno tale proporzione è invece del 23,0 per cento. Gli ultraottantenni costituiscono l’8,2% della popolazione totale nel Nord e nel Centro e il 6,8% nel Mezzogiorno.
La preoccupante dinamica demografica è riassunta molto bene da un dato: secondo le previsioni Istat, nel 2041 la popolazione degli ultraottantenni segnerà un +69,4% rispetto al 2021, superando quota 6 milioni.
Dati e riflessioni sulla fecondità
Mentre una fascia ristretta come quella degli ultrasessantacinquenni è sempre più presente e rappresenta il 24,1% della popolazione, quella molto ampia tra i 15 e i 64 anni risulta in diminuzione e rappresenta il 63,4% della popolazione totale con 37 milioni e 339 mila persone. I ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334mila, ovvero il 12,5% della popolazione italiana.
Passando all’analisi della fecondità, si aprono alcuni spunti di riflessione. Nel 2022 la fecondità è tornata ai livelli del 2020 (1,24 figli in media per donna), anche se al di sotto del periodo pre-pandemico (1,27 nel 2019). Si discute sempre più frequentemente di questo tema, spesso presentandolo come una assoluta novità nel panorama demografico italiano.
In realtà la persistente bassa fecondità è uno dei tratti distintivi dell’evoluzione demografica del nostro Paese: è dalla metà degli anni Settanta che il numero medio di figli per donna è sceso sotto la soglia di 2,1, valore che sancisce un teorico equilibrio nel ricambio generazionale e la diminuzione è stata continua, fino al minimo storico di 1,19 figli per donna del 1995.
Si noti che, nonostante quest’ultimo dato dimostri una fecondità più bassa di quella attuale, spesso la crisi demografica attuale viene imputata semplicemente ai giovani che non vogliono fare figli. Eppure, se il numero medio di figli per donna è più alto oggi che nel 1995, appare discordante cercare negli ultimi mesi e nelle scelte dei giovani la principale causa della crisi demografica.
Come rileva l’Istat, infatti, il vero nodo è il cosiddetto effetto struttura: a incidere pesantemente sul numero delle nascite è la diminuzione delle donne in età fertile, non le scelte delle stesse. L’effetto struttura, spiega l’istituto, è responsabile per l’80% del calo complessivo di circa 27 mila nascite effettivamente osservato tra il 2019 e il 2022, solo il restante 20% si deve alla minore fecondità registrata negli ultimi anni (da 1,27 figli in media per donna del 2019 a 1,24 del 2022).
Infatti, se nel 2022 le donne avessero avuto la stessa fecondità osservata nel 2019, si sarebbe avuto comunque un calo di circa 22 mila nati, attribuibile interamente alla minore numerosità e alla composizione per età delle donne.
Dunque, le radici dell’inverno demografico italiano affondano nella seconda metà degli anni Novanta quando si è passati dal baby boom del 1964 con oltre un milione di nascite alle 526 mila nascite del 1995.
L’erosione del contingente dei potenziali genitori si deve proprio a questa evoluzione storica della fecondità: nel passaggio di un ideale testimone tra una generazione di genitori (i nati del baby boom) e quella dei loro figli (i nati della metà degli anni Novanta) i contingenti si sono pressoché dimezzati. La fecondità ha poi ripreso ad aumentare, arrivando al massimo relativo di 1,44 figli per donna del 2010 sostenuto, in gran parte, dalle nascite con almeno un genitore straniero, arrivate a costituire circa 1/5 del totale dei 562 mila nati del 2010.
Successivamente, dopo le crisi del 2008 e del 2011-2012, è iniziata una nuova fase di rapida diminuzione delle nascite e del numero medio di figli per donna.
In conclusione, come spesso accade, è sbagliato cercare esclusivamente nel proprio tempo le cause delle tendenze, positive o negative che siano. Solo un’analisi equilibrata, ampia ed oggettiva può aiutare a comprendere le dinamiche attuali e a intervenire per migliorarle. Appare quindi condivisibile l’approccio politico che volge in parte al presente, riconoscendo il ruolo fondamentale dell’immigrazione per il futuro demografico italiano e in parte al futuro, con le politiche statali e regionali che incentivino la natalità.
- Europa Giovane6
- Famiglia225
- Fertilità155
- Giovani249
- Mondo203
- Podcast5
- Popolazione489
- Talk | 13 dicembre 20239
- Talk | La 'cura' delle persone5
- Trend97
- Video28
- Welfare237