Un terzo del mondo è “sempre online”: chi non riesce più a staccare?
- 25 Settembre 2025
- Mondo
Un adulto su tre al mondo non stacca quasi mai lo sguardo dallo schermo. È questo il dato più sorprendente che emerge dall’indagine del Pew Research Center, condotta tra gennaio e aprile 2025 su un campione di oltre 30mila persone in 24 Paesi. La domanda era semplice: “Quanto spesso usi internet? Quasi costantemente, più volte al giorno, una volta al giorno, meno spesso o mai?”. La risposta ha disegnato una mappa netta: una media del 28% di adulti “always on”, 40% che si connette più volte al giorno, 15% una volta al giorno o meno, 9% mai.
Il dato non fotografa l’adozione — quella è ormai vicina alla saturazione in buona parte del mondo — ma l’intensità. È questo che crea differenze sostanziali: tra un Paese dove la connessione è permanente e un altro dove l’accesso è frequente ma con pause. Non sono sfumature: vivere connessi in modo continuo significa spostare consumi, informazione, lavoro e relazioni dentro uno spazio digitale che non ammette tregue.
La classifica mondiale vede in cima Giappone (56%) e Corea del Sud (49%): oltre la metà della popolazione adulta dichiara di essere online quasi sempre. Subito sotto, Argentina (43%), Stati Uniti (41%), Spagna (41%), Israele (42%) e Turchia (41%). Nel blocco centrale, tra il 20 e il 30%, si collocano Francia (28%), Svezia (26%), Germania (24%), Paesi Bassi (25%), Regno Unito (32%) e Canada (32%): Paesi dove la connessione è intensa ma non permanente. In coda, con percentuali tra il 13 e il 15%, ci sono Nigeria (13%), Kenya (15%) e Grecia (14%).
La forbice si allarga quando si guarda al numero di persone che non usano Internet affatto: si va dal 4% in Canada, Svezia e Paesi Bassi, al 36% in India e 33% in Kenya. Anche in Paesi con altissimi livelli di iperconnessione, come il Giappone, il 14% resta comunque fuori dalla rete.
Il quadro globale suggerisce tre modelli:
- iperconnessi (Asia orientale e parte delle Americhe);
- intensivi ma intermittenti (Europa occidentale e Canada);
- polarizzati (molti Paesi emergenti, dove convivono sacche di esclusione e punte di iperconnessione giovanile).
La linea di demarcazione non è solo tecnologica, ma culturale e sociale: misura chi ha accesso, chi ha competenze e chi sceglie di vivere costantemente connesso.
Italia digitale a metà
In Europa, il dato più alto arriva dalla Spagna (41%), dove la quota di “sempre online” è paragonabile agli Stati Uniti. Seguono Regno Unito (32%), Francia (28%), Italia (26%) e Svezia (26%). Più indietro Germania (24%), Paesi Bassi (25%), Ungheria (21%), Polonia (20%) e Grecia (14%).
Il tratto comune è la bassissima esclusione: in quasi tutti i Paesi europei meno del 10% degli adulti dichiara di non usare mai internet. Fa eccezione l’Ungheria, con il 12%. Altrove, l’accesso è di fatto universale. Ma l’intensità varia: nei Paesi nordici e in Germania prevale un modello di connessione frequente ma con pause; nei Paesi mediterranei, Spagna e Italia in testa, l’uso costante cresce, pur senza toccare i livelli asiatici.
In Italia il 26% è “sempre online”, 49% più volte al giorno, 14% una volta al giorno o meno, 11% mai. Una fotografia intermedia, che mostra un Paese a doppia velocità. Da un lato la maggioranza, che usa internet in modo regolare ma non continuo. Dall’altro, due minoranze contrapposte: un quarto di iperconnessi e un decimo di esclusi.
È proprio l’11% offline a pesare: in Germania i non utenti sono il 7%, nei Paesi Bassi e in Svezia appena il 4%. Per un Paese del G7, mantenere un adulto su dieci fuori dalla rete significa avere una parte di popolazione tagliata fuori da servizi pubblici digitalizzati, opportunità economiche e strumenti di partecipazione. È il segno che le infrastrutture da sole non bastano: secondo i dati europei, oltre il 90% delle famiglie italiane ha la banda larga a casa, ma questo non si traduce automaticamente in uso quotidiano o costante.
Allo stesso tempo, l’Italia non è tra i Paesi ossessivamente connessi. Il 26% di “always on” è lontano da Spagna (41%) e ancora di più da Giappone (56%). È un modello “moderato”, che potrebbe sembrare equilibrato, ma che rischia di riflettere più un ritardo culturale che una scelta consapevole.
Under 35 “quasi sempre online”
Se c’è un asse che spiega le differenze, è quello generazionale. In tutti i 24 Paesi i giovani dichiarano livelli più alti di connessione costante rispetto agli anziani. Il record è turco: 64% dei 18–34enni contro 12% degli over 50, un divario di 52 punti. In Spagna il gap è di 50 punti (70% vs 20%), in Giappone e Francia di 47.
L’Italia si colloca a metà classifica: 54% dei giovani (18–34), 34% dei 35–49, 13% degli over 50. Il divario tra estremi è di 41 punti, simile a quello degli Stati Uniti (+38) e superiore a quello di Canada (+31) o Svezia (+20). Significa che un giovane italiano su due è sempre online, ma tra gli adulti over 50 la connessione continua resta marginale.
In Asia orientale la spaccatura generazionale è meno netta: in Giappone il 38% degli over 50 è sempre online, in Corea del Sud il 32%. Qui l’iperconnessione è diventata trasversale, non più solo giovanile. All’opposto, in Paesi africani come Nigeria e Kenya, i divari sono bassi non perché gli anziani siano digitalizzati, ma perché anche i giovani hanno tassi di connessione costante molto ridotti.
Per l’Italia, il nodo è la fascia intermedia: solo un terzo dei 35–49enni vive sempre online, contro percentuali ben più alte in Spagna (57%), Giappone (77%) e Corea (66%). È qui che si decide se l’iperconnessione rimarrà fenomeno giovanile o se diventerà comportamento adulto, con impatti strutturali su lavoro, consumi e politica.
Dal digital divide all’overconnectivity
I numeri del Pew arrivano mentre cresce l’allarme globale per gli effetti dell’uso intensivo degli schermi. Ricerca dopo ricerca segnala legami tra tempo online e problemi emotivi o comportamentali nei bambini, e il dibattito pubblico si sposta dal “digital divide” all’“overconnectivity”.
L’Europa ha iniziato a muoversi. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, intervenendo al Parlamento europeo, ha dichiarato: “Così come ai miei tempi insegnavamo ai bambini che non potevano fumare, bere o guardare contenuti per adulti fino a una certa età, credo sia arrivato il momento di considerare lo stesso per i social media”.
Non è un dettaglio: paragonare i social ad alcol e tabacco segnala una volontà di normare l’accesso dei minori con strumenti simili a quelli usati per sostanze e contenuti nocivi. Intanto, in diversi Paesi europei sono già allo studio restrizioni sugli smartphone a scuola. Il dibattito riguarda anche gli adulti. Nei Paesi dove metà della popolazione vive quasi costantemente online, crescono le preoccupazioni su salute mentale, economia dell’attenzione e qualità dell’informazione.