Israele, perché la demografia ha un ruolo cruciale nel conflitto
- 11/10/2023
- Mondo
La guerra in Israele tiene il mondo col fiato sospeso come non era mai successo nella storia recente. Prima di approfondire le questioni demografiche collegate a questa guerra, si ricordi che il conflitto israelo-palestinese coinvolge principalmente questi territori:
- Israele: lo Stato di Israele è stato fondato nel 1948, dopo la fine del Mandato britannico sulla Palestina. Il conflitto israelo-palestinese ha origine dalla disputa territoriale tra Israele e i palestinesi, che rivendicano la creazione di uno Stato palestinese indipendente;
- Palestina: è un territorio che si estende tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, che comprende la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. È il territorio dove i palestinesi rivendicano la creazione di uno Stato arabo indipendente.
Più nello specifico:
- Striscia di Gaza: è un territorio costiero di circa 360 km², situato tra Israele ed Egitto. È abitata principalmente da palestinesi e controllata dal gruppo islamista Hamas che ha sferrato l’inatteso e cruento attacco del 7 ottobre scorso;
- Cisgiordania: è un territorio di circa 5.640 km² situato a est di Israele, tra il fiume Giordano e il confine con la Giordania. È abitata principalmente da palestinesi e controllata dall’Autorità Nazionale Palestinese
Alla base del conflitto israelo-palestinese c’è dunque il principio di autodeterminazione dei popoli e la difficile convivenza tra due fedi, che pure popolano gli stessi territori.
Il ruolo della demografia nel conflitto israelo-palestinese
La demografia ha un ruolo cruciale nel conflitto, così come la sua evoluzione nel corso del tempo. Entrambe le popolazioni sono cresciute nell’ultimo secolo, aumentando la tensione in un’area relativamente ristretta, soprattutto se si escludono le zone desertiche, inutili per gli insediamenti umani.
In Israele, la popolazione (composta da ebrei e arabi) è cresciuta in modo significativo nel corso degli anni. Nel 1950, la popolazione israeliana era di 1.370.000 persone, ma nel 2018 era aumentata di sei volte e mezza e oggi conta circa 9 milioni di abitanti. Si tratta dell’unica democrazia occidentale de facto con il tasso di fecondità più alto al mondo anche se con una importante differenza tra la componente ebraica e quella araba:
- la fecondità media della componente ebraica è di circa 3,13 figli per donna;
- anche la fecondità della parte araba è molto alta, ma comunque inferiore a quella ebraica con una media di circa 2,85 figli per donna
Entrambe le popolazioni hanno un tasso di fecondità ben più alto della media Ocse pari a 1,61 figli per donna.
Oltre alle ragioni socio-culturali che caratterizzano le tendenze demografiche di tutti i Paesi, qui la demografia ha anche un ruolo geopolitico ed è funzionale a prendere numericamente il controllo dei territori contesi.
Nel 1922, gli ebrei rappresentavano l’11% della popolazione della Palestina, ma il loro numero è aumentato al 32% nel 1947. Oggi non esistono dati certi sulla percentuale di ebrei in Palestina, anche perché si tratta di uno Stato riconosciuto solo da alcuni Paesi limitrofi e non dalla comunità internazionale. Dati più definiti si hanno invece su Israele, dove gli ebrei rappresentano circa il 73,5% della popolazione, mentre gli arabi israeliani rappresentano circa un quinto della popolazione, con una popolazione di 1,9 milioni di persone nel 2019. Completano il quadro alcune minoranze presenti sul territorio.
La maggior parte degli arabi che vivono in Israele si identifica come arabi o palestinesi per nazionalità e come israeliani per cittadinanza. Un aspetto interessante dal punto di vista sociale è che negli ultimi anni c’è stata una crescente tendenza degli arabi israeliani ad abbandonare l’identità palestinese per identificarsi sempre più con la loro cittadinanza israeliana: secondo un sondaggio del 2019, il 35% degli arabi israeliani si identifica come israeliano, mentre solo il 20% si identifica come palestinese.
Nonostante ciò, le barriere tra le due popolazioni restano spesso invalicabili tanto che gli arabi israeliani vivono principalmente in città e villaggi arabi, alcuni dei quali tra i più poveri del Paese, e frequentano scuole separate da quelle degli ebrei.
