Il bacio non è universale, perché il “chu” giapponese è diverso dallo “smack” italiano
- 4 Luglio 2025
- Mondo
Non è vero che il bacio è un linguaggio universale. Chi lo sostiene ignora quanto il significato del gesto vari da un Paese all’altro. Il 6 luglio si celebra il bacio nel mondo, ma bastano tre onomatopee e un paio di proverbi per capire che stiamo parlando di realtà profondamente diverse. Il bacio non parla una lingua sola, e spesso non parla affatto.
La verità è che non tutti i popoli si baciano, e, dove lo fanno, non lo fanno allo stesso modo. In Thailandia si inala delicatamente l’odore della persona amata. Tra gli Yoruba della Nigeria, l’affetto si esprime attraverso un vigoroso annusare. In Ungheria, si dice che un bacio può valere quanto “uno dato a un morto”, cioè niente. Il linguaggio del bacio esiste, sì, ma non è condiviso. E soprattutto, non è affatto spontaneo. Lo confermano anche gli esperti linguistici di Babbel, che hanno studiato suoni e idiomi legati al bacio in diversi Paesi. Il gesto, spiegano, è “una pratica culturale consolidata solo in alcune aree del mondo”.
Nei manga giapponesi, ad esempio, si usa “chu” per rappresentare baci affettuosi, spesso tra bambini o familiari. Niente a che vedere con la carica erotica del “smack” italiano, o la componente ludica del “me me dā” cinese, usato nelle chat per scambiarsi affetto con emoji. Anche sul piano delle espressioni idiomatiche, le distanze sono evidenti. L’inglese “kiss and tell” non parla di amore, ma di indiscrezione. Lo spagnolo “llegar y besar el santo” parla di opportunismo. Il bacio non è solo affetto: è potere, è racconto, è convenzione. E nel momento in cui lo si trasforma in celebrazione internazionale, si rischia di ignorarne le contraddizioni.
La globalizzazione ha contribuito a diffondere un’idea standard del bacio, fortemente occidentalizzata: tenero ma sensuale, privato ma pubblicamente rappresentabile, carico di significato e di intenzione. Ma la realtà, sul piano socioculturale, è molto più frastagliata. Quello che per alcuni è un gesto istintivo, per altri è imbarazzo. O persino reato.
Quando il bacio fa rumore
Non esiste un solo suono per dire “bacio”. La forma grafica del gesto varia di Paese in Paese, e ciascuna lingua lo rappresenta secondo le proprie logiche fonetiche, ritmiche e – non meno importante – culturali. Si tratta di semplici onomatopee, certo, ma capaci di rivelare come viene percepito il bacio all’interno di una comunità linguistica. Una differenza apparentemente banale, che in realtà racconta molto.
In italiano, “smack” è forse l’onomatopea più immediata e diffusa. È un suono che arriva dritto, quasi teatrale, entrato nel vocabolario grazie al fumetto, al cinema e alla pubblicità. Spesso è usato in modo giocoso o affettuoso, ma può anche assumere una connotazione seduttiva. È un suono pubblico, diretto, esposto. Non è un caso che nella cultura italiana il bacio, anche quando è simbolico, venga rappresentato con una certa enfasi.
Altro approccio in Giappone, dove si usa “chu” (チュ) – un suono breve, dolce, che richiama un bacio tenero, spesso infantile. Si trova nei manga, negli anime, nei peluche parlanti. È il bacio della guancia o della fronte, non quello delle labbra. Il linguaggio riflette una cultura in cui l’effusione fisica pubblica è limitata e dove le emozioni vengono espresse in maniera indiretta. Anche nei contesti romantici, il bacio è spesso più suggerito che mostrato.
In Cina, il bacio si trasferisce direttamente nei messaggi digitali. La generazione Z e i millennial cinesi usano “me me dā” (么么哒) nelle chat per mandare un bacio virtuale. È uno strascico fonetico che imita “muah”, ma costruito su sillabe che suonano giocose. È comune nei blog, nei commenti, nelle chat tra amici. È affetto social-mediatizzato, privo di fisicità ma codificato con emoji, sticker e suoni, spesso accompagnati da cuoricini o espressioni kawaii.
Poi c’è “mats-muts” (Ματς-μουτς), l’onomatopea greca che suggerisce una sequenza di piccoli baci. Il suono è ripetuto, ritmico, evoca familiarità. Non ha la teatralità del “smack” né la dolcezza di “chu”: è il suono di un bacio multiplo, ripetuto, quotidiano. La lingua, qui, non si limita a imitare il suono, ma restituisce anche un ritmo culturale.
