Il prossimo Dalai Lama sarà una donna?
- 8 Luglio 2025
- Mondo
Il 6 luglio 2025, il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, ha compiuto 90 anni. Dalla sua residenza in esilio a Dharamsala, in India, ha confermato che l’istituzione del Dalai Lama continuerà anche dopo la sua morte. La scelta del suo successore, ha ribadito, sarà affidata al Gaden Phodrang Trust, l’organizzazione da lui fondata nel 2011. Ma la domanda che molti si pongono oggi è se il prossimo Dalai Lama potrebbe essere una donna e come ciò rivoluzionerebbe il buddismo e le istituzioni religiose. Ma partiamo dalle origini.
Chi è il Dalai Lama e perché la sua successione è contesa
Il Dalai Lama è la guida spirituale del Buddhismo tibetano, considerato la reincarnazione del bodhisattva Avalokiteśvara, simbolo della compassione. Il titolo, che significa “oceano di saggezza”, è stato istituito nel XVI secolo. Alla morte di un Dalai Lama, un consiglio avvia la ricerca della sua reincarnazione, basandosi su sogni, segni e rituali tramandati nei secoli.
Tenzin Gyatso fu riconosciuto come reincarnazione a soli due anni e assunse il potere politico a quindici, nel 1950, proprio mentre la Cina comunista invadeva il Tibet. Dopo la repressione della rivolta di Lhasa nel 1959, fuggì in India, dove fondò un governo tibetano in esilio. Da allora, il Tibet è sotto stretto controllo cinese e ogni manifestazione di devozione verso il Dalai Lama è vietata.
Oggi, la sua successione è al centro di una contesa tra due visioni opposte. Il Dalai Lama ha chiarito che la sua reincarnazione sarà riconosciuta solo attraverso i metodi tradizionali e sotto la supervisione del Gaden Phodrang Trust. La Cina, invece, rivendica il diritto esclusivo di approvare la reincarnazione, appellandosi a una pratica imperiale del 1793. Il rischio è una “doppia reincarnazione”: una riconosciuta dal governo cinese e una dalla comunità tibetana in esilio.
Una donna Dalai Lama? Tra apertura e contraddizioni
Il Dalai Lama ha più volte affermato che il suo successore potrebbe essere una donna. In diverse occasioni ha elogiato le qualità femminili come la compassione e la cura, affermando che “la prossima sarà l’era della donna”. Tuttavia, una sua dichiarazione del 2015 alla Bbc – in cui affermava che una donna Dalai Lama “dovrebbe essere attraente” – ha suscitato forti critiche. In seguito, si è scusato, chiarendo che intendeva sottolineare l’importanza della presenza spirituale, non dell’aspetto fisico.
Nel Buddhismo tibetano, le donne hanno storicamente avuto ruoli marginali. Le monache esistono, ma per secoli hanno avuto accesso limitato all’istruzione religiosa avanzata. Solo nel 2016, grazie all’intervento diretto del Dalai Lama, venti monache hanno ottenuto per la prima volta il titolo di “Geshema”, l’equivalente femminile del dottorato in filosofia buddhista.
Il titolo di Geshema è il più alto grado accademico nel Buddhismo tibetano, equivalente al titolo maschile di Geshe Lharampa. Per ottenerlo, le monache devono affrontare un percorso di studi lungo e rigoroso:
• Studiano i Cinque Grandi Testi Canonici del Buddhismo tibetano.
• Devono superare quattro anni di esami, con prove scritte e orali, inclusi dibattiti pubblici.
• Gli esami si svolgono ogni anno e durano fino a 12 giorni.
La prima donna a ottenere questo titolo fu Kelsang Wangmo, una monaca tedesca, nel 2011. Da allora, il numero di Geshema è cresciuto, ma resta una conquista recente e ancora limitata.
Donne e autorità religiosa: un problema legato alla maternità
In molte religioni, le donne non possono accedere ai ruoli più alti. Nel Cattolicesimo, ad esempio, non possono diventare sacerdoti o papi. Nell’Islam, possono essere studiose e guide spirituali, ma raramente imam. Nell’Ebraismo ortodosso, non possono diventare rabbine. Le ragioni sono molteplici, ma spesso si intrecciano con una visione patriarcale della società e con una sacralizzazione della maternità.
In particolare, nella tradizione cattolica, la maternità è vista come vocazione primaria della donna. Questo ha portato a una teologia che esalta la figura della madre, ma che al tempo stesso limita l’accesso delle donne a ruoli di autorità. Come ha osservato Papa Francesco, “una Chiesa senza le donne è come il Collegio Apostolico senza Maria. Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, della Madonna; quella che aiuta a crescere la Chiesa”, ma la dottrina ufficiale continua a escludere le donne dal sacerdozio.
Anche nell’Islam e nell’Ebraismo, la maternità è spesso considerata il fulcro dell’identità femminile. In molte comunità, le donne sono viste come custodi della tradizione e della famiglia, ma non come leader religiose. Questo legame tra maternità e subordinazione spirituale è stato criticato da molte studiose, che lo vedono come un ostacolo all’uguaglianza.
Secondo l’antropologa Anna Fedele, in molti paesi cattolici del Sud Europa, numerose donne si stanno allontanando dalla religione istituzionale per abbracciare forme di spiritualità più fluide, spesso legate alla “spiritualità della Dea” o alla maternità olistica. Questo passaggio nasce proprio da un’insoddisfazione verso le restrizioni imposte dal genere all’interno delle religioni tradizionali.
Una questione che va oltre il Tibet
La domanda “Il prossimo Dalai Lama sarà una donna?” non è solo simbolica. È una finestra aperta su un mondo in trasformazione, dove spiritualità, politica e cultura si intrecciano. È una questione che riguarda il futuro del Tibet, la libertà religiosa, l’autodeterminazione dei popoli e il riconoscimento del valore delle donne in ambito spirituale.
Forse, allora, la vera domanda non è se il prossimo Dalai Lama sarà una donna, ma se il mondo sarebbe pronto ad accoglierla.