Afghanistan, terremoto e donne. L’appello Oms: “Lasciate lavorare le dottoresse”
- 8 Settembre 2025
- Mondo
Molte sono morte sotto le macerie. Altrettante non ricevono le cure adeguate. Il problema? Non possono essere toccate dagli uomini, ma non ci sono sufficienti dottoresse. Stiamo parlando dell’altro volto del post-terremoto che ha colpito il primo settembre l’Afghanistan orientale. Un evento che ha causato la morte di 2.200 persone e altre 3.600 ferite delle quali il 42% è donna, ma che vede – in questo tragico bilancio – un problema strutturale che peggiora la situazione: la mancanza di personale medico femminile che curi le vittime.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha così lanciato un appello alle autorità talebane: rimuovere immediatamente le restrizioni che impediscono alle operatrici umanitarie afghane di operare liberamente, in particolare quelle che vietano di viaggiare senza un tutore maschio. Perché la disperata scarsità di personale medico femminile e le barriere culturali che impediscono alle donne colpite di accedere alle cure vitali stanno peggiorando un quadro già drammatico.
Un ostacolo culturale e normativo alla sopravvivenza
La dottoressa Mukta Sharma, vice rappresentante dell’ufficio dell’Oms in Afghanistan, ha definito alla Reuters la situazione della carenza di personale femminile “un problema molto serio”. Secondo le sue stime, circa il 90% del personale medico nelle aree colpite è di sesso maschile. Questo pone un ostacolo per molte donne afghane che, per ragioni culturali o timore, si sentono a disagio o hanno paura di interagire con medici uomini e di viaggiare da sole per ricevere assistenza.
Questo comporta che le donne ferite dal terremoto, traumatizzate dal sisma e affette da problemi fisici, faticano a raggiungere l’assistenza medica.
Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea Onlus che lavora nel campo dei diritti umani, ha denunciato con forza ai media vaticani che i suoi operatori presenti in Afghanistan hanno riscontrato tale problema: “Le donne non possono farsi visitare e nemmeno accedere agli aiuti umanitari. In una casa colpita dal terremoto, i nostri operatori hanno trovato una stanza piena di donne, stipate come animali: la famiglia non voleva che fossero viste. La nostra organizzazione si sta attrezzando per poter creare delle equipe mediche femminili per poter soccorre tutte le donne, non solo dal punto di vista sanitario ma anche alimentare”.
Restrizioni talebane
La richiesta dell’Oms si scontra con le politiche restrittive imposte dall’amministrazione talebana sin dal 2022, quando fu ordinato al personale femminile afghano delle Organizzazioni non governative di smettere di lavorare fuori casa. Sebbene siano state previste alcune “esenzioni frammentarie e insufficienti” per i settori della sanità e dell’istruzione, queste non bastano a garantire un aumento del personale femminile, specialmente in un’emergenza che richiede rapidi spostamenti e flessibilità.
Sharma ha sottolineato che “le restrizioni sono enormi, la questione del mahram (le restrizioni dovute all’obbligo di avere un tutore maschio) continua e le autorità di fatto non hanno previsto alcuna esenzione formale”. Questa incertezza costringe le organizzazioni umanitarie e il personale femminile a operare in un limbo, spesso incapaci di assumersi i rischi e di fornire aiuti efficaci. I talebani affermano di rispettare i diritti delle donne secondo la loro interpretazione della legge islamica e di voler garantire l’accesso agli aiuti, ma finora non hanno fornito risposte concrete sul come intendono farlo.
Un problema oltre il terremoto
Le preoccupazioni dell’Oms vanno oltre l’immediata emergenza. Sharma è “estremamente preoccupata” per la capacità futura delle donne di accedere all’assistenza sanitaria mentale e fisica, soprattutto per quelle che hanno perso i familiari maschi e devono ora affrontare le restrizioni senza un tutore. La carenza di dottoresse afghane è destinata ad aggravarsi drammaticamente, dato che i talebani hanno escluso le studentesse dalle scuole superiori e dall’università, bloccando la formazione di nuove professioniste e svuotando il bacino di personale medico femminile.
In un Paese già afflitto da crisi umanitarie e tagli agli aiuti, i dati dell’ultimo rapporto sul terremoto in Afghanistan, redatto dalle Nazioni Unite, non lasciano ben sperare. Si stima che circa 11.600 donne incinte siano state colpite dal terremoto in una nazione con uno dei tassi di mortalità materna tra i più alti dell’Asia. A complicare la situazione, i tagli ai finanziamenti internazionali e statunitensi che hanno già messo in ginocchio il sistema sanitario, portando alla chiusura di 80 strutture sanitarie solo nell’ultimo anno, alle quali si aggiungono altri 16 centri danneggiati direttamente dal terremoto.
La richiesta dell’Oms non è solo un appello umanitario, ma un’esigenza vitale per la salute e la dignità delle donne afghane, la cui vita è ora appesa a un filo, intrappolate tra le macerie del terremoto e le barriere imposte da un sistema che le esclude dall’assistenza.