La popolazione aumenta, il cibo potrebbe non bastare
- 25/07/2023
- Mondo
La Russia ha deciso di non rinnovare l’accordo sul grano, mettendo in pericolo la sicurezza alimentare dei Paesi più poveri. Una situazione che sarebbe impossibile da sostenere nel 2050 quando l’aumento della popolazione globale richiederà un imponente incremento della produzione di cibo. Aumento che rischia di essere insostenibile.
Secondo le ultime stime delle Nazioni Unite, nel mondo potrebbero esserci 9,7 miliardi di persone già nel 2050, con un discreto aumento anche della ricchezza media, seppur concentrata in pochi Paesi.
In questo contesto sarà necessario aumentare la produzione di cibo del 70%. In particolare, la produzione giornaliera di cereali dovrà salire dai 2,1 miliardi di tonnellate del 2021 ai 3 miliardi. Aumenterà il fabbisogno di suoli coltivabili, acqua, fosforo e altri elementi essenziali per l’alimentazione.
Un incremento di produzione di questa portata sarà possibile solo in presenza di investimenti mirati e politiche agricole adeguate. Nei Paesi in via di sviluppo, dove si concentrerà gran parte dell’aumento demografico globale, l’80% del necessario surplus potrà essere ottenuto aumentando l’intensità e la resa delle coltivazioni e il 20% aumentando la superficie di terreno coltivabile. Un risultato facile da ottenere solo in teoria, visto che l’agricoltura intensiva ha un impatto ambientale devastante.
A questo bisogna aggiungere che la resa delle coltivazioni dei cereali è in calo, pressoché dimezzata tra il 1960 e il 2000.
Come deve cambiare la produzione di cibo
Il cambiamento dei prossimi anni dovrà viaggiare su due binari: aumentare la produzione di cibo e, soprattutto, ridurre drasticamente gli sprechi.
L’Istituto Fraunhofer per la Biologia molecolare e l’ecologia applicata stima che tra il 30% e il 50% della produzione alimentare venga buttata prima di raggiungere la tavola. In pratica, ogni anno vengono buttati 2 miliardi di tonnellate di cibo. Diverse sono le cause riportate dall’Istituto:
– date di scadenza troppo stringenti;
– offerte “prendi tre e paghi due” che portano il consumatore ad acquistare più cibo di quello di cui ha effettivamente bisogno;
– pratiche agricole poco efficienti;
– infrastrutture e magazzini per lo stoccaggio inadeguati;
– richiesta di cibi esteticamente perfetti.
Su quest’ultimo punto si sottolinea che, a causa del rifiuto dei supermercati di vendere frutti e verdure imperfette, il 30% dei vegetali coltivati nel Regno Unito non viene neppure raccolto. Lo spreco non va letto solo in relazione al prodotto finito. Serve considerare anche tutte le risorse utilizzate (invano) per ottenere quel cibo. Ne consegue che ogni anno vengono sprecati 500 miliardi di metri cubi di acqua per coltivare prodotti che non raggiungeranno mai il consumatore finale. Questa tendenza di spreco sarà insostenibile quando il pianeta conterà 10 miliardi di inquilini.
Oltre allo step culturale, servirà investire nella ricerca e cambiare le abitudini alimentari. Nonostante le rimostranze di molti, sarà necessario rimpiazzare parte del consumo di carne con insetti o vegetali.
Basti pensare che, come riporta il Wwf, l’allevamento rappresenta il 14,5% delle emissioni mondiali di gas serra. L’Organizzazione dell’alimentazione e dell’agricoltura delle Nazioni unite (Fao) stima che il 45% delle emissioni legate al bestiame provenga dalla produzione e dalla lavorazione dei mangimi, il 39% dalla fermentazione enterica – cioè il gas metano prodotto dall’apparato digerente dei ruminanti – mentre il 10% è attribuito allo stoccaggio e alla gestione del letame. In tutto il mondo tre quarti di tutti i terreni agricoli vengono utilizzati per allevare animali o le colture per nutrirli.
Le carni prodotte in laboratorio, su cui è arrivato lo stop del governo italiano, i vegetali e gli insetti saranno i tre pilastri del cibo del futuro. Tutti questi cambiamenti non risolveranno il problema della fame nel mondo, se gran parte della popolazione resterà in condizioni di povertà estrema.
I dati della fame nel mondo
Le persone che non hanno accesso sufficiente a cibo nutriente sono circa 345 milioni. Questo numero, riporta Save the Children, è aumentato di oltre il 150% dal 2019 e riflette livelli di fame nel mondo senza precedenti esasperati dal Covid-19, prima, e dal conflitto in Ucraina, poi.
L’ong riporta che 1,2 miliardi di bambine e bambini vivono in aree ad alto rischio di subire una catastrofe climatica, mezzo miliardo di bambini vive in aree soggette a inondazioni e 920 milioni sono esposti alla mancanza d’acqua e alla siccità.
Negli ultimi 30 anni, il numero di disastri legati al clima è triplicato e gli eventi climatici estremi hanno decimato l’agricoltura e i pascoli, portando milioni di persone alla fame acuta. Una ulteriore prova di come, quando l’aumento demografico richiederà una maggiore produzione di cibo, non si potrà sottovalutare l’aspetto climatico. L’Italia, con la recente alluvione in Emilia-Romagna, ha visto da vicino come le catastrofi naturali possano distruggere in pochi minuti decine di migliaia di ettari coltivati.
Di recente l’Ue, con l’Italia in prima linea, sta cercando di creare canali di finanziamento che consentano ai Paesi più poveri di uscire dalla crisi economica in cui versano, ma l’impegno dovrà essere condiviso da tutti i Paesi coinvolti.
E poi c’è la guerra: Save The Children riporta che nel 2021 oltre il 70% delle persone che affrontava una situazione di fame critica viveva in paesi colpiti da guerre. Spesso i conflitti vengono usati come veri e propri strumenti di ricatto proprio come fatto dal presidente russo Vladimir Putin in questi giorni.
In definitiva, l’incremento della popolazione rischia di aumentare a dismisura la fame nel mondo, se non ci sarà un nuovo modo di intendere la produzione, il consumo e la distribuzione del cibo.
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