La crescente e malgradita commistione tra le due popolazioni in Israele e in Palestina riflette l’evoluzione del conflitto israelo-palestinese.
La demografia di Israele e dei palestinesi: tendenze a confronto
La maggiore fecondità degli ebrei rispetto agli arabi israeliani può essere inquadrata nel trend degli ultimi 27 anni: dal 1995 al 2022 il numero di nascite di ebrei israeliani è cresciuto del 71% passando da 80.400 nati a 137.566. Nello stesso periodo di tempo, le nascite degli arabi israeliani sono aumentate del 19%, passando da 36.500 del 1995 a 43.417 dell’anno scorso.
Dunque, nel 2022, le nascite ebraiche sono state quindi il 76% delle nascite totali in Israele (180.983), 7 punti percentuali in più rispetto al 69% del 1995.
Va da sé che i dati demografici non si basino solo sulle nascite, ma anche sui decessi. Nel 2022, si sono registrati 45.271 morti tra gli ebrei israeliani, rispetto ai 31.575 del 1996, un aumento del 43% dei decessi, a fronte di una popolazione più che raddoppiata (da 8 a 9 milioni). Il tasso di mortalità è passato dal 40% del 1995 al 33% dello scorso anno. Queste statistiche riflettono una popolazione ebrea sempre più giovane nei confini di Israele.
Al contrario la popolazione degli arabi israeliani sta registrando un invecchiamento, passando dall’età media di 18 anni del 2005 ai 22 anni registrati l’anno scorso. Questi numeri sono anche il frutto di un’elevata mortalità tra gli arabi israeliani, aumentata del 104% dal 1996 quando i decessi erano stati 3.089, rispetto ai 6.314 del 2022.
Per quanto riguarda l’aspettativa di vita, nel 2021 quella dei maschi israeliani era di 80,5 anni e delle donne di 84,6, mentre per la componente araba si collocava a 78 anni per gli uomini e a 82 per le donne. Il conflitto in corso inciderà pesantemente sul nuovo scenario demografico dei due gruppi.
Il peso demografico degli ebrei ultraortodossi
Se si va oltre i meri dati numerici, si rilevano criticità nella demografia ebraica a causa di importanti divisioni interne. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, infatti, la popolazione d’Israele dovrebbe raggiungere 13 milioni nel 2050, ma a trainare questa crescita demografica sarà la componente ultraortodossa degli Haredim, che ha un rapporto conflittuale con le istituzioni israeliane ed è destinata a costituire un terzo della popolazione del paese entro la metà del secolo.
Oggi la comunità Haredi (singolare di “Haredim”) conta 1 milione e 120 mila unità, ma si prevede che cresca con un tasso doppio rispetto a quello del resto della popolazione, come riporta The Israel Democracy Institute. Seppure in leggero calo rispetto ai decenni passati, i dati parlano di 7 figli per donna nella comunità ultraortodossa, più del doppio della media israeliana. Con questo trend entro il 2050 la comunità Haredi diventerà più numerosa della popolazione araba del Paese e, poco dopo, un terzo degli israeliani sarà Haredim. Gli ebrei ultraortodossi cominciano ad avere figli già da molto giovani: il 45% delle nascite si concentra fra i 20 e i 30 anni d’età, quasi il doppio degli ebrei laici che nella stessa fascia d’età registrano il 25% delle nascite.
Inoltre, gli Haredim sono spesso esentati dall’obbligo di leva militare perché si avvantaggiano di leggi israeliane ad hoc, che permettono a coloro che si dedicano allo studio della Torah di non imbracciare le armi. Una questione che diventa particolarmente delicata con l’esplosione del conflitto tra Israele e Hamas. Chiaramente, la crescita demografica della comunità Haredi rappresenta un ulteriore ostacolo alla convivenza con gli arabi israeliani nella società civile, dal momento che si tratta di una frangia ultraortodossa della popolazione ebrea.
Alla luce delle tendenze demografiche, non si può escludere che il violento attacco di sabato scorso rappresenti l’estremo tentativo di Hamas di bloccare la crescita demografica degli ebrei in un territorio dove il futuro è sempre più incerto.
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