Do you speak English? In Italia non molto
- 14/11/2024
- Mondo
Il 2024 segna una tappa piuttosto amara per l’Italia nella classifica mondiale di conoscenza dell’inglese. Nell’indice stilato da EF Education First, l’Italia si colloca al 46° posto su 116 paesi non anglofoni, un calo evidente rispetto alle posizioni degli anni precedenti. Questo piazzamento sottolinea una preoccupante tendenza negativa: nel 2023 il paese era al 35° posto, nel 2022 occupava il 32° posto, mentre nel 2011, primo anno dell’indagine EF, si trovava in una ben più promettente 23ª posizione. Un decennio di declino che riflette le difficoltà strutturali nel migliorare le competenze linguistiche a livello nazionale. Mentre i Paesi europei migliorano o mantengono buone posizioni – basti pensare alla Spagna, all’Ucraina o all’Albania – l’Italia sembra percorrere un sentiero discendente, lasciandosi superare non solo da vicini europei, ma anche da economie emergenti che investono maggiormente nell’apprendimento linguistico.
La geografia interna ci rivela un quadro diversificato ma disomogeneo. Al vertice della classifica italiana, troviamo ancora una volta il Friuli-Venezia Giulia, la regione che si distingue per la competenza media più elevata. La città di Verona, inoltre, si è distinta come la migliore d’Italia in termini di padronanza dell’inglese. Tuttavia, persiste una notevole disparità tra il Nord e il Sud del paese. Sebbene il divario tra le regioni migliori e peggiori in termini di competenze sia diminuito nel corso degli anni (passando da oltre 100 punti nel 2012 a circa 70 punti oggi), le differenze restano significative, segnalando un’Italia ancora spaccata sul fronte linguistico.
Giovani in calo, professionisti in crescita
Uno degli aspetti più interessanti dell’indagine riguarda l’evoluzione delle competenze in inglese per fasce d’età. L’analisi per età mostra che i giovani adulti, coloro che dovrebbero rappresentare il futuro del paese, stanno attraversando un periodo di stagnazione o addirittura di regressione nelle competenze linguistiche. Gli italiani tra i 18 e i 20 anni, ad esempio, mostrano un calo costante nel livello medio di inglese, con i punteggi che scendono sotto i livelli del 2019. Anche la fascia di età tra i 21 e i 25 anni non presenta miglioramenti significativi, rimanendo pressoché stabile negli ultimi anni. Dati che destano preoccupazione, poiché segnalano che i recenti diplomati non stanno raggiungendo competenze linguistiche sufficienti per competere a livello internazionale.
Diversa è la situazione per le fasce d’età superiori. I giovani professionisti tra i 26 e i 30 anni, così come quelli tra i 31 e i 40 anni, mostrano invece una tendenza al miglioramento. Questo gruppo demografico ha visto una crescita costante nel livello di padronanza dell’inglese, presumibilmente grazie all’esperienza professionale e alla maggiore esposizione a contesti internazionali. I dati sembrano suggerire che l’inglese viene acquisito e consolidato più efficacemente attraverso l’uso pratico sul lavoro piuttosto che attraverso il sistema educativo tradizionale. Anche gli adulti oltre i 40 anni hanno registrato un leggero miglioramento, anche se rimangono lontani dai livelli di competenza delle fasce più giovani.
Un altro dato rilevante emerso dall’indagine riguarda la differenza di competenze tra uomini e donne. In generale, gli uomini continuano a registrare un livello di conoscenza dell’inglese leggermente superiore rispetto alle donne. Questo divario, sebbene non sia estremamente marcato, suggerisce che potrebbe essere necessario un maggiore supporto per le donne nel campo dell’apprendimento delle lingue, specialmente nei contesti professionali.
L’impatto della pandemia e la necessità di investimenti
È importante anche considerare come la pandemia abbia influenzato le competenze linguistiche dei giovani. La fascia dei neodiplomati sembra aver subito un rallentamento nell’apprendimento, che molti esperti attribuiscono all’interruzione dei normali cicli educativi durante il periodo del Covid-19. L’apprendimento a distanza, seppur efficace in alcuni contesti, sembra aver avuto un impatto negativo sullo sviluppo delle competenze linguistiche, soprattutto per una lingua come l’inglese, che richiede pratica e interazione. Le università, al contrario, hanno mantenuto un livello stabile, e i giovani professionisti hanno continuato a migliorare, probabilmente grazie alla ripresa delle attività economiche e dei viaggi all’estero.
