Vietato disobbedire: in Arabia Saudita le donne rinchiuse in carceri di rieducazione
- 29 Maggio 2025
- Mondo
Non sono riconosciute come tali, vengono chiamate “case di cura“, ma la realtà che si consuma dentro le loro mura racconta tutt’altra storia. Scappare da un matrimonio forzato. Lasciare la propria casa senza il permesso del padre o del marito. Scegliere di vivere. Per molte donne saudite, tutto questo può trasformarsi in un sogno proibito o, peggio, in un incubo.
Dietro porte chiuse, lontano dagli occhi del mondo, esistono strutture dove chi ha osato sfidare le regole dell’Arabia Saudita viene rinchiuso e “rieducato“. Si chiamano Dar al-Reaya e sono istituti che, ufficialmente, dovrebbero garantire protezione e riabilitazione alle donne. Ma le testimonianze di ex detenute e attivisti parlano di tutt’altro: celle soffocanti, punizioni fisiche, isolamento forzato. Un sistema che non offre redenzione, ma solo obbedienza imposta.
Molte di loro conoscono il destino che le attende. Alcune provano a fuggire, altre vengono riportate indietro, incatenate a una volontà che non è la loro. E così si consuma il dramma di donne per le quali la ribellione non è solo una scelta, ma spesso una condanna. Ad accendere i riflettori sul fenomeno è una recente inchiesta del Guardian che ha rivelato l’equivoco dell’esistenza di tali strutture: carceri che vengono ufficialmente e pubblicamente presentate come “case di cura” per donne accusate di disobbedienza o reati morali. Ma dietro c’è di più.
Cos’è il sistema Dar al-Reaya?
Le “Dar al-Reaya” sono istituzioni gestite dal Ministero delle Risorse Umane e dello Sviluppo Sociale dell’Arabia Saudita, destinate a ragazze e donne di età compresa tra i 7 e i 30 anni.
Ufficialmente, dovrebbero offrire protezione e riabilitazione a chi ha subito abusi o è coinvolta in comportamenti considerati devianti dalla società saudita. Tuttavia, in realtà, molte donne vengono inviate in queste strutture dai propri “tutori” maschi per motivi legati alla “disobbedienza”, alle relazioni sessuali extraconiugali o per essere fuggite da matrimoni forzati.
Le condizioni all’interno delle strutture
Le testimonianze raccolte da attivisti e organizzazioni per i diritti umani descrivono ambienti di detenzione caratterizzati da:
- Fustigazioni settimanali come forma di punizione.
- Costrizione a pratiche religiose forzate.
- Assenza di contatti con l’esterno e isolamento sociale.
- Abusi fisici e psicologici da parte del personale.
- Tentativi di suicidio tra le detenute.
“Ogni ragazza che cresce in Arabia Saudita conosce Dar al-Reaya e quanto sia orribile. È un inferno. Ho cercato di togliermi la vita quando ho scoperto che mi avrebbero portata lì. Sapevo cosa succedeva alle donne lì e ho pensato ‘Non posso sopravvivere'”, racconta una giovane donna saudita che in seguito è riuscita a fuggire in esilio. Maryam Aldossari, un’attivista saudita che vive a Londra, afferma: “Una ragazza o una donna resterà lì dentro per tutto il tempo necessario finché non accetterà le regole”.
Il sistema di tutela maschile e le sue implicazioni
Il sistema di tutela maschile in Arabia Saudita conferisce agli uomini (padri, mariti, fratelli) il controllo sulle decisioni fondamentali nella vita delle donne, inclusi matrimonio, spostamenti e, in molti casi, la possibilità di incarcerarle o trasferirle in queste strutture.
Anche dopo aver scontato una pena, molte donne rimangono detenute se il loro “tutore” si rifiuta di prenderle in custodia, perpetuando così un ciclo di abuso e controllo.
Due donne saudite, imprigionate lì da circa un anno dopo essere fuggite da quelli che hanno definito “guardiani violenti”, hanno raccontato all’Afp di essere state osservate 24 ore su 24 attraverso telecamere di sorveglianza installate nelle loro celle. Dicevano che le detenute venivano punite con la fustigazione. Una di loro ha affermato che il rifugio di Riyad, la capitale saudita, teneva anche un diario per registrare il loro ciclo mestruale – una pratica invasiva confermata da Hrw.
Un documento della struttura visionato dall’Afp descriveva una delle donne come “frustrata”, “ribelle” e desiderosa di macchiare la reputazione della sua famiglia con atti immorali. Non si faceva menzione dei presunti abusi del suo tutore.
La risposta internazionale e le richieste di riforma
Organizzazioni per i diritti umani, come Human Rights Watch e Amnesty International, hanno sollecitato la chiusura delle Dar al-Reaya e l’abolizione del sistema di tutela maschile. Tuttavia, nonostante le dichiarazioni di riforma da parte del governo saudita, queste strutture continuano a esistere e a operare con poca o nessuna supervisione esterna.
Le “case di cura” saudite rappresentano una contraddizione tra l’immagine di riforma promossa dal governo e la realtà di un sistema che continua a opprimere le donne. La comunità internazionale deve fare pressione affinché vengano adottate misure concrete per garantire la libertà e la dignità delle donne in Arabia Saudita.