Autonomia differenziata, nel 2023 il Sud è cresciuto più del Nord
- 21/06/2024
- Popolazione
Se il Sud Italia cresce più del Nord, che piega prende l’autonomia differenziata?
Non si tratta di un’ipotesi scolastica, ma concreta: in termini percentuali, nel 2023 il Mezzogiorno è cresciuto più del Settentrione, non accadeva dal 2015. Il Centro Italia ha evidenziato una sostanziale stagnazione.
Quanto emerge dall’ultimo rapporto di Svimez, associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno, assume un significato particolare a poca distanza dall’approvazione dell’autonomia differenziata alla Camera, una legge che per le opposizioni spaccherà l’Italia in due, creando “cittadini di serie A e cittadini di serie B”, usando le parole della segretaria Pd Elly Schlein.
A livello nazionale, il rapporto stima una crescita del +0,9%, in decelerazione rispetto al +4% del 2022, ma comunque al di sopra della media europea (+0,4%).
Cosa ha trainato la crescita
Freschi dalle elezioni europee e dalle loro circoscrizioni, vediamo come è cresciuto il Pil nelle varie zone della penisola, laddove le isole sono accorpate al Sud. Nel 2023, si è registrato il prodotto interno lordo ha segnato:
- +1,3% nelle regioni del Sud Italia;
- +1% al Nord-Ovest;
- +0,9% al Nord-Est;
- +0,4% al Centro (in linea con la media Ue).
Il Meridione non aveva la meglio in questo confronto dal 2015, quando il Pil segnava +1,4% contro il +0,6% del Centro-Nord).
Nel valutare i dati, bisogna anche considerare l’inflazione che già da sola aumenta il volume economico degli scambi (in media è stata del 5,7% nel 2023).
A livello delle singole regioni il rapporto Svimez evidenzia dei buoni risultati anche al Nord con una forte crescita del Piemonte e del Veneto. Il Piemonte ha registrato un aumento del Pil dell’1,2%, trainato dall’industria (+1,7%) e dai servizi (+1,3%). Il Veneto ha mostrato un incremento persino maggiori, pari al +1,6% del Pil, con il settore delle costruzioni in forte espansione (+4,7%) e i servizi in crescita (+2,3%) trainati dal turismo, dato che in questa regione si concentra quasi il 16% delle presenze turistiche italiane.
La Lombardia, sebbene in crescita, ha visto un aumento più modesto del +0,9%. Questo risultato è stato in parte frenato dal calo del comparto industriale (-2,5%), il più significativo tra le regioni del centro-nord. L’export lombardo ha mostrato solo un timido incremento (+1,2%), influenzando negativamente l’economia regionale.
L’Emilia-Romagna, con un incremento del Pil dello 0,6%, ha risentito della decelerazione del commercio estero e della stagnazione dell’economia tedesca, un partner commerciale chiave. Questo ha impattato in maniera significativa una regione nota per la sua vocazione all’esportazione.
Non tutte le regioni italiane hanno avuto un andamento positivo. La Toscana ha registrato una contrazione del PIL dello 0,4%, mentre le Marche e il Friuli-Venezia Giulia hanno visto un calo del PIL dello 0,2%.
I comparti più in crescita
I fattori che hanno spinto la crescita del Sud siano sia interni, che esterni, come i finanziamenti dallo Stato centrale e dall’Ue. La crescita più accentuata del Pil meridionale è stata sostenuta soprattutto dal comparto delle costruzioni (+4,5%, quasi un punto percentuale in più della media del Centro-Nord), che insieme ai servizi (+1,8%) hanno più che bilanciato la lieve contrazione del comparto industriale (-0,5%).
A dispetto del detto popolare, in Italia il terzo non gode. Nel rapporto Svimez 2023, il Centro è infatti fanalino di coda della penisola, condizionato dal calo del valore aggiunto industriale, più che doppio rispetto alla media nazionale (-2,6% rispetto al -1,1% nazionale) e da una crescita dei servizi più bassa della media nazionale (+1,1% rispetto al +1,6%). Anche qui, però, si certifica una enorme crescita del comparto delle costruzioni (+6,2%).
Nel Nord-Ovest la crescita del Pil è stata rallentata dal calo del valore aggiunto industriale (-1,4%) e dalla crescita molto più contenuta della media nazionale delle costruzioni (+2,5%), mentre il Nord-Est ha risentito della dinamica piatta del valore aggiunto industriale.