Modi di dire, modi di baciare
Se le onomatopee raccontano il suono del bacio, le espressioni idiomatiche ne svelano l’anima culturale. Perché è nei detti, nei proverbi e nei modi di dire che il bacio si trasforma da gesto fisico a simbolo: di potere, di affetto, di fallimento. E le differenze, anche in questo caso, sono nette.
In inglese, “kiss and tell” non lascia spazio a romanticismi. La frase si usa per chi rivela dettagli privati, spesso a sfondo sessuale, dopo aver vissuto un’intimità. È un’espressione connotata negativamente, che denuncia un tradimento della fiducia. Oggi si applica anche ai libri e alle interviste scandalistiche, ma il senso resta: il bacio è solo l’inizio di un’esposizione pubblica. Il valore affettivo è del tutto secondario.
In Spagna, il bacio si fa metafora di successo immediato: “llegar y besar el santo” – arrivare e baciare il santo – indica un obiettivo raggiunto senza sforzo. L’espressione nasce dal mondo dei pellegrinaggi, dove il bacio alla statua del santo rappresentava la fine del cammino. Ma oggi il proverbio racconta l’opposto: chi salta le tappe e ottiene tutto subito. Qui il bacio non è né romantico né affettuoso: è premio, scorciatoia, risultato.
C’è anche chi usa il bacio per denunciare l’inutilità di un gesto. In Ungheria si dice “annyit ér, mint halottnak a csók” – vale quanto un bacio a un morto. È una frase amara, diretta, che sottolinea l’inadeguatezza di certi sforzi: un’azione senza effetto, un gesto fatto per abitudine o per apparenza, ma senza senso. Anche qui, l’aspetto affettivo è annullato: il bacio è solo forma, non sostanza.
Più spirituale è il modo di dire filippino “humalik sa yapak” – baciare l’impronta. Un’immagine potente, che racconta una venerazione assoluta. Qui il bacio non è rivolto a una persona, ma al segno che quella persona ha lasciato. Si tratta di un’espressione che mescola rispetto, devozione e memoria. È un gesto di riconoscimento, più che d’amore.
Infine, c’è il tedesco “wir küssen deine Augen” – baciamo i tuoi occhi – un’espressione gentile, che esprime affetto e gratitudine. Secondo alcuni linguisti, deriva da usi arabi o turchi, dove gli occhi sono considerati lo specchio dell’anima. Non si bacia la bocca, ma lo sguardo. È un modo per dire: ti vedo, ti rispetto, ti ringrazio.
Il bacio come rituale sociale
Pensare che il bacio sia sempre legato all’affetto è un errore di prospettiva. In molte culture, baciarsi fa parte del protocollo. È un gesto che segue regole ben precise, spesso non scritte, ma rigidamente rispettate. La “kissing etiquette”, cioè l’insieme delle norme che regolano i baci sociali, cambia radicalmente da Paese a Paese – e ignorarla può generare equivoci imbarazzanti.
In Italia, Spagna, Grecia o Francia, il bacio sulla guancia è una prassi comune. Ma quante guance? E da quale si comincia? In Francia, ad esempio, il numero varia a seconda della regione: due a Parigi, fino a quattro in Provenza. Lì, il bacio non è una manifestazione di affetto, ma una formalità sociale. Si fa tra amici, conoscenti, colleghi, spesso anche al primo incontro. Evitarlo può essere considerato un segnale di distanza o scortesia.
In America Latina, la pratica è simile, ma più contenuta: un solo bacio sulla guancia, rapido, è la norma. Anche lì il contesto è pubblico, quotidiano. Al contrario, in Germania, Regno Unito o Stati Uniti il bacio tra adulti è raro fuori dalla sfera privata. La stretta di mano domina, e il contatto fisico viene gestito con maggiore distanza.
Ci sono poi rituali ancora più particolari. In Thailandia, ad esempio, si pratica il “hom gäm”, un gesto in cui il naso viene avvicinato alla guancia della persona amata e si inspira profondamente. Non c’è contatto fisico diretto, ma il gesto è carico di significato affettivo. Lo stesso accade in Nigeria, tra le comunità Yoruba: l’affetto si esprime con l’olfatto, attraverso un annusare deciso e codificato.
Insomma, non è solo “come” si bacia, ma anche “quando”, “con chi” e “in che contesto”. L’errore è pensare che basti la buona intenzione: spesso, per rispettare un codice culturale, serve sapere molto di più.