La scalata (lenta) delle manager in Europa
- 06/03/2025
- Mondo
In un’Europa che si fregia di promuovere l’uguaglianza di genere, le donne stanno guadagnando terreno nelle posizioni manageriali, ma la vetta resta ancora lontana. Nel 2023, 3,7 milioni di donne nell’Ue ricoprivano un ruolo dirigenziale, in aumento rispetto ai 3,1 milioni del 2014. Un progresso, certo, ma che non basta: le donne rappresentano quasi la metà della forza lavoro europea (46,4%), ma solo il 34,8% dei manager. Questo significa che, ancora oggi, i vertici aziendali restano dominati dagli uomini.
Il divario di genere nei ruoli di comando si è ridotto rispetto al 2014, quando le donne occupavano appena il 31,8% delle posizioni manageriali, ma la crescita di 3 punti percentuali in quasi dieci anni mostra che il cambiamento procede a rilento.
Svezia al top, Lussemburgo fanalino di coda
Dando uno sguardo alla mappa europea, emergono forti disparità tra i vari paesi. La Svezia guida la classifica con il 43,7% di donne manager, seguita da Lettonia (42,9%) e Polonia (42,3%). Questi paesi dimostrano che un accesso più equo alle posizioni di leadership è possibile, grazie a politiche del lavoro più inclusive e a una cultura aziendale meno ostacolata da stereotipi di genere.
All’estremo opposto, il Lussemburgo si distingue negativamente con appena il 22,2% di donne tra i manager, seguito da Croazia (23,8%) e Repubblica Ceca (27,4%). Per queste nazioni, il percorso verso la parità sembra ancora lungo e richiede interventi strutturali per incentivare la presenza femminile ai vertici.
Al centro della classifica si trovano paesi come Francia (39,1%), Finlandia (38,9%) e Irlanda (37,5%), che superano la media Ue ma non riescono ancora a raggiungere il 40%. Germania (29,4%) e Paesi Bassi (28,9%) si collocano invece sotto la soglia del 30%, segno che anche le economie più avanzate devono ancora lavorare molto per colmare il divario di genere.
Chi sale e chi scende
Nel confronto con il 2014, venti paesi europei hanno registrato un incremento della quota di donne manager, un segnale positivo che indica come la consapevolezza e le politiche di equità inizino a dare i loro frutti. Il caso più eclatante è quello di Cipro, che ha visto un balzo in avanti di ben 10,5 punti percentuali, portandosi a livelli più vicini alla media Ue. Malta segue con un aumento di 8,3 punti percentuali, segno che anche i paesi tradizionalmente più conservatori in termini di ruoli di genere stanno adottando misure efficaci per promuovere l’inclusione femminile nei vertici aziendali. La Svezia, già in posizione di leadership, ha consolidato il proprio primato con un incremento di 6,5 punti percentuali, dimostrando che anche chi è avanti non smette di progredire.
Tuttavia, non tutti i paesi hanno seguito questa tendenza positiva. In Ungheria e Slovenia la quota di donne in posizioni manageriali è diminuita di 2,6 punti percentuali, mentre in Lituania si è ridotta di 1,7 punti. Un arretramento che non può essere ignorato e che potrebbe derivare da diversi fattori: politiche meno incisive a sostegno della carriera femminile, un ambiente lavorativo ancora troppo maschile o la mancanza di incentivi per colmare il divario.
E l’Italia?
L’Italia, con il 30,9% di donne manager, si posiziona sotto la media Ue, segnalando un progresso ancora troppo lento rispetto ad altri paesi europei. Rispetto al 2014, il nostro Paese ha visto un incremento della quota di donne in ruoli dirigenziali, ma il ritmo di crescita resta insufficiente per un cambio di paradigma significativo.
Il divario di genere nelle posizioni di vertice è ancora evidente, influenzato da diversi fattori: la difficoltà nel conciliare carriera e vita familiare, la persistenza di stereotipi di genere e una cultura aziendale che fatica a valorizzare pienamente il talento femminile. Sebbene siano stati introdotti strumenti come le quote rosa nei Consigli di amministrazione delle società quotate, l’impatto di queste misure non si è ancora tradotto in un aumento significativo delle donne nei ruoli apicali del mondo imprenditoriale.
Uno dei problemi principali in Italia è la scarsa rappresentanza femminile nei settori chiave dell’economia. Le donne manager sono ancora sottorappresentate nelle grandi aziende e nel settore industriale, mentre sono più presenti nei settori legati ai servizi e all’amministrazione pubblica. Questo riflette una segmentazione del mercato del lavoro che penalizza la presenza femminile nelle posizioni di maggiore potere decisionale.
A livello territoriale, il divario è ancora più marcato: le regioni del Nord presentano tassi più elevati di donne in posizioni manageriali rispetto a quelle del Sud, dove le opportunità per le donne di accedere ai ruoli di vertice sono ancora più limitate. La mancanza di politiche strutturali a sostegno della leadership femminile e l’assenza di modelli di riferimento forti contribuiscono a mantenere questo gap.
Cosa sta facendo l’Ue?
Dal 2017, l’Unione Europea ha rafforzato il proprio impegno per l’uguaglianza di genere attraverso il pilastro europeo dei diritti sociali, che punta a creare un mercato del lavoro più equo. Tra gli obiettivi per il 2030, spicca l’aumento del tasso di occupazione al 78%. Nel 2023, il valore ha raggiunto il 75,3%, un progresso tangibile ma ancora insufficiente.
Alcuni paesi, come i Paesi Bassi (83,5%) e la Svezia (82,6%), hanno già superato l’asticella dell’81%, dimostrando che una maggiore occupazione femminile e una presenza più equa nelle posizioni di potere sono traguardi realizzabili. Tuttavia, nazioni come Italia (66,3%), Grecia (67,4%) e Romania (68,7%) restano sotto il 70%, evidenziando quanto il percorso per la parità sia ancora accidentato in molte aree d’Europa.
I numeri parlano chiaro: le donne stanno avanzando nel mondo della leadership, ma troppo lentamente. La parità non si raggiunge da sola, e l’esperienza dei paesi più virtuosi dimostra che servono misure concrete: dalle politiche di conciliazione tra vita e lavoro agli incentivi per ridurre il divario salariale, fino alle quote di genere nei CdA.
L’Europa ha compiuto passi avanti, ma il soffitto di cristallo non è ancora infranto.