Il cambiamento climatico diminuisce la ricchezza
Il rapporto Svimez è anche l’ulteriore conferma dei danni che il cambiamento climatico genera sull’economia e sulla popolazione. I fenomeni estremi che hanno caratterizzato gran parte del 2023 hanno inciso pesantemente sull’agricoltura di tutta la penisola con la sola eccezione del Nord-Ovest (+6,4% dopo la forte flessione del 2022).
Il valore aggiunto del comparto ha segnato un -6,1% nel Centro, -5,1% nel Nord-Est, -3,2% nel Sud. Il risultato dell’agricoltura, settore molto delicato anche a livello comunitario con l’Ue che ha da poco approvato la nuova Pac, è anche dovuto al diverso contributo della domanda estera: al Centro-Nord, c’è stato praticamente uno stallo dell’export che ha privato le economie locali di un traino “sicuro”. Al Sud, invece le merci esportate sono aumentate, al netto della componente energetica, del +14,2%.
Nel 2023, in Europa e in Italia si sono moltiplicati i fenomeni climatici estremi. Tra i 20 disastri naturali dello scorso anno le alluvioni in Emilia-Romagna occupano il sesto posto secondo la classifica stilata da Christian Aid che misura l’impatto economico di questi eventi.
Mentre si infervora il dibattito sull’autonomia differenziata, si rinforza l’esigenza di affrontare la questione climatica in modo unitario, nella consapevolezza che redditività e contrasto al cambiamento climatico non sono nemici, anzi.
Sud trainato anche dagli investimenti
Quella del rapporto Svimez sugli investimenti è forse la parte più delicata mentre si infiamma il dibattito sulla autonomia differenziata. Infatti, gli investimenti in opere pubbliche hanno generato effetti positivi per l’economia del Sud, più che al Nord.
Secondo il report, circa il 40% della crescita complessiva del Meridione nel 2023 è frutto di investimenti pubblici, a partire dal Pnrr.
Nel 2023 gli investimenti pubblici sono cresciuti del 16,8% al Sud, contro il +7,2% del Centro-Nord. Nel complesso delle regioni meridionali gli investimenti in opere pubbliche sono cresciuti da 8,7 a 13 miliardi tra il 2022 e il 2023 (+50,1% contro il +37,6% nel Centro-Nord). Una dinamica sulla quale potrebbe aver inciso molto il progressivo avanzamento degli investimenti del Pnrr e l’accelerazione della spesa dei fondi europei di coesione in fase di chiusura del ciclo di programmazione 2014-2020.
Viceversa, la spesa pubblica per incentivi alle imprese è cresciuta molto meno al Sud, dove si è registrato il +16% al Sud contro il +26,4% del Centro-Nord.
Questo gap riflette la minore capacità del tessuto produttivo meridionale di assorbire gli investimenti, soprattutto per la minore presenza di grandi imprese, che sono le più pronte ad accogliere le richieste di ammodernamento tecnologico e digitale finanziate dal Pnrr.
Dal post-Covid, iniziato nel 2021, il Mezzogiorno ha partecipato attivamente alla crescita nazionale, collocandosi stabilmente al di sopra della crescita media dell’Ue. Grazie alla crescita cumulata del PIL 2019-2023 nel Mezzogiorno (+3,7%) si è scongiurato un maggiore divario tra Nord e Sud.
Le dinamiche Nord-Sud stanno cambiando?
Negli ultimi tempi si moltiplicano le voci che parlano di una rinascita del Sud Italia, avvalorate da concreti risultati sul territorio. Bari e Messina, per esempio, sono tra le città europee dove la qualità della vita percepita è migliorata di più in tutta Europa. Poi, complice lo shock pandemico, sempre più italiani sognano di trasferirsi al Sud per vivere una vita meno frenetica e dove il lavoro non è più al centro della vita, come sostenuto soprattutto dalle giovani generazioni. Si tratta di una narrazione profondamente diversa da quella, ancora prevalente, che vede una forte migrazione interna dal Sud e dalle aree interna della penisola al Nord e alle grandi città.
Forse non è un caso che anche la dinamica occupazionale si sia mostrata più favorevole al Sud. Gli occupati nel Mezzogiorno sono aumentati del 2,6% su base annua, più che nelle altre macro-aree e a fronte di una media nazionale del +1,8%. Il timore dell’opposizione e di molto studiosi è che l’autonomia differenziata stronchi sul nascere questa inversione di tendenza.
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