Agricoltori e imprenditori lavorano più di tutti: l’analisi in Ue e in Italia
- 11/06/2024
- Popolazione
Dai dati Eurostat del 2023, emerge una grande differenza tra i Ventisette nelle ore lavorate ogni settimana: si va dalle 39,8 ore dei greci alla media di 32,2 ore di olandesi e austriaci.
Questi godono della settimana lavorativa più breve tra tutti i Paesi Ue, seguiti dai tedeschi con 34 ore. L’Italia si allinea perfettamente con la media europea, registrando 36,1 ore settimanali. In cima alla classifica delle ore lavorate troviamo invece i greci, con 39,8 ore settimanali, seguiti dai polacchi a 39,3 ore e dai bulgari, con una media di ore lavorate per settimana pari a 39.
Prima che vi sentiate (giustamente) estraniati da questi numeri, bisogna specificare che il conteggio Eurostat tiene conto del monte ore annuale suddividendolo allo stesso per ogni settimana, quindi, include anche i giorni e le settimane non lavorate per ferie, permesso, congedi e malattia. La ricerca si concentra sull’occupazione principale degli intervistati nella fascia di età 20-64 anni
I settori dove si lavora di più
C’è un confronto che non verrà mai meno, almeno in Italia. Quel bisogno di affermare la propria operosità per cui “se tu hai lavorato tanto, io ho lavorato di più”.
Può essere utile capire quali siano i settori dove, in Europa, si lavora di più:
- agricoltura, silvicoltura e pesca, con una media di 41,5 ore settimanali;
- estrazione mineraria con 39,1 ore;
- edilizia con 38,9 ore.
La settimana lavorativa più corta viene registrata tra i datori di lavoro con un monte ore settimanale pari a 26,7 ore lavorate. Per quanto riguarda i settori, quelli dove si lavora meno ore sono:
- istruzione (31,9 ore);
- attività artistiche, di intrattenimento e ricreative (33 ore).
Differenze tra i Paesi Ue
Nel 2023, il 37,1% degli occupati nell’Unione Europea ha lavorato tra le 40 e le 44,5 ore settimanali. Solo il 7,1% ha registrato meno di 20 ore settimanali nel proprio lavoro principale.
La fascia di 40-44,5 ore settimanali rappresenta la quota maggiore nella maggior parte dei Paesi, eccetto Irlanda, Finlandia, Belgio, Francia e Danimarca, dove è più frequente lavorare tra le 35 e le 39,5 ore a settimana.
Le differenze più significative sulle ore lavorate si trovano proprio nella fascia 40-44,5 che in Bulgaria riguarda l’82,2% dei lavoratori, in Romania l’80,2% e in Lettonia il 77,7% contro la media europea del 37,1%, mentre in Belgio (16,1%), Francia (13,3%) e Danimarca (10,6%) si registrano le quote più basse.
Differenze di genere
Anche l’analisi Eurostat 2023 denota il problema del gender gap lavorativo.
Mediamente, in Ue gli uomini impiegati a tempo pieno lavorano 39,8 ore settimanali, rispetto alle 37,8 ore delle donne. Disparità che poi si riversano sui salari e spesso derivano da esigenze di cura domestiche. Secondo i dati Ocse, citati da Openpolis nel terzo trimestre 2023, le donne impiegano mediamente 4,73 ore al giorno per il lavoro domestico e di cura, gli uomini solo 1,84 ore.
La forbice più ampia si riscontra in Irlanda, dove gli uomini lavorano 40,5 ore settimanali contro le 36,5 delle donne. Nei Paesi Bassi, gli uomini lavorano 38,8 ore settimanali rispetto alle 35,2 delle donne, mentre in Grecia gli uomini lavorano 42,5 ore settimanali contro le 39,3 delle donne. Secondo i numeri dell’Istituto europeo di statistica, nel 2023 in Italia gli uomini hanno lavorato mediamente 40,2 ore settimanali rispetto alle mentre le donne 37 delle donne. Forbice più stretta a Cipro, dove gli uomini lavorano 41,3 ore settimanali contro le 38,8 delle donne.