Natalia Anguas, amministratrice delegata di EF Italia, ha sottolineato l’importanza di investire nel sistema educativo per colmare questo divario. “Benché l’EF EPI di quest’anno mostri che il livello dell’inglese in Italia non riesca a crescere, resta fondamentale il ruolo di questa lingua nella comunicazione e nella cooperazione internazionale”, ha dichiarato Anguas.
Europa e mondo: dove si posiziona l’Italia?
La classifica globale, che si basa su test effettuati su oltre 2,1 milioni di adulti dai 18 anni in su, rivela che la competenza in inglese sta crescendo a livello mondiale, anche in regioni che storicamente non hanno mai considerato l’inglese una lingua prioritaria. Al vertice della classifica, con punteggi eccellenti, si trovano paesi come i Paesi Bassi (636 punti), la Norvegia (610 punti) e Singapore (609 punti), che si confermano leader grazie a un’accurata integrazione della lingua nel sistema educativo e a un’esposizione culturale costante. A questi si aggiungono altre nazioni europee, come la Svezia (608 punti) e la Danimarca (603 punti), che continuano a migliorare, dimostrando come un forte impegno educativo e culturale possa garantire un continuo progresso nella padronanza dell’inglese.
In un contesto globale, la posizione dell’Italia appare preoccupante. Sebbene il Paese continui a registrare incrementi nel numero di parlanti, la sua posizione nella classifica mondiale è tutt’altro che brillante. Con 528 punti, l’Italia si colloca al 46° posto, tra il Paraguay e la Bolivia, due Paesi dell’America Latina con contesti socio-economici molto diversi, il che rende ancora più evidente il gap che separa l’Italia dai principali Paesi europei. Questo dato solleva interrogativi sull’efficacia delle politiche linguistiche adottate e sull’adattamento del sistema educativo alle esigenze globali di oggi. Nonostante gli sforzi per migliorare la conoscenza dell’inglese, come i programmi di bilinguismo e le iniziative di scambio, l’Italia fatica ancora a colmare il divario con altre economie avanzate.
Scorrendo la classifica europea, il divario diventa ancora più marcato. La Croazia (5° con 607 punti) e il Portogallo (6° con 605 punti) si distinguono come Paesi con una padronanza dell’inglese eccellente, non solo per le politiche educative efficienti ma anche per una cultura che incoraggia la pratica della lingua. Anche nazioni meridionali come la Spagna (36° con 538 punti) e la Grecia (8° con 602 punti) superano l’Italia, nonostante abbiano sfide simili in termini di esposizione culturale e di utilizzo dell’inglese nel quotidiano. Questi risultati mettono in evidenza un dato cruciale: l’Italia non solo non migliora, ma sembra anche essere superata da Paesi che, storicamente, non avevano lo stesso livello di competenza linguistica.
L’Italia si trova quindi in una posizione intermedia, distante dai Paesi di testa, ma ancora lontana da quelli che potrebbero sembrare comparabili. Questo fenomeno è particolarmente evidente nelle comparazioni tra le economie maggiori. Mentre nazioni come la Germania (10° con 598 punti) e l’Austria (9° con 600 punti) continuano a primeggiare in Europa con punteggi elevati, l’Italia non riesce ad avvicinarsi a questi standard. Al contrario, Paesi come la Romania (12° con 593 punti) e la Bulgaria (16° con 586 punti) hanno raggiunto risultati notevoli, mettendo in discussione la capacità dell’Italia di rispondere adeguatamente alle sfide globali.
In un contesto internazionale, l’Italia si ritrova a competere con Paesi dall’economia in crescita, ma con condizioni socio-culturali assai differenti. Paesi come il Kenya (19° con 581 punti) e l’Ucraina (40° con 535 punti) stanno migliorando la loro competenza linguistica, pur partendo da un contesto economico e culturale meno favorevole. Questo rende ancora più evidente il ritardo dell’Italia, non solo rispetto ai Paesi scandinavi e dell’Europa occidentale, ma anche rispetto a nazioni che storicamente non hanno investito altrettanto nell’insegnamento dell’inglese.
La domanda, quindi, è legittima: come mai l’Italia, pur essendo una delle maggiori economie dell’Unione Europea, non riesce a colmare il gap con i suoi vicini? Nonostante le politiche educative, gli investimenti in programmi linguistici e la crescente importanza dell’inglese nel mondo del lavoro, il Paese sembra non riuscire a rimanere al passo con le altre nazioni europee, un fattore che potrebbe avere conseguenze significative in termini di competitività globale e attrattività economica.
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