Disuguaglianze in aumento, per l’esperto occorre il ‘reddito di partecipazione’
- 21/02/2024
- Mondo
“Chiunque partecipi a un processo produttivo ha diritto a uno share della ricchezza prodotta da quel processo, se quest’ultimo ha utilizzato come materia prima la conoscenza”. Occorre perciò passare dal reddito da lavoro al ‘reddito di ri-conoscenza’, dunque di partecipazione, col fine di attuare una equa riallocazione della ricchezza. Sergio Barile, professore di Economia e Gestione delle Imprese Università di Roma La Sapienza, è intervenuto in occasione dell’Ai* Festival, svoltosi a Milano il 14 e 15 febbraio, per mettere in luce una delle cause delle crescenti disuguaglianze nel mondo.
Disuguaglianze che l’Oxfam ha definito in un recente studio “senza precedenti”. Basti pensare che i 5 uomini più ricchi del mondo (Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warren Buffett) dal 2020 hanno più che raddoppiato il proprio patrimonio passando da 405 a 869 miliardi di dollari, mentre 5 miliardi di persone povere sono rimaste nella stessa situazione. Guardando all’Italia, il 5% delle famiglie più abbienti detiene circa il 46% della ricchezza netta totale (Banca d’Italia).
Il travaso di conoscenze tra l’uomo e la macchina: un processo non indolore
Uno dei fenomeni che contribuisce a questo trend è il travaso di conoscenze che sta avvenendo tra l’uomo e la macchina. La macchina, infatti, all’inizio era solo un modo diverso per eseguire un lavoro (ad esempio, scrivere col computer) ma, appena si è capito che poteva sveltire il procedimento e sollevare da compiti ripetitivi e meccanici, è entrata nei processi di prodizione.
L’evoluzione vera si è avuta quando la macchina ha potuto collegarsi a un mondo di informazioni e sostituire la capacità progettuale del professionista. Un fenomeno globale che oggi riguarda tutti e vede protagonista il telefono ancor prima del computer: “Oggi non abbiamo un telefono, oggi abbiamo un modo di vivere diverso, con un’interlocuzione con un oggetto in cui abbiamo travasato gran parte delle conoscenze che il nostro livello di civiltà ha raggiunto”, ha sottolineato Barile.
Contemporaneamente, senza quasi accorgercene, siamo passati da una logica che vedeva al centro la proprietà e il lavoro ad una logica del possesso, in cui il traino è il consumo. Ha spiegato il professore: “Noi non abbiamo bisogno di avere le cose di proprietà, abbiamo bisogno di possederle”. Ancora più chiaramente: “Non è importante ciò che ho, è importante ciò di cui dispongo; non è importante se non ho un lavoro ma è importante se io posso consumare”.
Non solo: “Oltre agli umani oggi ci sono delle nuove specie: possiamo parlare di post-umano, di sovrumano e di Agi. L’Agi, l’intelligenza artificiale globale, non l’abbiamo ancora ben percepita, ma ci arriveremo nell’arco di cinque anni”, ha continuato l’economista.
In concreto, nei processi della nostra vita quotidiana c’è un’inversione di priorità: quello che faceva prima l’uomo oggi lo fa la piattaforma.
Il risultato è che ormai ci sono due mondi: un ‘mondo 1’, che è quello della realtà materiale, e un ‘mondo 2’, che è quello del digitale. I processi che prima venivano realizzati all’interno della realtà materiale ora vengono realizzati nella realtà digitale, e la conoscenza del mondo 1 ha iniziato a passare nel mondo 2. Quasi sempre gratis o dietro un compenso sproporzionato – al ribasso. E c’è un ulteriore problema: la ricchezza che si genera in questo modo in pratica non è portata a tassazione.
In poche parole, ha evidenziato Barile, il travaso di conoscenza dal mondo 1 al mondo 2 non è stato indolore.
La ricchezza mondiale non è diminuita, si è concentrata in poche aziende
Il professore ha fatto l’esempio di quelle macchine che oggi come oggi possono realizzare un lavoro di ebanisteria: possono farlo solo perché gli è stata trasferita la conoscenza specifica, sviluppata nel tempo. Ecco, dunque, la prima domanda cruciale da porsi: “Il valore aggiunto prodotto da una procedura del genere è il codice che la realizza o la conoscenza che contiene”?
E di conseguenza: “Se è la conoscenza che contiene, questa conoscenza di chi è? Di tutti noi, come portato di civiltà consolidato, o di quella procedura o di quel programmatore che l’ha realizzata? Quella materia prima – la conoscenza – ormai incorporata nel mondo 2, a chi appartiene”?
Ha continuato Barile: “Non è vero che la ricchezza è diminuita. Circa 80mila persone possiedono il 50% della ricchezza mondiale. E chi sono questi 80mila? La classifica di S&P ci dice quali sono le aziende in cui la ricchezza del mondo si è progressivamente concentrata: aziende tecnologiche di servizi e marketing”.
Il professore, dunque, ha lanciato una proposta: “Il prossimo paradigma deve essere il paradigma della partecipazione. Occorre definire dei criteri per cui chiunque di noi partecipi a un processo produttivo, dove la produzione non è più legata all’origine del prodotto ma al consumo del prodotto, abbia diritto a uno share della ricchezza prodotta da quel processo, se questo ha utilizzato come materia prima la conoscenza”.
Tutto passa attraverso il ritorno alle priorità della politica: “Non si può consentire che delle egemonie indipendenti decidano qual è il futuro della volontà dei popoli. Occorre ritornare a una possibilità in cui ci sia un’espressione convinta della volontà popolare, che poi potrà anche essere di dire di ‘lasciare tutto come sta’, ma a condizione e che siamo noi a dirlo e che non ci venga imposto”.
La politica infatti significa anche stabilire quali siano le priorità. Come quella di arrivare a “un’equa distribuzione della ricchezza che non sia basata sul driver ormai obsoleto del lavoro – perché è già stato superato da quello del consumo: già oggi abbiamo persone inserite nel sistema socio economico perché consumano, non perché lavorino”. Questo significa passare al paradigma della partecipazione.
Solo in questo modo, ha concluso il professore, possiamo far sì che la ricchezza che è stata prodotta nel mondo 2 possa tornare nel mondo 1.
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