Foto sotto la gonna e deepfake: insegnanti arrestati per violenza su tredicenni
- 28 Giugno 2025
- Mondo
Arrestati due docenti di scuola primaria: hanno fotografato studentesse tredicenni sotto la gonna, a loro insaputa. Questo è quanto è emerso da un’indagine della polizia giapponese che ha arrestato due insegnanti, uno a Nagoya e l’altro a Yokohama, accusati di aver raccolto e condiviso immagini sessualmente compromettenti di due ragazzine.
L’indagine, però, ha portato ad una scoperta ancora più inquietante: i materiali sessualmente lesivi venivano condivisi in un gruppo social con all’interno almeno una decina di altri insegnanti. Ma andiamo con ordine.
Le indagini
Lo scorso 24 giugno, Yuji Moriyama, 42 anni, insegnante della scuola elementare Kosaka di Nagoya, e Fumiya Kosemura, 37 anni, della scuola elementare Hongodai di Yokohama, sono stati accusati di aver violato la legge giapponese che regola la creazione e la distribuzione di certi tipi di immagini sessuali.
Le immagini, tra cui scatti rubati di nascosto sotto le gonne (“upskirt”) e video di minori ripresi nudi durante il cambio d’abiti negli spogliatoi, circolavano in un gruppo privato formato da circa dieci docenti, operativi in scuole primarie e secondarie di primo grado.
L’indagine è iniziata a marzo, in seguito a un altro episodio gravissimo: l’arresto di un insegnante che avrebbe contaminato con i propri fluidi corporei lo zaino di una bambina in una stazione ferroviaria di Nagoya. L’analisi forense del suo telefono ha portato alla scoperta del gruppo e al rinvenimento di circa 70 file, tra cui anche presunti deepfake – immagini generate digitalmente a partire da foto reali di bambine – con l’intento di raffigurarle in situazioni sessualmente allusive.
Il contesto normativo: una riforma attesa da decenni
Il caso ha destato non poche perplessità. Il Giappone, infatti, è da tempo accusato di sessualizzazione delle modelle bambine, molte delle quali spesso ritratte in lingerie o costumi da bagno.
Inoltre, fino a non molto tempo fa, il Paese era privo di una normativa organica che affrontasse in modo diretto pratiche come l’upskirting e la produzione di immagini sessuali non consensuali. Solo con la riforma del 2023, introdotta dopo una forte mobilitazione pubblica a seguito di numerose assoluzioni per stupro nel 2019, il codice penale è stato radicalmente aggiornato.
Uno dei casi più famosi fu quello che coinvolse la giornalista Shiori Ito. Ito denunciò pubblicamente di essere stata violentata da un noto collega. Dopo che la procura aveva inizialmente archiviato il caso per “insufficienza di prove”, Ito intentò una causa civile e nel 2019 ottenne una sentenza storica a suo favore, diventando simbolo del movimento “MeToo” in Giappone.
Queste vicende contribuirono in modo decisivo alla pressione pubblica che portò, nel 2023, a una riforma legislativa: fu alzata l’età del consenso da 13 a 16 anni e fu ampliata la definizione di stupro, includendo qualsiasi rapporto sessuale non consensuale, anche in assenza di violenza fisica.
Tale cornice normativa ha permesso alle forze dell’ordine di agire tempestivamente anche in casi che, fino a pochi anni fa, sarebbero forse passati inosservati o minimizzati. I colpevoli – ai sensi della nuova legge – rischiano fino a tre anni di carcere o multe fino a 3milioni di yen, pari a circa 20mila euro.
In un Paese noto per la sua disciplina istituzionale, il caso colpisce per la dissonanza tra l’immagine della scuola giapponese come ambiente sicuro e formativo, e l’esistenza di circuiti clandestini di condivisione di contenuti illeciti proprio all’interno di quel sistema.
Oltre al profilo penale, il caso solleva riflessioni più ampie sull’educazione alla responsabilità professionale, la selezione del personale docente, e il ruolo della tecnologia nei contesti scolastici. L’uso di canali digitali come veicolo di abuso, unito alla possibilità di generare immagini manipolate (deepfake), pone sfide nuove e urgenti.
Le autorità giapponesi hanno promesso ulteriori indagini e verifiche istituzionali. Tuttavia, il cammino verso una scuola realmente protettiva – in Giappone come nel resto del mondo – richiederà non solo leggi più severe, ma anche formazione, prevenzione e una cultura dell’ascolto delle vittime.
L’upskirting e il deepfake
Il termine “upskirting” si riferisce all’atto non consensuale di scattare fotografie o girare video sotto i vestiti di una persona, di solito di sesso femminile, senza che se ne accorga. È una forma di violenza di genere che invade profondamente la privacy e la dignità.
Negli ultimi anni, molti paesi hanno introdotto leggi specifiche per combattere questa pratica. Famoso è il caso del Regno Unito che nel 2019 ha reso reato penale il fenomeno attraverso il “Voyeurism (Offences) Act”. La decisione è arrivata dopo una campagna di sensibilizzazione portata avanti da attivisti e vittime, tra le quali Gina Martin, giovane donna vittima di upskirting durante il British Summertime. La donna ha trasformato la sua esperienza personale in un movimento di sensibilizzazione: la sua campagna si è poi concretizzata in una petizione che ha raccolto oltre 110.000 firme e, dopo una battaglia durata 18 mesi per rendere illegale l’upskirting, ha finalmente ottenuto il Voyeurism (Offences) Act, comunemente noto come Upskirting Bill. In Scozia è reato dal 2009.
Il fenomeno dei deepfake a sfondo sessuale, invece, è una delle derive più inquietanti dell’uso improprio dell’intelligenza artificiale. Consiste nella manipolazione digitale di immagini o video per far apparire una persona – spesso sempre una donna – in scene sessualmente esplicite che non ha mai realmente vissuto. È una forma di violenza digitale che può avere conseguenze devastanti per la reputazione e la salute mentale delle vittime.
Uno dei casi più noto è quello relativo all’artista e cantante Taylor Swift, coinvolta inconsapevolmente nella produzione di immagini deepfake sessualmente esplicite che la ritraevano e che hanno raggiunto oltre 47 milioni di visualizzazioni prima di essere rimosse dalla piattaforma X.
Anche la cantante italiana Rose Villain ha denunciato pubblicamente la circolazione di immagini false di nudo che la ritraevano. Ha sporto denuncia e sottolineato come la creazione, diffusione e condivisione di questi contenuti costituiscano un reato.
Non ultimo, a febbraio 2025, ad Acri, in provincia di Cosenza (Calabria), è emerso un caso inquietante: oltre 200 adolescenti sono stati vittime inconsapevoli di deepfake sessuali. Le immagini, modificate con l’Ai per simulare nudità, sono state diffuse online. L’indagine ha portato a perquisizioni e denunce, coinvolgendo anche minori come autori del reato.