Gender gap occupazionale
Il monte ore e il part-time forzato è solo un aspetto del problema. L’altro riguarda il gender gap occupazionale in senso stretto. Secondo un’elaborazione Openpolis sui dati Eurostat pubblicata a settembre 2023, in Europa risulta occupato l’80% degli uomini contro il 69,3% delle donne. Il gender gap medio è quindi del 10,7%, ma ci sono molte differenze tra i Ventisette.
Il record negativo spetta alla Grecia con il 21% di differenza occupazionale tra uomini e donne. L’Italia segue a ruota con 19,7% che è il doppio delle media europea. Meglio del Belpaese la Romania che registra il 18,6%. Tra i Paesi più virtuosi ci sono invece quelli scandinavi e baltici: in testa Lituania (0,8%) e Finlandia (1,2%) e a seguire Estonia (2,9%) e Lettonia (3,1%).
Il gender gap in Italia
Un altro dato interessante in chiave demografica emerge dall’elaborazione Openpolis: in 22 Stati europei su 27, le donne con 3 figli hanno tassi di occupazione superiori a quelle italiane con un solo figlio. E, soprattutto, i Paesi con le peggiori performance di natalità sono anche quelle con i minori tassi di occupazione femminile.
Una statistica che si intreccia con quella del part-time e delle dimissioni delle mamme in Italia.
Secondo i dati del report lavoro elaborato dalla Cisl a marzo 2024, il part-time riguarda il 7% degli occupati uomini, ma il 31,1% delle donne occupate. Insomma, in Italia il lavoro a tempo parziale (con tutte le sue conseguenze contributive e retributive) incide sulle donne oltre quattro volte in più rispetto agli uomini.
Con l’aggravante che anche le donne che scelgono volontariamente il part time lo fanno perché è spesso l’unico strumento di conciliazione a causa degli insufficienti servizi per la natalità e dei salari spesso troppo basi per potersi permettere una baby-sitter. l divario si allarga quando si parla di dimissioni come mostra la relazione annuale 2022 sulle dimissioni presentate entro i primi tre anni dalla nascita dei figli.
Che a licenziarsi siano soprattutto le donne neomamme lo conferma il 72,8% dei provvedimenti, pari a 44.669 dimissioni convalidate. La parte peggiore riguarda la causa: il 63% delle dimissioni rosa si basa sulla difficile conciliazione tra la cura dei figli e il lavoro, causa che tocca gli i papà solo nel 7,1% dei casi.
Altri dati del rapporto corroborano la tesi. La fascia d’età 29-44 anni occupa quasi l’80% dei destinatari delle convalide e quasi il 60% dei provvedimenti riguarda mamme e papà con un solo figlio o in attesa del primo. Le percentuali inferiori in presenza del secondo o terzo figlio dimostrano che all’aumentare del numero dei bambini peggiorano le condizioni di stabilità lavorative, ma che la sola prima maternità è sufficiente a mettere in crisi le donne che scelgono di diventare mamme.
Non è un caso che l’Italia abbia il tasso di fecondità più basso d’Europa (1,2 figli per donna), insieme a Spagna e Malta.
Chi lavora di più tra imprenditori e dipendenti?
Un dato curioso dell’indagine Eurostat 2023 riguarda le tipologie di lavoratori, intesi come dipendenti, lavoratori autonomi senza dipendenti e imprenditori con dipendenti.
La differenza di ore lavorate è molto grande:
- gli imprenditori che hanno assunto dei dipendenti sono i più impegnati in assoluto e lavorano una media di 47 ore settimanali in ufficio;
- poi ci sono i lavoratori autonomi senza dipendenti, che però sono molto distaccati dagli imprenditori con dipendenti e lavorano in media 40,4 ore a settimana;
- i dipendenti, invece, si attestano sulle 36,6 ore settimanali.
Infine, bisogna considerare il dato secondo cui gli italiani sono tra i più stacanovisti d’Europa. Il dato, anche questo fornito dall’Eurostat sul 2023, è solo in apparenza una contraddizione. Lo studio in questione non misura la media di ore lavorate per settimane, ma quante persone facciano orari straordinari.
Il risultato è che gli italiani più stacanovisti sono i lavoratori autonomi: secondo la ricerca, quasi un autonomo su tre (29,3%) dichiara di lavorare 49 ore settimanali. Più in generale, a superare la soglia del normale orario di lavoro sono il 46% degli autonomi italiani contro il 41,7% della media dei “colleghi” europei (qui per approfondire l’indagine).
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